Gianluca Iorio (MiMoto): micromobilità e sharing chiave nei trasporti urbani

scritto da il 10 Settembre 2020

Il settimo appuntamento della rubrica “Call Me Startup – Storie di giovani imprenditori ai tempi del Covid-19” parla di mobilità e micromobilità urbana. L’ospite di oggi è infatti Gianluca Iorio, CEO e Co-Founder di MiMoto.

MiMoto viene lanciata nell’autunno del 2017 con l’obiettivo di fornire un mezzo di trasporto urbano veloce e sostenibile. Nasce così l’idea dei motorini elettrici, gialli e silenziosi che ormai sono presenti a Milano, Torino e Genova.

Il settore della mobilità urbana è stato uno dei più impattati dal lockdown, e non solo durante la crisi: le ripercussioni sulle abitudini dei cittadini e sulle metodologie di trasporto sono e saranno importanti anche durante la ripresa.

Durante il lockdown, per ovvie ragioni gli spostamenti sono stati pressoché nulli all’interno dei contesti urbani. Uno studio di Deloitte (“Covid-19: l’impatto sul futuro della mobilità”) sottolinea che il car sharing in Italia ha visto una contrazione degli utilizzi del 60%, con picchi fino al 70%. Il noleggio invece è stato colpito in modo ancora più drammatico, con un calo delle immatricolazioni rispetto al 2019 del 98% per il noleggio a breve termine e dell’88% per il lungo termine.

D’altro canto, a seguito della pandemia i servizi di mobilità potrebbero vivere una nuova primavera con l’incremento di forme di sharing nel mondo della micromobilità (monopattini, bici e scooter) che sono un modo sicuro ed economico di spostarsi all’interno delle metropoli. L’esodo verso aree urbane medio-piccole, tendenza che sembra prendere piede nel post-pandemia, impone inoltre un’evoluzione del modello di business per poter intercettare le nuove abitudini di consumo, anche a livello geografico. Ed è forse per questo che MiMoto ha recentemente lanciato il pacchetto mare per le località turistiche di Santa Margherita, Rapallo e Portofino?

Questa intervista ci dà anche la possibilità di parlare di exit. MiMoto ha infatti recentemente raggiunto un accordo con un’altra startup del settore, Helbiz, complementare in termini di mezzi di trasporto e che porterà MiMoto oltre i confini nazionali.

(In calce all’articolo il video dell’intervista completa)

 

Cosa hai fatto prima di MiMoto?

Vengo dal mondo economico-manageriale e ho iniziato la mia carriera lavorativa in consulenza. Ho lavorato per diverse realtà, tra cui Capgemini e Accenture, occupandomi del settore bancario-assicurativo.

Penso che il motivo di fondo per cui è nata MiMoto sia un po’ la spinta imprenditoriale che ho sempre avuto, a cominciare dal fare piccole cose al liceo e proseguendo con diverse esperienze anche all’estero, soprattutto nel mondo dell’entertainment.

Inoltre c’era sicuramente la voglia di dare un ritorno al territorio in cui viviamo, dato che inevitabilmente ci troviamo ad affrontare temi molto attuali come la sostenibilità e il cambiamento climatico. Abbiamo quindi individuato un settore che era lo sharing. All’epoca c’era già il car sharing free floating e il bike sharing station based, ma qualcosa di simile era presente solo in minima parte sui motorini (in particolare in America e nel Nord Europa), quindi è venuta fuori l’idea di colmare questo gap e di lanciare appunto un servizio di sharing di scooter elettrici.

Quali sono stati i primi passi dell’avventura imprenditoriale di MiMoto ?

L’idea è nata mentre io e gli altri soci fondatori lavoravamo, quindi nel tempo libero abbiamo cominciato le ricerche di mercato, a capire il modello di business, a contattare diversi fornitori sia di veicoli che di tecnologia. Poi, creati i primi tre prototipi funzionanti, abbiamo cominciato a raccogliere dei capitali che ci hanno permesso il lancio nell’ottobre 2017 a Milano.

Come funziona esattamente MiMoto?

Il sistema funziona tramite un’app attraverso cui, una volta iscritto, il cliente può noleggiare qualsiasi scooter nella città in cui si trova. Quando sei vicino allo scooter si sblocca tutto in maniera automatica, compreso il bauletto che contiene due caschi e delle cuffiette igieniche usa e getta. Ora abbiamo inserito anche un igienizzante per il casco. Il cliente noleggia per il tempo che desidera e poi lascia lo scooter dove vuole, chiaramente rispettando il codice della strada e all’interno di un’area operativa.

Qual è stato l’impatto del Covid-19 sul vostro business?

Con il lockdown le persone sono rimaste in casa, in pratica non c’è stato uno spostamento urbano e pertanto, con i vari decreti, abbiamo sospeso il servizio per circa due mesi.

Durante questo periodo, però, abbiamo lavorato a una serie di progetti che ci hanno consentito di ripartire ancora più forti e di strutturarci al meglio per gestire questa crisi.

In particolare quali servizi o iniziative avete lanciato durante il lockdown?

