Covid-19, l’azzardo di puntare sull’emergenza e sulla paura

scritto da il 27 Novembre 2020

Post di Cristiano Codagnone, socio di Open Evidence, ricercatore di sociologia presso l’Università degli Studi di Milano e professore alla Universitat Oberta de Catalunya (UOC) –

Sgombriamo subito il campo da possibili accuse di negazionismo. Il Covid-19 è temibile, causa seri problemi e spesso la morte per una certa percentuale di popolazione. Ha messo e sta mettendo a dura prova il nostro sistema sanitario. Questo non è in discussione. Senza essere accusati di negazionismo, si può invece liberamente dibattere se il lockdown sia una misura efficace e se l’approccio comunicativo sia appropriato, non solo rispetto alla gestione della pandemia, ma anche avendo a cuore la necessità di far ripartire l’economia e la vita sociale. Iniziamo dai fatti e poi passiamo alle opinioni.

Fatti stilizzati
Non esiste evidenza scientifica conclusiva che dimostri l’efficacia del lockdown. Alcuni studi statistici sembrano suggerire che l’andamento del contagio sia una invariante non impattata in modo decisivo dalle restrizioni (si veda allegato). Questo dovrebbe per lo meno ingenerare il beneficio del dubbio. L’efficacia non è dimostrata, mentre gli effetti collaterali negativi sono tangibili e tutti ampiamente misurati e scientificamente validati. Il primo studio a misurarli è quello realizzato da Open Evidence (1) in Italia, Spagna e Regno Unito, i cui risultati hanno di recente ricevuto validazione dalla comunità scientifica (2).

Secondo lo studio di Open Evidence, avere condizioni economiche di partenza disagiate (basso reddito, limitati spazi abitativi, mancanza di risparmi) e aver subito shock dovuti al Covid-19 e al lockdown (diminuzione guadagni, chiusura attività, perdere il lavoro, etc.) espongono ad un rischio per la salute mentale il 43% del campione (rappresentativo della popolazione nei tre paesi, 10,000 interviste). Pertanto, questi effetti sono fortemente diseguali e aumentano le diseguaglianze esistenti. Inoltre, emerge con evidenza come ci sia un implicito dissenso con le politiche in atto: in tutti e tre i paesi più del 60% del campione totale ritiene che evitare la crisi economica sia tanto importante quanto tutelare la salute e lamenta che il governo imponga restrizioni alle libertà individuali senza fornire un piano chiaro e coerente di uscita dalla crisi. Risultati egualmente preoccupanti riguardano le aspettative future, la paura diffusa, e i possibili mutamenti comportamentali di lungo periodo: il 91% del campione considera abbastanza probabile o molto probabile una depressione economica; il 77% teme che ci vorrà più di un anno per tornare alla normalità; il 56.2% del campione considera abbastanza probabile e/o molto probabile una restrizione permanente dei nostri diritti e libertà.

Una lunga serie di ricerche e statistiche pubblicate successivamente confermano i risultati di Open Evidence. L’Oms ha lanciato l’allarme sulla salute mentale e sulla fatica comportamentale (3). Una ricerca condotta in Gran Bretagna, in coincidenza con la risalita del contagio questo autunno, rileva un’impennata degli stati di ansia e depressione insieme alla sfiducia diffusa verso le misure governative (4). La rivista Lancet negli ultimi mesi ha pubblicato almeno una decina di studi che evidenziano un costante peggioramento della salute mentale (5). Un editoriale del British Medical Journal anticipando i temi di una ricerca in corso, indica che il Covid-19 e le misure di lockdown stanno accentuando le diseguaglianze esistenti e creandone di nuove (6).

Opinioni
Lo studio di Open Evidence forniva chiare indicazioni per gestire la ripartenza: i governi avrebbero dovuto intraprendere azioni idonee a scongiurare il precipitare in una lunga fase di precarietà e depressione economica e lavorare per ristabilire fiducia e speranza, utilizzando le migliori risorse nel dare forma a strategie di comunicazione efficienti. Parole, a quanto pare, inascoltate.

I governi si sono trovati impreparati e non hanno avuto a disposizione altri mezzi che il lockdown. Riconosciuto ciò, è indubbio che abbiano fallito a livello di strategia comunicativa, oltre che nell’intraprendere altre misure. Se il lockdown non può da solo far scomparire il virus, d’altra parte ci permette di comprare tempo. Durante questo tempo, specialmente nei tre mesi estivi, si potevano potenziare le strutture di assistenza territoriali e adottare una linea univoca di comunicazione e azione. Così non è avvenuto.

