Le energy communities: nuovo modello per un mondo post Covid

scritto da il 01 Dicembre 2020

Autore del post è l’avvocato Lorenzo Parola, partner dello studio legale Herbert Smith Freehills –

Dalla fine della Seconda guerra mondiale la crescita delle città, a ogni latitudine, è stata ininterrotta. Nel 1950 meno di un terzo della popolazione mondiale viveva in città e nel 2007, secondo le stime dell’ONU – per il primo anno nella storia – più persone al mondo vivevano in città che nelle zone rurali. Si prevedeva addirittura che la popolazione urbana avrebbe raggiunto il 68% entro il 2050 – più che raddoppiando nell’arco di un secolo.

Il processo di progressiva urbanizzazione della popolazione mondiale era ritenuto irreversibile, almeno fino alla pandemia da Covid-19. Ora l’isolamento urbano e l’allontanamento sociale hanno messo in discussione alcuni dei capisaldi della vita in città: la vicinanza, l’interazione, la convenienza, la sicurezza. Le aree metropolitane sono state le più colpite dal Covid-19, con il virus che si diffonde più velocemente proprio nelle aree densamente popolate.

La storia insegna che dopo ognuna delle peggiori epidemie che si sono ciclicamente succedute, nonostante i gravi effetti sulle popolazioni urbane, le città si sono riprese e hanno continuato a prosperare. Ci sono tutte le ragioni per aspettarsi che lo stesso avvenga anche questa volta. Probabilmente non assisteremo alla scomparsa della metropoli, ma occorre chiedersi come potranno cambiare gli equilibri demografici e riflettere sul ruolo che la questione energetica giocherà nella ridefinizione dei paradigmi che fino ad oggi abbiamo utilizzato.

Da quando il Covid-19 ci ha costretti al lockdown ed a una vita sociale ridotta, la domanda di energia ha rallentato il passo. Il graduale (e rinnovato, con la seconda ondata pandemica) spostamento della popolazione dalle grandi città ai piccoli centri ha già avuto – e, con tutta probabilità, continuerà ad avere – un impatto sulla distribuzione della domanda energetica. In un tale contesto di incertezza sarebbe forse opportuno svincolarsi dalla logica città-provincia per focalizzarsi invece sulla capacità delle popolazioni, istituzioni e utility di condividere uno spazio e dei servizi comuni, di essere comunità – al di là delle considerazioni sulla loro dimensione – e più precisamente comunità energetiche, Energy Communities.

Questo è proprio il modello prefigurato dalla direttiva UE 2018/2001 (RED II) che prevede utenze concentrate geograficamente in aree in cui gli utilizzatori coordinano i loro sforzi per la realizzazione di sistemi di fornitura energetica intelligenti ed efficienti, ottimizzando l’uso delle fonti rinnovabili e delle tecnologie nella generazione distribuita.

Questo modello di produzione e consumo può portare diversi benefici: dal decremento delle spese di approvvigionamento, all’efficientamento dei profili di prelievo di energia dalla rete, ad una migliore qualità e affidabilità della fornitura fino alla più semplice e coordinata integrazione delle fonti rinnovabili.

La ridefinizione delle priorità energetiche in una logica di comunità concorre ad una maggiore autonomia, sostenibilità ed efficienza, obiettivi strategici, oggi prioritari, consolidati e difficilmente divisivi. Affinché questo paradigma emerga e si consolidi sono necessari: investimenti in infrastrutture energetiche e nella generazione da fonti rinnovabili; un complesso normativo-regolamentare adeguato; una sostenibilità ed economicità per il sistema energetico di mercato, le utility e l’utenza finale; la sensibilizzazione e formazione di una “cittadinanza energetica” conscia dei benefici legati a questi processi e padrona degli strumenti necessari per renderli reali.

Ragionare in una logica di comunità integrata, armonizzando le scelte e gli obiettivi di tutti i player – privati ed istituzionali – potrebbe permettere di superare già da subito i dubbi e le insicurezze sui modelli di rifornimento energetico che la questione del decentramento sta ponendo, aiutando una transizione sostenibile ed efficiente, senza ombre.

