Francescon (NeN): digital e trasparenza nel futuro delle forniture energetiche

scritto da il 27 Agosto 2020

Il quinto appuntamento della rubrica “Call Me Startup – Storie di giovani imprenditori ai tempi del Covid-19” si focalizza su un settore, quello delle forniture energetiche, storicamente non ricco di innovazione, ma che nell’ultimo periodo sta vedendo l’ingresso sia di big player del tech che di startup.

Il nostro ospite di oggi è Daniele Francescon, co-founder e Head of Growth di NeN, startup nata nei primi mesi del 2020 che si pone l’obiettivo di rendere trasparente e sostenibile la fornitura di gas e luce.

Con una comunicazione giovane, un’app intuitiva e una fornitura proveniente da fonti sostenibili, NeN è un esempio di corporate entrepreneurship, ossia un progetto innovativo che nasce in pancia a una corporate (in questo caso A2A) e che viene affidato con autonomia e fondi alle competenze imprenditoriali di selezionati dipendenti.

Digitalizzazione, trasparenza e sostenibilità non avevano ancora toccato il settore della fornitura italiana nonostante i numerosi player: la digitalizzazione dei servizi (non solo energetici) e le nuove abitudini di consumo alimentate dal Covid-19 fanno di questo mercato un ulteriore campo di battaglia per startup innovative e corporate.

(In calce all’articolo il video dell’intervista completa)

 

Qual è stata la tua carriera prima di NeN e cosa ti ha portato a questo progetto imprenditoriale?

Prima di NeN ho fatto parte del mondo della consulenza: dapprima ho lavorato in una piccola società di corporate finance a Padova, città dove ho anche studiato, poi mi sono trasferito a Milano, in Boston Consulting Group, dove ho passato sei anni, durante i quali ha fatto anche un MBA in INSEAD.

Terminata l’esperienza in consulenza mi sono spostato nel mondo delle utility, che peraltro era proprio il settore che seguivo da consulente, andando in particolare a ricoprire il ruolo di in Innovation Manager in A2A.

È in questo contesto che è nata la mia esperienza di imprenditore, perché qui si è creato il gruppo che ha dato vita a NeN, dove ora mi occupo di marketing e comunicazione.

NeN quindi è un esempio di corporate entrepreneurship. Ma in concreto come avviene la nascita di un progetto imprenditoriale di questo tipo?

Il lancio è stato concepito e sostenuto anche finanziariamente da A2A. È di fatto un esempio di imprenditoria aziendale, in cui il progetto è stato affidato allo spirito imprenditoriale di due dipendenti, ossia Stefano Fumi, che attualmente è CEO di NeN, ed il sottoscritto. In sostanza è stato il tentativo da parte di A2A di rispondere in modo concreto all’evoluzione del mercato, anticipando i trend digitali non solo del settore, ma proprio in termini di modello di business generale.

Usando un’immagine, è come se A2A fosse una nave madre da cui si è staccata una piccola navicella che è stata mandata in esplorazione, con tutte le dinamiche tipiche di queste “avventure”: un gruppo di persone un po’ più propense al rischio, la maggiore agilità e velocità rispetto alla nave madre, l’opportunità di trovare cose interessanti ma allo stesso tempo il rischio di non trovarle e di dover tornare indietro.

Come si configura il vostro rapporto con A2A?

Essendo parte di un grande gruppo, abbiamo un cordone ombelicale per la parte di gestione finanziaria e contabile, nonché per tutto il mondo della compliance e del regolatorio. Ma per tutto il resto, pur ovviamente nel contesto delle linee guida dateci dal gruppo, abbiamo piena autonomia e velocità decisionale, che poi sono le classiche caratteristiche di una startup e sono il motivo per cui NeN esiste. D’altra parte se vuoi esplorare un nuovo segmento o modello di servizio, devi essere in grado di prendere decisioni molto velocemente, di crescere con le assunzioni in modo molto rapido, tutte cose che in un grande gruppo hanno tempi e processi più lunghi e complessi.

