Programma di riforma 2020: fusioni e innovazione passando per le filiere

scritto da il 25 Settembre 2020

Post di Eva Bredariol, avvocato Ph.D. specializzata in reti d’impresa e socia di Eutopian – Osservatorio europeo sull’innovazione democratica –

“È assolutamente necessario evitare che la crisi pandemica, inserendosi su un contesto di scarso dinamismo economico del Paese, nonché di complessi cambiamenti geopolitici a livello mondiale, sia seguita da una fase di depressione economica. Non vi è tempo da perdere, e le notevoli risorse che l’Unione Europea ha messo in campo devono essere utilizzate al meglio.”

Il PNR 2020 (Programma Nazionale di Riforma 2020), preso l’abbrivo nelle battute introduttive con questo monito, presenta linee strategiche che si snodano lungo nove direttrici di intervento. Tra queste se ne individuano due che polarizzano la nostra attenzione: intervenire su un tessuto economico più competitivo e resiliente e intervenire su un piano integrato di sostegno alle filiere produttive.

Poco più avanti nel PNR viene sottolineata l’esigenza di interventi specifici per favorire le operazioni straordinarie di fusione, acquisizione e aggregazione fra imprese migliorandone gli assetti dimensionali. Tra i nodi strutturali che determinano la bassa produttività italiana, nodi che interessano gran parte dei settori e che dipendono da una molteplicità di fattori, viene indicato il modello imprenditoriale basato prevalentemente su micro e piccole imprese e con scarsa propensione all’innovazione.

Oltre a ciò il PNR insiste, e a ragione, su un altro asset fondamentale: la riorganizzazione delle catene del valore e di rafforzamento dei rapporti di filiera, ribadendo come l’adozione di tecnologie 4.0 e la digitalizzazione del sistema produttivo costituiscono evoluzioni imprescindibili per ravvivarne la proiezione competitiva e rafforzarne le ‘difese digitali’ in molti settori e filiere.

Gli highlights di questa sezione del PNR 2020 sono presto identificati: aggregazione e innovazione, cardini di un processo intrapreso, con le reti di imprese, dal nostro Paese da oltre un decennio e che ora, nel disorientamento che caratterizza questo momento, meritano di esser tenute in attenta considerazione.

Ogni valutazione e analisi di politica industriale e imprenditoriale non può prescindere dal confronto con il problema del limite dimensionale dell’impresa italiana, ossia di un tessuto produttivo caratterizzato da un numero molto elevato di PMI, con una predominanza di microimprese e una quota relativamente bassa di medie imprese. In Italia, le piccole e medie imprese (PMI) rappresentano il 99,9% del totale delle attività economiche [1].

Il 95,3% [2] delle imprese italiane sono microimprese (con meno di 10 dipendenti), e questo, da sempre, ha conferito loro la capacità di essere snelle, elastiche, veloci, reattive (ricordiamo tutti, lo slogan “piccolo è bello”) tuttavia la dimensione ridotta, pur utile sotto diversi profili, si rivela spesso caratteristica fortemente limitante.

Limitante ove l’impresa necessiti di varcare i confini nazionali, limitante ove sorga la necessità di fare ricerca e sviluppo, limitante ove occorrano nuove conoscenze e skills e la singola impresa, da sola, non abbia la forza per cavalcare l’onda.

Era il 2009, alba del primo giorno sorto dopo il tramonto del 2008, quando nell’ordinamento giuridico italiano è stata introdotta la disciplina normativa sulle reti di imprese, offrendo, così, al mondo delle imprese una strategia di reazione alla situazione derivante dalla frammentazione proprietaria e dalla piccola dimensione delle imprese italiane, risposta che si è fatta via via più urgente nello scenario economico degli ultimi anni ed ora degli ultimi mesi.

In oltre un decennio si sono registrati significativi risultati in termini di crescita della competitività e della capacità innovativa delle imprese aggregate in rete e ne è prova il trend di costante crescita del numero di contratti di rete stipulati tra le imprese. Oggi, dopo undici anni, il fenomeno riguarda e coinvolge 37.080 imprese (aggregate con 6.372 contratti di rete) [3].

Le reti di imprese sono forme di aggregazione, e quindi collaborazione e cooperazione, volte all’accrescimento della capacità competitiva ed innovativa delle parti contraenti. Le reti trovano impiego in ogni settore produttivo, presentando talora assetto mono-settoriale, talaltra pluri-settoriale, coinvolgendo imprese di ogni dimensione e standing.

