La crisi Covid, le mire sul risparmio e le insidie dei nuovi Pir alternativi

scritto da il 24 Novembre 2020

Autore di questo post è Costantino Forgione, consulente finanziario –

La crisi sanitaria determinata dalla pandemia di Covid19 ha imposto gravi limitazioni alle attività produttive con pesanti riflessi sull’economia italiana, tra le più colpite in Europa. Le finanze statali risentiranno anch’esse del forte aumento di spesa pubblica necessario a supportare famiglie ed imprese colpite dalla crisi.

Nelle sue ultime stime la Commissione Europea prevede per l’Italia un calo del PIL 2020 pari al -9,9%, peggior valore europeo dopo quello della Spagna. Già nel 2018 e 2019 la nostra crescita del PIL era l’ultima in Europa con un modesto +0,9% e +0,3%.

schermata-2020-11-23-alle-16-15-24

Il crollo del PIL, unito all’aumento del debito pubblico conseguente alle manovre di spesa straordinaria attuate per l’attivazione di bonus, ristori ed altri interventi di aiuto a famiglie e imprese, porterà il rapporto debito/PIL italiano dal 135% pre-Covid al 160% nel 2020-2022, il peggior valore in Europa dopo quello della Grecia.

schermata-2020-11-23-alle-16-15-39

Nell’attuale clima di grande incertezza gli italiani hanno aumentato il loro risparmio incrementando lo stock di liquidità su conti correnti infruttiferi dai 1.470 miliardi pre-Covid agli attuali 1.680 miliardi, un valore pari a quello del nostro Prodotto Interno Lordo annuo.

A fronte di un ammontare di risparmio privato sempre più elevato e la contemporanea necessità di finanziare un debito pubblico crescente il Governo, per il tramite del Tesoro, sta cercando di invogliare i risparmiatori italiani a sottoscrivere maggiori quote del Debito tramite emissioni di BTP Italia e BTP Futura, su cui abbiamo già avuto modo di commentare.

Già nel 2017, peraltro, il Governo aveva cercato di indirizzare il ricco risparmio privato nazionale a supporto dell’economia reale, e quindi al finanziamento delle piccole e medie imprese italiane, tramite l’istituzione dei PIR – “Piani Individuali di Risparmio” che prevedevano per la prima volta l’esenzione dall’imposizione fiscale sulle eventuali plusvalenze se detenuti per almeno 5 anni.

Il meccanismo fiscale funzionava ovviamente anche al contrario, ovvero non sarebbe stato possibile compensare le eventuali minusvalenze, ma questo non fu particolarmente enfatizzato.

Alla loro nascita i PIR furono salutati con grande entusiasmo da Banche e Società di Gestione del Risparmio in quanto rispondevano perfettamente a due caratteristiche per loro molto importanti:

1 – grazie al beneficio fiscale offerto agli investitori si potevano proporre nuovi fondi PIR con un sensibile aumento delle commissioni di gestione, costi che sarebbero stati assorbiti dal beneficio fiscale senza che il sottoscrittore ne potesse avere troppa evidenza.
2 – era un ottimo sistema per convincere i clienti a mantenere l’investimento per cinque lunghi anni e non disinvestire anche qualora le performance dei PIR fossero state negative, come in effetti è stato nel 2017-2018, in quanto altrimenti si sarebbero persi i supposti benefici fiscali.
Tramite i PIR l’industria del risparmio gestito e le banche collocatrici avevano quindi ottenuto una fantastica “macchina da commissioni” che avrebbe mantenuto per almeno 5 anni un ricco flusso reddituale, superiore a quello dei fondi comuni tradizionali che avevano il difetto di poter essere venduti in ogni momento senza presunte penalizzazioni.
Nel gennaio 2019 la revisione della normativa PIR attuata con la Legge di Bilancio ha poi di fatto bloccato le nuove sottoscrizioni in questo tipo di fondi.

*****

L’istituzione di PIR, BTP Italia e BTP Futura non sembrano tuttavia aver placato le mire di Governo e mondo finanziario sui risparmi degli italiani: inquadrati all’interno della normativa europea sugli ELTIF (European Long Term Investment Funds) stanno infatti arrivando i nuovi PIR Alternativi, nuovo strumento per “convogliare le grandi risorse del risparmio italiano a supporto dell’economia reale nazionale”, anche stavolta in cambio di esenzioni fiscali sulle eventuali plusvalenze. Una economia reale le cui prospettive, purtroppo, non sembrano al momento positive.

A torto o a ragione gli italiani avranno le loro motivazioni per non voler investire, ma questa insistenza di politica e mondo finanziario nel tentare di attingere al loro risparmio comincia ad essere inquietante (e probabilmente controproducente).