Quindi direi che NeN si sente parecchio startup, anche se appunto ha alle spalle un gruppo molto solido che la sta finanziando e che, se vogliamo, dà anche un endorsement rispetto a quello che stiamo facendo.

A livello di business model, sembra di individuare due pilastri, green e digital, ma come funziona esattamente NeN?

Tecnicamente NeN è un fornitore di luce e gas e lo fa con una value proposition che ha i due pilastri che hai citato, ma anche altri due, ossia quello della prevedibilità e quello della trasparenza.

Quindi in primo luogo senz’altro il digital: certo, ci sono le persone dietro, ma tutto quello che siamo e facciamo sta su una piattaforma digitale.

Il linguaggio della trasparenza ha lo scopo di svecchiare quello che è il modo di comunicare. Di solito il modello di vendita dell’energia infatti è particolarmente pushy. Del resto la fornitura energetica è qualcosa a cui di norma uno non pensa: per risvegliarti serve uno stimolo, quindi ti chiamano o ti incontrano in un posto fisico. Noi invece seguiamo un modello totalmente pull, basato su uno stile comunicativo non convenzionale che mira a risvegliare l’attenzione, costruire una user experience e guidare l’utente a chiudere il contratto. Ovviamente, in via digitale.

Un ulteriore aspetto interessante è che tipicamente le grosse utilities hanno in casa la fatturazione e le attività un po’ più tecniche, mentre esternalizzano la parte di marketing. Nel nostro caso il paradigma è invertito: abbiamo in casa la creatività, la comunicazione, gli analytics – queste sono le nostre killer feature ed è quello che siamo bravi a fare – mentre ci appoggiamo a fornitori esterni per fatturazione e quant’altro.

Infine, dal punto di vista tech non abbiamo soltanto l’interfaccia digitale ma a breve introdurremo dei dispositivi collegati alla nostra applicazione che aiuteranno il Nenner – così chiamiamo i nostri clienti – a consumare bene, e quindi risparmiare, grazie all’uso intelligente dei dati.

Che impatto ha avuto il Covid-19 sul business di NeN?

Noi siamo partiti nel giugno 2019 ma siamo sul mercato da fine marzo 2020, quindi per NeN non c’è un pre-Covid-19 perché di fatto è nata nel Covid-19. Di conseguenza non abbiamo dei dati per dire quanto ha impattato.

Tuttavia sappiamo quanto ha impattato sui piani che avevamo, in particolare sulla strategia di lancio iniziale. Dico soltanto che abbiamo dovuto cambiare il piano marketing quattro volte.

In generale, pur non avendo riscontro storico, è evidente che il Covid-19 ha portato a un risveglio di tutto quello che è mondo digitale e noi pensiamo di poter beneficiare da questo punto di vista.

A proposito delle modifiche del piano marketing, quali sono state le attività più impattate dal Covid-19 e, da Head of Growth, secondo te quali sono state le strategie di business development più efficaci in questo periodo?

NeN aveva una strategia che prevedeva un forte utilizzo dell’offline, quindi cartellonistica e, soprattutto per le attivazioni, guerrilla marketing. Queste sono tutte cose che, di fatto, non siamo riusciti ad adottare.

Questo però non ha cambiato le nostre strategie: le ha semplicemente spostate su canali dove potevano essere fatte. Per esempio in offline ci siamo rivolti al mondo del delivery, sviluppando partnership come canale per “entrare” in casa delle persone.

L’impatto più forte però è stato quello di dover pianificare e ripianificare più e più volte, come ho detto prima. Ad esempio, sarebbe stato fantastico avere lo spot TV di lancio pronto all’inizio del lockdown, perché poi la gente è stata in casa e gli ascolti sono saliti. Invece abbiamo continuato a posticiparlo in attesa di capire bene che cosa sarebbe successo, e alla fine abbiamo tirato la linea e lo abbiamo rimandato a metà giugno.