In tal senso, la direttiva RED II indirizza gli Stati Membri verso la diffusione delle energie rinnovabili, anche nella forma dell’autoconsumo, e la creazione, dunque, di comunità energetiche, in grado di produrre, consumare, immagazzinare e vendere l’energia rinnovabile, anche tramite accordi di compravendita di energia elettrica rinnovabile, nonché scambiare all’interno della stessa comunità l’energia rinnovabile prodotta dalle unità di produzione detenute da tale comunità e accedere a tutti i mercati dell’energia elettrica appropriati, direttamente o mediante aggregazione. In particolare, la RED II definisce la comunità energetica rinnovabile come il soggetto giuridico che: (i) si basa sulla partecipazione aperta e volontaria, è autonomo ed è effettivamente controllato da azionisti o membri che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, (ii) i cui azionisti o membri sono persone fisiche, PMI o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali e (iii) il cui obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.

L’iter normativo di completamento della regolamentazione di tale istituto è tuttora in corso ma grazie soprattutto a un supporto politico bipartisan la legge 28 febbraio 2020, n. 8, (che ha convertito il decreto legge 30 dicembre 2019, n. 162, c.d. “Decreto Milleproroghe”), ha attuato ante tempus la direttiva introducendo una disciplina transitoria delle comunità energetiche.

Ai sensi del decreto, le entità giuridiche costituite per la realizzazione di comunità energetiche ed eventualmente di auto-consumatori che agiscono collettivamente operano nel rispetto delle seguenti condizioni:

(i) i soggetti partecipanti producono energia destinata al proprio consumo con impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza complessiva non superiore a 200 kW, entrati in esercizio successivamente al 1 marzo 2020 ed entro i 60 giorni successivi alla data di entrata in vigore del provvedimento di recepimento della direttiva (UE) 2018/2001;

(ii) i soggetti partecipanti condividono l’energia prodotta utilizzando la rete di distribuzione esistente. L’energia condivisa è pari al minimo, in ciascun periodo orario, tra l’energia elettrica prodotta e immessa in rete dagli impianti a fonti rinnovabili e l’energia elettrica prelevata dall’insieme dei clienti finali associati;

(iii) l’energia è condivisa per l’autoconsumo istantaneo, che può avvenire anche attraverso sistemi di accumulo realizzati nel perimetro o presso gli edifici o condomini di cui alle lettere successive;

(iv) nel caso di comunità energetiche rinnovabili, i punti di prelievo dei consumatori e i punti di immissione degli impianti sub (i) sono ubicati su reti elettriche di bassa tensione sottese, alla data di creazione dell’associazione, alla medesima cabina di trasformazione media tensione/bassa tensione;

(v) nel caso di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente, gli stessi si trovano nello stesso edificio o condominio.

Successivamente, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA), con il documento di consultazione pubblica 112/2020/R/eel e la successiva delibera 318/2020/R/EEL, ha definito la regolazione delle partite economiche relative all’energia elettrica oggetto di autoconsumo collettivo o di condivisione nell’ambito di comunità di energia rinnovabile. Da ultimo, il decreto del Ministero dello Sviluppo del 16 novembre 2020, n. 285, in attuazione dell’art. 42-bis, comma 9, del Decreto Milleproroghe, ha introdotto un regime di incentivazione per le comunità energetiche rinnovabili e le configurazioni di autoconsumo collettivo. In particolare, il Decreto prevede che l’energia elettrica prodotta da ciascuno degli impianti a fonti rinnovabili facenti parte delle configurazioni di autoconsumo collettivo ovvero di comunità energetiche rinnovabili e che risulti condivisa ha diritto, per un periodo di 20 anni, ad una tariffa incentivante in forma di tariffa premio pari a: (a) 100 Euro/MWh nel caso in cui l’impianto di produzione faccia parte di una configurazione di autoconsumo collettivo ovvero (b) 110 Euro/MWh nel caso in cui l’impianto faccia parte di una comunità energetica rinnovabile. Per gli enti territoriali e locali, le tariffe premio non sono cumulabili né con gli incentivi di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 4 luglio 2019, né con il meccanismo dello scambio sul posto.

