Il Recovery Fund al ballo del cane che si morde la coda

scritto da il 26 Ottobre 2020

Da mesi il mondo è alle prese con i problemi sanitari causati dal Covid-19 e con i guai economici conseguenza delle misure adottate per contenere la diffusione del virus. Sembra il ballo del cane che si morde la coda. Mentre i paesi occidentali si cimentano in piroette e plié per contemperare le fondamentali esigenze in conflitto con metodi democratici, i paesi dove le più basiche libertà individuali non sono riconosciute possono permettersi di ballare una haka maori. Insomma, con modalità diverse tutti affrontano le stesse tematiche: salute ed economia. E col passare del tempo, il rischio di dimenticarsi definitivamente dei problemi sociali e culturali rimasti sullo sfondo diventa sempre più concreto.

Nell’ultimo anno, alle problematiche sociali derivanti dallo spostamento in capo all’intelligenza artificiale ed ai robot di mansioni che prima erano a carico di persone fisiche, si sono sommate le misure di distanziamento che sembrano aver aumentato l’isolamento dell’individuo. In molti si sono trovati chiusi in casa senza prospettive per il futuro e senza avere un ruolo nel presente. Tutto questo potrebbe avere importanti ripercussioni sulla mobilità sociale: la possibilità per l’individuo di passare, grazie al proprio lavoro, da uno status sociale ad un altro.

Secondo la direttrice del Cern Fabiola Gianotti, in un contesto dove il 50% degli impieghi tradizionali potrebbe cessare di esistere, “un robot non potrà mai avere la complessità e la ricchezza del pensiero umano” dovendosi escludere “un passaggio dell’intelligenza, della curiosità, della creatività umana al robot”. Se le posizioni che implicano l’utilizzo di creatività, ingegno ed iniziativa sembrano al sicuro a contrariis sembra potersi affermare che molti dei lavori manuali e di bassa-burocrazia potrebbero sparire. Sarebbe, pertanto, sempre più difficile iniziare la propria carriera lavorativa dalla base, fare gavetta e scalare la piramide. Insomma, il cassiere di un fast-food non potrà mai divenirne dirigente se il cassiere è un monitor.

In prospettiva, dunque, appare sempre più imprescindibile l’ottenimento di un bagaglio sia tecnico che culturale di alto livello per potersi inserire in un contesto lavorativo più qualificante. La direttrice del centro di ricerca di Ginevra individua proprio nella formazione dei giovani la chiave di volta della questione ed auspica che questa possa essere il più possibile completa ed ampia e che, accanto ai tecnicismi, trasmetta capacità logica, senso critico e capacità di evolvere.

La formazione, quindi, come strumento per prepararsi al futuro e come mezzo di mobilità sociale.

Ma la formazione non si esaurisce nelle aule delle istituzioni scolastiche (o nei pixel di una video-lezione). L’arricchimento personale e culturale dell’individuo deriva in gran parte dall’ambiente sociale che lo circonda e dalle possibilità, dai modelli e dagli slanci che questo gli offre. Quanto più è limitata la possibilità per la persona di muoversi ed “assembrarsi”, tanto più questa sarà portata a rimanere ancorata ai contesti familiari e micro-sociali di appartenenza.

Il lavoratore sostituito dalla macchina, se non riesce ad individuare altre prospettive attraverso lo studio, l’esperienza e la ricerca, anche in contesti sociali diversi rispetto al proprio di origine, alla lunga non potrà che affidare la propria sopravvivenza a misure assistenzialistiche. E, in un’epoca in cui pare possibile ed auspicabile fare acquisti, svagarsi, informarsi, discutere, guadagnare facile ed amare online, le ragioni per uscire di casa rischiano di apparire davvero ridotte.

Insomma, un altro ballo del cane che si morde la coda. E ancora una volta è l’immobilità sociale che rischia di far inciampare la ballerina.

Il Global Social Mobility Report presentato dal World Economic Forum (Wef) per il 2020 vede l’Italia al 34° posto per mobilità sociale, all’ultimo posto fra i paesi del G7. In occasione della presentazione del report è stato ricordato come la mancanza di mobilità sociale rappresenti un serio problema per l’economia: “Il capitale umano è la forza trainante della crescita economica. Di conseguenza, tutto ciò che mina la migliore allocazione di talenti e impedisce l’accumulo di capitale umano può ostacolare in modo significativo la crescita… se il livello di mobilità sociale aumentasse potrebbe fungere da leva per la crescita economica”. Secondo l’Index Wef, “il raggiungimento di livelli più elevati di mobilità sociale deve essere percepito come un elemento importante di un più ampio spostamento verso un modello di capitalismo basato sugli stakeholders”

Se quanto detto è anche solo in parte vero, ecco che i nostri governanti sono chiamati ad una prova che non ammette errori. L’occasione c’è ed è enorme: l’utilizzo mirato e profittevole del Recovery Fund.

Il presidente della commissione Bilancio, Fabio Melilli, ha individuato come priorità “le direttrici ferroviarie, la lotta alle discriminazioni di genere e la rinascita delle aree colpite dai terremoti”.
Se si vuole che i fondi europei rappresentino il punto di partenza per un effettivo rilancio della società e dell’economia, gli obiettivi stabiliti dal Parlamento dovranno essere perseguiti in un’ottica che consideri gli aspetti sociali e culturali, vero motore del progresso. Per farlo, occorre che l’attenzione sia rivolta ad un coinvolgimento attivo della cittadinanza, evitando che gli unici a trarne beneficio siano i “soliti pochi”.

Edoardo Fornaro