D’altro canto per noi ha funzionato molto bene l’influencer marketing, che ci ha dato grandi soddisfazioni sia lato awareness sia in termini di contratti e abbonamenti. Tra l’altro in questo senso abbiamo verificato che quello che conta non è tanto la size dell’influencer, quanto come è impostata l’attività, ossia in pratica la storia che raccontiamo.

In ogni caso il canale che funziona meglio per noi è quello della Google search perché vai a interagire con un target che sta già cercando quello che vuoi vendere. Parliamo sempre di paid, ovviamente, ma per noi funziona molto bene lavorare sul top e bottom funnel, quindi lavorare sul campo e con la nostra comunicazione, e poi raccogliere i frutti alla fine del funnel e convertire efficacemente l’utente quando ci cerca. Questa accoppiata comunicazione originale / Google search targetizzata per noi funziona molto bene.

Com’è andata la gestione del team durante il lockdown e quali sono gli strumenti che avete utilizzato per tenere alta attenzione e produttività?

Capire come organizzare il lavoro è stato complicato, perché chiaramente con lo smart working si perde visibilità su quello stanno facendo i vari collaboratori. Nel mio team abbiamo quindi adottato uno strumento, Jira, che ci permette di vedere fisicamente che cosa stanno facendo tutti quanti.

Lato pratiche manageriali, ci sentiamo tutte le mattine in uno slot fisso di mezz’ora per fare uno stand up, dove ognuno in pochi minuti racconta quello che sta facendo e quello che farà nel corso della giornata. Questo serve a me come responsabile per vedere se si sta andando in una direzione coerente con le priorità e anche ai ragazzi per sapere cosa stanno facendo gli altri ed essere tutti allineati.

A questo si aggiunge un incontro ogni due settimane in cui facciamo una retrospettiva su come stanno andando le cose, anche più a livello personale, sempre perché appunto non vedendosi fisicamente è più difficile cogliere questi aspetti ed eventuali frizioni.

Secondo te ciò che distingue NeN dagli altri operatori di un settore così stantio, e quindi attrae, è la leva della sostenibilità, della trasparenza o del digitale?

Secondo me sono tutte e tre, anche perché in definitiva parlano a tre target diversi.

Se sei una persona che vive il mondo in modo etico, lì NeN ha la leva molto forte del green che ti convince. Se sei un nerd che vuole sempre provare le ultime novità tecnologiche digitali, qui parliamo a te. È vero però che la terza, quella della prevedibilità e della trasparenza, è la leva che ad oggi cattura maggiormente l’attenzione: avere un modello ad abbonamento con una rata fissa è una cosa che tipicamente non si sente e quindi risulta interessante.

Tornando invece al mercato, qual è la vostra convivenza con i big player del settore e come vedi il futuro dei fornitori luce e gas?

Noi siamo piccoli e il mercato è estremamente frammentato – ci sono 800 fornitori – quindi direi che la convivenza è abbastanza pacifica. Certo, si sono sicuramente accorti di noi e questo lo speravamo: se stiamo dando un po’ di fastidio è perché abbiamo fatto quello che dovevamo fare.

In generale mi aspetto che arriveranno altre NeN perché c’è bisogno di intercettare questa evoluzione, poi che sia una grande azienda che vende prodotti completamente digitali o ci siano proprio modelli di business completamente digitali, per me sarà abbastanza indifferente.

Secondo me parte tutto dal concetto di base che la gente ha delle aspettative molto alte dai propri servizi, e questo lo vediamo in tutti i settori, dalle banche che si digitalizzano alla telefonia che si innova.

Mi aspetto anche che ci sia un consolidamento, e non soltanto tra i fornitori più grossi come sta avvenendo ora con le acquisizioni. I margini nel settore sono abbastanza risicati e quindi 800 fornitori sono tanti. Con la liberalizzazione del mercato sono entrati in tanti (noi compresi), però poi a un certo punto sopravviveranno quelli che hanno delle caratteristiche distintive e che sanno fare bene il loro lavoro.