Le credenze, le paure, e le regole di comportamento sono state scosse in quanto da mesi ormai stiamo erodendo le fondamenta della socialità e dell’economia: scambio e mobilità. Da febbraio a oggi la crisi è stata ‘incorniciata’ dentro uno stato di radicale incertezza e di paure continuamente alimentate dai governi e dai media. I tempi della scienza sono lunghi e non abbiamo certezza e consenso conclusivo su tutti gli aspetti clinici ed epidemiologici, sebbene chi lavora sul campo stia costantemente migliorando le terapie. In questa condizione di ambiguità e incertezza, i governi hanno scelto di seguire il principio di precauzione e adottare il lockdown, ma lo hanno fatto in modo non coerente e altalenante. Molti governi sono partiti da un’ipotesi di base sbagliata in democrazia: una profonda sfiducia nei confronti della cittadinanza. Come se di fronte ad un pericolo così grave, noi cittadini non saremmo stati in grado di cambiare da soli i nostri comportamenti.

Campo de Fiori, la celebre piazza romana deserta durante il lockdown ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Campo de Fiori, la celebre piazza romana deserta durante il lockdown
ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Infatti, dopo l’estate sono tornati i decreti, l’uno a breve distanza dall’altro e la matassa della paura si è rapidamente riannodata. La strategia emergenza/paura sta fallendo su almeno tre dimensioni.

La prima è il grado di adesione alle indicazioni governative e alle prescrizioni dei decreti. La fatica comportamentale riduce la capacità di continuare a rispettare le restrizioni. Le proteste e i disordini ne sono un indicatore, ma anche il fatto che, nonostante i nuovi decreti, si vedano in giro molte più persone che a marzo e aprile.

La seconda riguarda il sovraffollamento dei pronto soccorso e degli ospedali anche da parte di individui che potrebbero tranquillamente rimanere a casa. Costoro, non adeguatamente assistiti dalle strutture territoriali e impauriti da quello che leggono sui giornali o sentono in televisione, si precipitano inutilmente negli ospedali intasandoli.

La terza dimensione è quella della ripartenza economica. Questa dipende da una costruzione collettiva che si fonda sulle decisioni delle famiglie e delle imprese. Le aspettative sono uno dei principali meccanismi di coordinamento dell’economia. Oggi questo meccanismo si è rotto a causa dell’incertezza radicale che genera paura e aspettative pessimiste. Dalla nostra ricerca emergono cambiamenti comportamentali: le famiglie non consumano anche quando potrebbero e non si occupano attivamente di gestire i propri risparmi, mentre le imprese non fanno investimenti e non prendono decisioni. In lavoro da remoto le decisioni sono procrastinate o bloccate. Il mio capo non decide? Allora perché dovrei farlo io. Grandi imprese ancora liquide non pagano i piccoli fornitori a causa del blocco della catena decisionale, e molti di questi sono destinati al fallimento. Siamo disposti a scommettere sul futuro?

È tempo di rimettere in funzione la fabbrica sociale. Ridurre il quadro di incertezza, prepararsi per le conseguenze delle scelte che abbiamo sbagliato e dei cambi che abbiamo introdotto: questo ci dicono i dati. Siamo di fronte a una crisi più difficile di quella del 2008-2010. Non basta come allora, un prestatore di ultima istanza e non bastano le misure economiche di sostegno. I nostri governanti devono ristabilire fiducia e speranza. Abbiamo bisogno di una leadership in grado di scuotere le menti e i cuori per farci ripartire. Le scienze comportamentali hanno un armamentario di strumenti che possono decostruire la paura, ricostruire aspettative ottimiste, e far ripartire decisioni e azioni da parte di famiglie e imprese. È tempo che i governi facciano ricorso a questi strumenti e migliorino la propria strategia di comunicazione.

Allegato: Dubbi sull’efficacia del lockdown
Di seguito solo una breve selezione di studi statistici (e una simulazione) tra i tanti disponibili e che, senza compiere attribuzioni causali, d’altra parte mettono in discussione in modo robusto che ci sia una correlazione dimostrata tra andamento del contagio e l’introduzione di politiche di distanziamento sociale e lockdown. Un caveat è d’obbligo. Tutte queste ricerche analizzano i dati della cosiddetta prima ondata. Ovviamente è troppo presto aspettarsi analisi statistiche e scientifiche affidabili per la seconda ondata. Rimane dunque ancora da verificare se le nuove misure restrittive avranno un effetto dimostrabile sulla seconda ondata tuttora in corso.