È indubbio che 1.680 miliardi di risparmio nazionale lasciato infruttifero sui conti correnti sia un enorme spreco di risorse per il Paese e per i risparmiatori italiani che per paure più o meno immotivate, disinformazione o semplice pigrizia rinunciano così a costruirsi un futuro finanziariamente più solido. È un problema di cui dobbiamo farci carico noi Consulenti Finanziari.

Assai meno chiaro è invece comprendere come questi nuovi strumenti che stanno per essere offerti ai risparmiatori italiani possano essere una soluzione efficiente all’investimento delle loro risorse.

L’istituzione dei nuovi “PIR Alternativi”, introdotti dal “Decreto Rilancio” del maggio 2020 e fortemente voluta da AssoGestioni (l’associazione delle Società di Gestione del Risparmio), apre anche al mondo degli investitori al dettaglio, quelli che dovrebbero essere più tutelati dalla normativa Mifid II, la possibilità di investire in aziende italiane non quotate, fondi di private equity, venture capital e distressed credit. Si tratta di attività finanziarie generalmente rischiose ed illiquide, precedentemente riservate alla sola clientela istituzionale e professionale, l’unica in grado di poterle valutare adeguatamente.

I PIR Alternativi saranno tipicamente fondi chiusi, ossia non vendibili prima della scadenza, normalmente 8-10 anni, e che investiranno su attività non quotate.

Non investendo su titoli quotati su cui è osservabile un prezzo di mercato sottostante i nuovi PIR alternativi non potranno fornire una puntuale rappresentazione periodica del loro valore, come invece accade per altri strumenti di investimento: il sottoscrittore potrà valutare la qualità ed il ritorno del suo investimento solo alla scadenza finale.

Il marketing di banche e SGR enfatizza positivamente l’aspetto di illiquidità di questi nuovi strumenti e la loro “mancata correlazione” con altre classi di investimento, sostenendo che l’assenza di prezzi comporterà una sostanziale stabilità del valore dello strumento, consentendo una diminuzione della volatilità del portafoglio complessivo.

Tuttavia, ignorare il reale valore delle attività in cui si è investito non corrisponde necessariamente ad una vera diminuzione di rischio e volatilità, ma ad una semplice inconsapevolezza di tali variabili, il che può tenere il cuore in pace ma non comporta affatto che il valore dell’investimento resti davvero costante o cresca nel tempo.

*****

Ricordiamo inoltre che questa tipologia di fondi non è un semplice fondo, ma un fondo di fondi distribuito da un intermediario. Sul risparmio dell’investitore graveranno quindi:

1 – i costi dei singoli fondi che investono nelle aziende

2 – i costi del fondo che investe nei singoli fondi sottostanti

3 – le commissioni di distribuzione dell’intermediario/banca

Questa triplicazione di commissioni potrà comportare tranquillamente un costo totale annuo del 4-5% (oltre alle commissioni di performance) che, moltiplicato per circa 9 anni di vita media dell’investimento, comporteranno costi totali pari al 35-50% del capitale investito, una enormità.

Dopo un simile profluvio di costi e commissioni, per riuscire a dare ritorni finali commisurati ai rischi ed all’orizzonte temporale assunto (entrambi elevati) sarà necessario che i gestori riescano ad ottenere rendimenti medi annui di almeno l’8-10%, difficilmente realizzabili in un mondo a tassi negativi ed in una economia sofferente come quella italiana.

Le delusioni per gli investitori (tra 10 anni) sembrano quindi molto probabili.

Le società di gestione e le banche, come già successo per i PIR prima versione, sono invece entusiaste di questo nuovo strumento e stanno sfornando un prodotto dietro l’altro: hanno ottenuto la possibilità di collocare al pubblico indistinto fondi invendibili per molti anni, di cui non si conoscerà il valore fino alla scadenza (per anni nessun cliente si lamenterà) e che garantiranno per un lungo periodo di tempo un flusso commissionale elevatissimo, superiore a quello, già elevato, dei PIR prima versione.

Vale quindi la pena di chiedersi perché mai (escludendo il Patriottismo) un investitore retail italiano già fin troppo esposto al Rischio Italia dovrebbe essere indotto ad avventurarsi in simili investimenti, illiquidi, invendibili, dalla dubbia redditività finale e sicuramente costosissimi.

*****

Fatte salve esigenze particolari, per la maggior parte dei risparmiatori non c’è davvero bisogno di avventurarsi in simili investimenti, quanto piuttosto di:

– Un rischio di portafoglio realmente allineato alle caratteristiche del risparmiatore

– Una buona diversificazione

– Un orizzonte temporale definito sulle necessità individuali dell’investitore

– Prodotti trasparenti, liquidi e con costi sensati

I nuovi PIR Alternativi non sembrano avere nessuna di queste caratteristiche, con buona pace del risparmio degli italiani.