Il Covid-19 ha accelerato significativamente alcuni nostri progetti. In primo luogo, abbiamo concepito un’offerta dedicata al mondo corporate per supportare le aziende nella ripresa per far spostare i propri dipendenti, chiamata MiMoto for Biz. Poi abbiamo tutta un’offerta per supportare le nuove necessità dei ristoratori, fornendo scooter dedicati ai ristoranti e ai bar che devono offrire dei servizi di delivery.

Oltre a questo abbiamo costruito un nuovo pacchetto mobilità della durata di due anni che consente ai nostri clienti di avere un motorino praticamente per sé e a portata di app in qualunque città in cui siamo attivi, senza i costi fissi che tutti conosciamo – assicurazione, manutenzione e simili – e con un prezzo molto vantaggioso.

Quali sono state le strategie di comunicazione che avete adottato in questo periodo nei confronti di clienti, dipendenti e investitori?

Noi siamo una startup bottom-up perché sia io che i miei due soci siamo ragazzi che vengono da mondi completamente diversi, non siamo supportati da nessuna casa automobilistica o produttore di veicoli elettrici. Pertanto la creazione di MiMoto è sempre stata caratterizzata da questo approccio dal basso che abbiamo seguito anche in questo periodo: trasparenza con la clientela e aggiornamenti continui sulle fasi in cui ci trovavamo con la chiusura e la riapertura, e su tutte le precauzioni che avevamo adottato per la ripartenza. Con gli shareholders c’è sempre stato un continuo scambio per poter essere sempre allineati su quello che stiamo facendo, internamente e anche all’esterno.

E poi, subito dopo il lockdown è uscita la notizia che siete giunti a un accordo con Helbiz (società che offre micromobilità in sharing in USA, Italia e presto UK, ndr): ci puoi dire qualcosa in più?

È iniziato tutto alla fine del 2019 quando ci siamo incontrati. Era un periodo in cui sia noi che loro stavamo crescendo tanto e ci siamo piaciuti. Abbiamo entrambi lo stesso approccio bottom-up che citavo prima, siamo tutte e due realtà molto giovani create da persone altrettanto giovani che hanno voglia di contribuire al successo della mobilità sostenibile anche in Italia.

Per noi era scontato prima o poi andare a inserire diversi modelli di veicoli al di là dello scooter, quindi monopattino e bicicletta. Allo stesso tempo loro avevano l’idea di lanciare il motorino, pertanto abbiamo firmato questo accordo.

È un accordo strutturato in due fasi. In una prima fase, che è l’attuale, c’è un’attività di co-marketing e co-branding del servizio con integrazione a brevissimo delle applicazioni di entrambe le società da cui sarà possibile prenotare tutti i mezzi: scooter, monopattini, biciclette. In pratica nelle città in cui siamo attivi, sugli scooter oltre al logo MiMoto c’è anche il logo di Helbiz. Questa è un’attività di comunicazione e preparazione in vista della seconda fase che consisterà nell’acquisizione del 100% di MiMoto in seguito alla quotazione di Helbiz al Nasdaq. Si arriverà quindi ad un’integrazione completa, con lo sviluppo del business dei motorini anche al di là dei confini nazionali.

In queste situazioni, quando si arriva a un accordo con un altro partner, i founder della startup target cosa fanno? In particolare, tu che programmi hai?

Helbiz ha scelto MiMoto ma ha scelto anche le capacità imprenditoriali che abbiamo avuto io e i miei due soci. Quindi continueremo a sviluppare il business dei motorini, sia a livello italiano che internazionale, rimanendo all’interno di Helbiz. Di fatto ci occuperemo dell’internazionalizzazione di MiMoto insieme a Helbiz, a partire dalla loro capacità e dalla loro presenza sia su territori italiani che esteri.

Di solito in caso di acquisizioni succede proprio questo, ossia c’è un periodo di continuità con i founder della startup acquisita.

Come vedi il futuro di questo settore sia a livello europeo che americano, visto che Helbiz è proprio a cavallo di questi due continenti?

Nella mobilità ci sarà una conglomerazione di servizi e di player, quindi chi offre solo macchine tenderà ad offrire diversi veicoli con fusioni e acquisizioni. Nei prossimi due/tre anni penso ci saranno quattro/cinque attori principali. Quando siamo entrati noi, nel settore dei motorini eravamo in tre, ora ci sono più di venti player.

In America il monopattino rimane il mezzo più utilizzato ma anche lì ci saranno delle attività di integrazione. Alcune sono già avvenute tra player con monopattini, biciclette e motorini. Poi sicuramente ci sarà un incremento della formula ad abbonamento, cosa che già facciamo ma intendo anche con abbonamenti per sfruttare le diverse tipologie di veicoli in base alle necessità.

Pensi che il Covid-19 abbia o avrà degli impatti sulla mobilità urbana?

Sicuramente. Prima del Covid-19, qualsiasi servizio di trasporto in sharing era solo una cosa divertente da utilizzare, oggi diventa necessario perché ci sono problemi di spostamento e di aggregazione sui mezzi di trasporto pubblico. Quindi il Covid-19 ha dato sicuramente un boost a quello che è la mobilità in sharing e la micromobilità.