Andrew Atkeson e colleghi hanno confrontato i dati di contagio e mortalità in 25 stati degli USA e in 25 paesi (i primi per livello di contagio) e li hanno messi in relazione con il diverso grado di restrizioni adottate in queste 50 unità di analisi (7). Hanno concluso che non esiste una correlazione statisticamente significativa e suggeriscono che l’andamento della pandemia sia una invariante non impattata da quelle che loro chiamano politiche non farmaceutiche di intervento, ovvero diversi gradi di distanziamento sociale e lockdown.

Rabail Chaudry e colleghi hanno realizzato uno studio comparativo dei 50 paesi con il più alto livello di contagio che è stato pubblicato da The Lancet (8). Anche in questo caso i dati sul livello del contagio e sulla mortalità sono stati messi in correlazione con il grado di adozione di misure di distanziamento sociale e lockdown, nonché con altre variabili demografiche (i.e., età mediana della popolazione) socioeconomiche (i.e., tasso di obesità, livelli di diseguaglianza di reddito, PIL pro-capite), e con misure del livello di preparazione dei sistemi sanitari. Il risultato più rilevante è che il livello del contagio e il tasso di mortalità risultano fortemente correlati con il tasso di obesità e con l’età mediana della popolazione, ma non con le misure restrittive adottate. Il livello di mortalità non è più basso nei paesi che hanno adottato subito severe restrizioni rispetto ad altri paesi che lo hanno fatto in ritardo, oppure hanno adottato misure più leggere, oppure non ne hanno adottata nessuna.

In Germania, Thomas Wieland ha analizzato i dati di 412 province tedesche e ha concluso che la diffusione del contagio era in calo prima dell’inizio del lockdown nazionale e che le misure di coprifuoco aggiuntive introdotte in Baviera e in altri stati non hanno avuto alcun effetto (9).

Simon Wood, dopo una rigorosa e sofisticata analisi statistica, ha concluso che il contagio nel Regno Unito era cominciato a scendere prima del lockdown nazionale introdotto il 24 marzo e che anche in Svezia il contagio è iniziato a diminuire 2 giorni dopo rispetto al Regno Unito (10). Un’altra analisi, quindi che suggerisce come l’andamento del contagio sia un invariante non impattata dalle politiche di distanziamento sociale.

Infine, un team di esperti di fisica e modelli di simulazione dell’Università di Edimburgo, ha pubblicato sul British Medical Journal un articolo che, usando lo stesso modello del Imperial College (quello che ha indotto Johnson ad introdurre il lockdown nazionale) ma alimentandolo con migliori dati e ipotesi che sembrano più realistiche sul livello di R, giungono a conclusioni che appaiono profetiche. Secondo questi studiosi, se implementato correttamente, questo modello avrebbe predetto una riduzione della pressione sulle terapie intensive a seguito del lockdown, ma anche che il lockdown avrebbe prolungato la pandemia e causato più morti. Gli autori concludono che, al contrario di una strategia focalizzata sulla protezione delle fasce più deboli della popolazione, il lockdown generalizzato produce una riduzione della pressione sulle terapie al costo di un maggiore numero di morti nel lungo periodo. Si tenga conto che l’articolo è stato accettato il 15 settembre e quindi, dati i tempi della revisione da parte dei pari, queste predizioni sono state fatte molto prima che si avesse evidenza della seconda ondata.

NOTE

(1) Rapporto completo Open Evidence: Longitudinal study on the effects of COVID 19 and lockdown in Italy, Spain, and United Kingdom

(2) Vedi: Assessing concerns for the economic consequence of the COVID-19 response and mental health problems associated with economic vulnerability and negative economic shock in Italy, Spain, and the United Kingdom

(3) Vedi: Pandemic fatigue. Reinvigorating the public to prevent Covid-19  

(4) Vedi: Covid-19 Social Study – UCL 

(5) Si vedano solo a titolo esemplificativo: a) Mental health before and during the COVID-19 pandemic: a longitudinal probability sample survey of the UK population (The Lancet); b) Addressing the public mental health challenge of COVID-19 (The Lancet)

(6) Covid-19: Why we must redraw the UK’s map of inequality

(7) Four Stylized Facts about COVID-19

(8) A country level analysis measuring the impact of government actions, country preparedness and socioeconomic factors on COVID-19 mortality and related health outcomes

(9) Flatten the Curve! Modeling SARS-CoV-2/COVID-19 Growth in Germany at the County Leve 

(10) Did COVID-19 infections decline before UK lockdown?

(11) Effect of school closures on mortality from coronavirus disease 2019: old and new predictions