Rispetto ai servizi invece credo che l’ambizione delle utility sia quella di rimanere vicino al core business. Nei decenni si è tentato sempre di allargare il più possibile lo spettro di servizi offerti, ma alla fine non è mai stato qualcosa di grande successo. Penso si possa proporre un ventaglio di servizi integrati, certo, ma sempre legati al servizio fondamentale.

Come hai visto la competizione tra corporate e startup in questo periodo di crisi?

Secondo me le startup hanno vinto in questa fase – penso ad esempio a tutto il mondo del delivery – essenzialmente perché hanno dimostrato di essere molto abili e veloci a reagire, una caratteristica che hanno nel DNA. Il reinventarsi per un’azienda grande invece è più complicato. In particolare, chiunque abbia una rete distributiva fisica ha pagato molto, invece una startup, che è in grado di creare un prodotto o un canale molto rapidamente, è avvantaggiata.

Mi viene in mente l’esempio di Miscusi, una startup molto “fisica”: hanno preso i sughi e le paste che vendevano nel negozio e in pochissimo tempo hanno tirato su un e-commerce e hanno cominciato a vendere online. Sinceramente non so se altre catene del food siano riuscite a reinventarsi con quella velocità.

Questo per me è l’esempio tipico di come uno pensa da startup: nel momento in cui c’è un casino, invece di pensare a come tamponare, pensa a come girare la barca e imboccare una direzione diversa. E magari ne approfitta, perché è vero che lì c’era un tema di sopravvivenza, ma ci sono anche delle opportunità.

A tuo parere quali sono le attività che lo Stato dovrebbe attuare per favorire e sostenere le startup in questo periodo?

Secondo me gli strumenti ci sono: il discorso delle PMI innovative, la defiscalizzazione, sono tutte cose che ho visto e che noi stessi abbiamo sfruttato.

Quello che deve cambiare è la velocità con cui questi strumenti vengono messi a disposizione. Una startup non è un’azienda che ha un respiro più ampio: due mesi per una startup che magari sta crescendo velocemente sono come due anni per un’azienda normale.

Ultima domanda di rito: tu che esperienze consiglieresti a un giovane che vuole buttarsi nel mondo imprenditoriale e lanciare una propria iniziativa?

La cosa bella del mercato del lavoro attuale è che uno può essere imprenditore senza partire da zero dal garage con l’idea che cambia il mondo: basta salire a bordo di una startup, e ce ne sono tantissime che sono in fase di lancio, di crescita o di scale up. Poi quando hai imparato come si fa, hai abbassato di molto il rischio per la tua iniziativa.

A quel punto se hai l’idea incredibile e devi farlo assolutamente, allora buttati e comincia a lavorarci: trova delle persone in gamba che salgano a bordo con te, raccontala a tutti, falla “distruggere”, perché tanto se non lo fai subito a un certo punto lo fa il mercato e ti conviene farlo finché non hai investito tanto tempo. È importante inoltre cercare delle persone che ti possano fare da mentor perché questa esperienza l’hanno già vissuta e quindi ti mettono davanti tutta una serie di situazioni che arriveranno. Cominciare a lavorare può anche essere utile per capire se ti piace o no, perché dopo che ci hai messo il naso magari capisci che preferisci un mondo più deterministico e con meno incertezze.

Ci sono un sacco di startup italiane e internazionali che cercano talenti: per me è una palestra che si può fare per un periodo e credo che faccia bene a qualsiasi percorso di carriera. Anche i recruiter cominciano a dare valore a chi ha fatto esperienze di questo tipo. Poi se si vuole sviluppare qualcosa di nuovo, a quel punto si parte già con un bagaglio di esperienza non indifferente.

 

Andrea Eugenio Ramella

Studi economici all’Università Cattolica di Milano, alla Maastricht University ed esperienze lavorative in startup. In Yezers è Public Affairs Associate e nel founding team di AdVelo.

Samuel Carrara

È scientific project officer presso la Commissione Europea dove si occupa prevalentemente di industrial value chains per le tecnologie low-carbon. In Yezers è membro del board e responsabile editoriale.