Tutte le colpe del commercialista: un po’ Geppetto, un po’ supereroe

scritto da il 18 Agosto 2020

Non è facile scrivere un articolo a difesa della professione del Commercialista, non è facile farlo in agosto ed a maggior ragione non è facile sapendo che difficilmente otterrò la benevolenza del lettore.

Non mi resta quindi che raccontarvi le colpe del commercialista, aumentando la diffusione dell’articolo, il numero dei like e cavalcando il linciaggio verso una professione cosi compromessa.

Lo fanno i politici per guadagnare voti. Perché non dovrei farlo io per guadagnare lettori in un pigro pomeriggio di agosto? Chi mai potrà farmene una colpa?

In fondo la categoria a cui appartengo appare come complice di uno Stato ingiusto e spesso vessatorio.

Ed in parte in passato lo è stata (non nascondiamocelo) ed ancora lo è.

La frase che più spesso è citata per descriverci è: ”Il commercialista è uno che lavora per lo Stato ma che pago io”.

Sempre più spesso poi politici ed attori incolpano il commercialista per comportamenti scorretti o addirittura per comportamenti conformi alla norma come nel recente caso dei 600 euro.

Le nostre colpe però sono ben più ampie e profonde ed è giusto portarle alla luce.
A fronte di qualche balordo, presente peraltro in quasi tutte le famiglie (e non ditemi che in queste giornate di sole già non provate insofferenza per qualche parente che siete costretti a frequentare in vacanza) i commercialisti lavorano tanto, troppo, spesso in silenzio.

A causa di un calendario fiscale costantemente soggetto a cambiamenti e a norme mal scritte che ormai stanno rendendo il diritto tributario più vicino ad un pettegolezzo piuttosto che ad un corretto patto Stato/cittadino, finiamo sempre per risultare imprecisi, male organizzati, ecc.

E tutto questo in silenzio (ed è qui la colpa più grave) perché non abbiamo tempo di protestare tanto siamo impegnati a leggere l’ennesima norma mal fatta, la nuova circolare che rinnega la precedente o a far fronte ad una giustizia tributaria troppo spesso sbilanciata a favore delle esigenze di gettito di uno Stato perennemente affamato di risorse.

Soprattutto non difendiamo le imprese.

Convinti di assisterle rincorrendo disperatamente l’ultima scadenza, non alziamo la voce e non ricordiamo al Parlamento ( che dovrebbe detenere il potere legislativo ma già mentre scrivo queste righe mi rendo conto della mia visione romantica di questa Repubblica mai nata e me ne scuso) che il commercialista è il principale se non in molti casi l’unico consulente dell’impresa in Italia.

Costringere il commercialista a rincorrere la burocrazia significa privare l’impresa di quella consulenza fondamentale per affrontare una crisi come questa, per aiutarla a crescere, per gestire il passaggio generazionale, per ridisegnare il business model e cavalcare l’innovazione.

E noi tutto questo non lo diciamo (o non lo diciamo con abbastanza forza) perché siamo troppo impegnati a non far pagare sanzioni ai nostri clienti per adempiere all’ennesima scadenza che, ancor una volta, ha preceduto la circolare esplicativa della stessa.

Ecco, se dovete accusare il commercialista, accusatelo per aver tradito il proprio Paese e l’impresa che assiste, per non esser riuscito a far comprendere ad uno Stato “cattivo e noioso” (parafrasando Luca Carboni, che d’estate ci sta sempre) che straordinario strumento di politica economica potrebbe diventare se fosse solo lasciato libero.

Del resto le nostre imprese non hanno forse bisogno di crescere dimensionalmente? Di acquisire cultura manageriale? Di aprirsi all’innovazione? E chi altri se non l’unico o quantomeno il principale consulente dovrebbe accompagnarle in questa trasformazione?

E lo Stato non trarrebbe forse giovamento da una impresa più grande e forte? Maggiori dimensioni non significano forse meno “nero”, maggiore capacità di resistere alle crisi e in prospettiva aumento dell’occupazione?

Lo so, lo so. Gia vi vedo cari lettori sorridere beffardi. Convinti che io stia sopravvalutando sia il ruolo che la professione. Come farà mai quello che nell’immaginario collettivo assomiglia sempre più al remissivo mastro Geppetto di Pinocchio a trasformarsi in un supereroe?

Per giunta non esistono in fondo altri consulenti più preparati a supportare l’impresa sul mercato rispetto al nostro triste compilatore di F24? Forse amici miei, se non fosse che il budget per la consulenza di cui dispongono le PMI è comunque limitato e troppo spesso viene impiegato per inutili adempimenti burocratici piuttosto che per acquistare consulenza capace di creare valore.

Eppure quando parlo con imprenditori di successo e timidamente chiedo che cosa pensino della nostra categoria la risposta è sempre la stessa:” La vostra è una categoria inutile ed in crisi. Per fortuna il mio commercialista è straordinario e mi supporta ottimamente”.

Una cartina di tornasole che evidenzia che per quanto la reputazione della categoria sia pessima per contrasto la stima verso il proprio commercialista sia alta. Una strana incongruenza che mi conforta.

Perché queste strane e tristi figure sono comunque capaci di trasformarsi in supereroi e di supportare i loro clienti anche se questo significa spesso saltare fine settimana con la famiglia e passare le notti a leggere l’ennesima circolare mal scritta.

In fin dei conti più che a Superman assomigliamo ai personaggi della Marvel, quei super eroi con super problemi, con una vita incasinata ma capaci comunque di non arrendersi mai.