Da un’analisi [4] degli effetti del contratto di rete sulla performance delle imprese, comparando in chiave controfattuale i risultati prodotti da imprese in rete rispetto alle imprese simili in partenza, ma non in rete, è stato rilevato che quelle che hanno aderito a un contratto di rete hanno registrato una migliore dinamica occupazionale, superiore di 5,2 punti percentuali ad un anno, di 8,1 a due anni e di 11,2 a tre anni. L’impatto della rete sulla dinamica del fatturato di chi si aggrega è stato ancora più rilevante: da +7,4 punti percentuali dopo un anno a +14,4 dopo tre anni. Numeri indubbiamente eloquenti …e atti a dare risposta all’ istanza di crescita dimensionale delle PMI italiane.

Ma torniamo nuovamente al punto di partenza: aggregazione e innovazione, necessità di riorganizzare le catene del valore, rafforzare i rapporti di filiera, con l’adozione di tecnologie 4.0 e la digitalizzazione del sistema produttivo.

Digitalizzare significa tradurre in linguaggio digitale i processi, così da poterli gestire in maniera automatica e nel momento in cui si passa dall’approccio analogico a quello digitale, la digitalizzazione comporta la possibilità di ripensare il processo in questione, portandolo a miglior rapporto efficienza/efficacia. Di centrale importanza è non solo il rafforzamento delle competenze come ribadito nel PNR 2020, ma lo skill mix funzionale all’innovazione [5], poiché la tecnologia non è mero strumento, ma attore generativo del cambiamento [6]. Le imprese italiane sono in linea con la media OCSE in termini di integrazione degli strumenti ITC aziendali [7], tuttavia tutto questo “ […] ci porta nel punto esatto dove siamo e che (NDR forse) non sappiamo” [8].

La tecnologia digitale è oggi uno dei più forti driver dell’innovazione, innovazione che si declina in innovazione di prodotto, di processo, di mercato od organizzativa, ma il digitale, mutuando dal pensiero di Luciano Floridi, non è un tema di comunicazione, ma è un tema di creazione di ambienti.

A tal proposito, infatti, la trasformazione digitale è sì punto di accesso ad un ripensamento dei processi, ma processi che non sono solo ed esclusivamente quelli intra-aziendali, ma sono anche quelli inter-aziendali. La digitalizzazione, poiché investe i processi, se confinata dentro la singola realtà aziendale costituirebbe una contraddizione in termini. Le imprese, infatti, non sono monadi isolate ma anelli di catene articolate su una pluralità di attori. Il processo di evoluzione che la digitalizzazione innesca deve necessariamente e ontologicamente riguardare le filiere e le catene del valore che costituiscono la dorsale di un tessuto economico a rischio di scomposizione.

Non solo l’esperienza ultradecennale sul terreno delle reti di imprese, ma l’aver contribuito alla nascita di best practice già esistenti e operative mi permettono di sostenere, con convinzione, questa mia visione.

Le reti di imprese, in qualità di forme di organizzazione della collaborazione, rappresentano il paradigma attraverso cui strutturare e gestire l’innovazione di filiera. Si assiste, a ben vedere, a una sorta di eterogenesi dei fini o di inversione di prospettiva, le reti di imprese sono nate affinché l’aggregazione consenta di perseguire innovazione (in un’ottica in cui le imprese conseguono l’innovazione attraverso l’aggregazione), tuttavia ora i termini dell’equazione possono prestarsi ad una lettura invertita: l’innovazione per raggiungere le imprese – lì ove queste di fatto operano in catena o filiera – necessita di uno strumento o di una soluzione giuridica che ne aiuti la gestione: i contratti di rete. Essi, infatti, possono costituire la soluzione tecnico-giuridica idonea a disciplinare l’innovazione che investe e riguarda ambienti condivisi e processi trasversali.

 

NOTE
[1] Marco Bianchini and Insung Kwon, Rapporto Blockchain per Start-up e PMI in Italia – Documenti OCSE sulle PMI e l’imprenditoria 

[2] Struttura e competitività del sistema delle imprese industriali e dei servizi” – Istat 2014 

[3] Dati Infocamere, aggiornati al 3.9.2020 http://contrattidirete.registroimprese.it/reti/ 

[4] Da Reti d’Impresa. Gli effetti del contratto di rete sulla performance delle imprese. Confindustria Centro Studi- Istat- Retimpresa, novembre 2017) 

[5] Si vd. Management e innovazione dei modelli di business. Rapporto 2019 Osservatorio 4.manager 

[6] S. Epifani, perché la Sostenibilità non può fare a meno dalla trasformazione digitale, Digital Transformation Institute, 2020 

[7] Marco Bianchini and Insung Kwon, Rapporto Blockchain per Start-up e PMI in Italia – Documenti OCSE sulle PMI e l’imprenditoria https://www.oecd-ilibrary.org/docserver/bdbbb4ea- 

[8] N. Bidoia, Verso il tuo nome, Lietocolle 2005.