È vero che da un lato c’è stato il lockdown che ha causato un rallentamento dello sviluppo del business; dall’altro però, con la ripresa delle aziende e degli spostamenti in città, il settore in cui è presente MiMoto sarà fondamentale per poter offrire un servizio necessario.

Mi sembra che il grosso limite dell’ecosistema imprenditoriale italiano, fino ad oggi, sia che le startup fanno fatica ad essere acquisite da aziende o completare il processo di IPO. Cosa ne pensi?

A mio avviso ci sono due temi: un tema sviluppo imprenditoria e un tema exit.

In termini di sviluppo imprenditoria, sicuramente negli ultimi anni c’è più cultura, ci sono più possibilità di incontrare mentor e advisor che possono dare dei consigli utili per creare una nuova azienda o una startup. Indubbiamente in Italia siamo un attimo indietro rispetto ad altri paesi, ma le competenze e le capacità ci sono e credo che negli ultimi anni sia stato fatto un ottimo lavoro anche lato investimenti. Forse in Italia il match tra capitali e startup è un po’ più difficile perché ci sono molti capitali privati da allocare. Ultimamente però con l’intervento anche dello Stato tramite Cassa Depositi e Prestiti si sta facendo un buon lavoro e si sta iniziando un processo che in altri paesi era già avviato da diversi anni.

Sul tema exit, ci sono sicuramente degli incubatori, dei fondi, che riescono a mettere in contatto startup e aziende, perché altrimenti è difficile fare una exit. Nonostante questo, di exit in Italia ce ne sono state e ci sono tuttora. In particolare vedo una tendenza, ossia che avverranno molto più tra startup, quindi con una startup più avviata o comunque più grande che ne rileva un’altra, oppure con attività di open innovation da parte di corporate che hanno bisogno di internalizzare. E qui penso ad esempio al mondo fintech, dove il settore bancario ha iniziato a fare delle operazioni di questo tipo per accelerare il processo di crescita del proprio settore. L’Italia sta facendo un ottimo lavoro: c’è da lavorarci, c’è da fare un po’ di screening in più, ma nei prossimi anni possiamo fare la differenza rispetto ad altri paesi.

Secondo te come si prepara il campo ad accordi di questo tipo, quindi di acquisizione o di fusione?

Indubbiamente alla base ci deve essere un’idea che funziona, quindi non guardare solo alla scala e alla crescita del business, ma anche alla sua sostenibilità. Questo ormai è molto più importante. Sembra ovvio, ma non è sempre stato così: a volte si tendeva a premiare di più realtà che crescevano molto velocemente rispetto ad altre, ma alla fine il business ne risentiva e si doveva andare di aumenti di capitale.

Dall’altro lato è fondamentale il network, che credo sia veramente la prima cosa per creare impresa o comunque per sviluppare qualcosa di proprio. Un network di investitori e attori che possano supportare sia il processo di exit che di internazionalizzazione dell’impresa. E se cominciano ad entrare fondi statali o fondi esteri in startup italiane, questo si tira dietro il match con aziende estere per rilevare aziende italiane.

Da giovane a giovane, che consiglio dai ad aspiranti imprenditori?

Sicuramente quando uno vuole mettersi in proprio deve calcolare i pro e i contro della vita imprenditoriale: deve essere convinto e non farlo solo per moda o perché è l’idea del momento. Insomma, è fondamentale avere cognizione di causa quando si sceglie di fare l’imprenditore e validare la propria idea. Oggi peraltro ci sono tante metodologie e tante opportunità per farlo.

Detto questo, la perseveranza è ciò che mi ha dato la forza di creare MiMoto. L’idea mi era venuta nel 2013, quando stavo cominciando in consulenza appena conclusi gli studi universitari. Ci ho creduto tanto che continuavo a fare ricerche di mercato e ne parlavo con chiunque. A un certo punto ho incontrato i soci fondatori con cui poi abbiamo avviato l’azienda.

A tal riguardo, è fondamentale circondarsi di gente che abbia voglia di sporcarsi le mani e crederci, senza arrendersi ai primi no che possono arrivare da un potenziale cliente o da un potenziale investitore. MiMoto ha ricevuti tanti feedback negativi nei primi anni e a volte anche tuttora, e vanno anche bene – purché siano costruttivi – poiché servono ad aggiustare la propria idea o a migliorarsi dove si sbaglia. Uno che vuole fare impresa non deve buttarsi giù al primo no, sia di prodotto che di fundraising (che peraltro in Italia è un grosso tema). D’altro canto deve crederci il giusto e non innamorarsi troppo dell’idea. Perseveranza e realismo, insomma.

 

Andrea Eugenio Ramella

Studi economici all’Università Cattolica di Milano, alla Maastricht University ed esperienze lavorative in startup. In Yezers è Public Affairs Associate e nel founding team di AdVelo.

Samuel Carrara

È scientific project officer presso la Commissione Europea dove si occupa prevalentemente di industrial value chains per le tecnologie low-carbon. In Yezers è membro del board e responsabile editoriale.