Il quadro normativo sopra delineato sarà completato a breve dall’adozione da parte del Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A. (GSE) delle regole applicative per il riconoscimento delle tariffe incentivanti.

Double exposure graphic of business people working over wind turbine farm and green renewable energy worker interface. Concept of sustainability development by alternative energy.

Come si è visto, nella definizione di comunità energetica, quindi, le amministrazioni comunali sono espressamente chiamate ad avere un ruolo attivo, poiché l’obiettivo prefissato è quello di fornire benefici ambientali, economici e sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari. Pertanto, in questo senso, le finalità di cui è foriero lo strumento delle comunità energetiche si sovrappone a quelle degli enti locali e si presta a essere un utile strumento di azione innovativa per le politiche di sostenibilità, in termini di efficienza e transizione energetica. I Comuni, in particolare, potranno prefissarsi l’ambizioso obiettivo di installare nel territorio capacità di produzioni energetiche da fonti rinnovabili pari alla quantità di energia consumata. Nel contesto di tali progetti, il Comune può introdurre ulteriori schemi di incentivi o porsi come supervisore, fornendo valore aggiunto in termini di affidabilità e autorevolezza del progetto.

Come è stato recentemente osservato (1), il ruolo degli enti locali, inoltre, diviene ancora più centrale ove siano essi stessi i titolari dell’impianto di produzione. Costituendo una comunità energetica, i Comuni potrebbero utilizzare l’attività di produzione energetica a fini sociali (per esempio, come strumento per contrastare la povertà energetica). Si sono già registrati casi di Comuni che hanno avviato progetti di social housing, prevedendo l’utilizzo di comunità energetica per condividere l’energia prodotta, promuovere forme di solidarietà elettrica e abbattere il costo dell’energia per cittadini in difficoltà.

Un altro strumento di promozione delle comunità energetiche da parte di un ente locale può essere costituito dal sostegno all’associazionismo locale e al terzo settore, dove spesso gli enti locali sovvenzionano le associazioni locali mediante contributi pubblici ovvero attraverso concessioni in uso di impianti o spazi, che spesso sono anche siti idonei all’installazione di impianti fotovoltaici. In tali contesti, l’introduzione di comunità energetiche comporterebbe enormi vantaggi sia in termini di risparmio per l’ente, sia di condivisione del beneficio con le associazioni. Le stesse valutazioni possono essere estese all’utilizzo di tali comunità quale strumento di promozione e sviluppo del territorio e del tessuto produttivo o, in ambito urbanistico, come strumento per riqualificare una determinata area. Questo fenomeno assume una portata ancora più vasta ove si consideri che le comunità energetiche possono essere alimentate da diverse tipologie di impianti che sovente sono osteggiati dalle comunità locali: impianti di produzione di energia da biomasse, da gas di discarica, da gas residuati dai processi di depurazione e da biogas. Le comunità energetiche possono davvero rappresentare uno strumento per lo sviluppo di utility in house, capaci tanto di ridistribuire i benefici derivanti da installazioni di impianti rinnovabili quanto di vincere il fenomeno nimby.

In Italia sono già in atto sperimentazioni di comunità energetiche che prevedono la partecipazione di enti locali: progetti pilota seguiti da RSE (Ricerca sul sistema energetico) o casi di comunità energetiche promosse da grandi player nell’ambito di progetti di efficienza energetica. Inoltre, iniziano a comparire i primi avvisi pubblici di iniziativa degli enti locali, in particolare nei Comuni di Ragusa, Turano Lodigiano (LO) e Roseto Valforte (FG). Per quanto riguarda, invece, le Regioni, la Regione Piemonte, che sin dal 2018 aveva varato una legge sulla promozione dell’istituzione di comunità energetiche (Legge Regionale 3 agosto 2018, n. 12) ha recentemente pubblicato un “Avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni di interesse a un contributo finanziario a sostegno della costituzione di comunità energetiche”. La Regione Liguria, con Legge Regionale del 30 luglio 2020, n. 13, recante “Promozione dell’istituzione delle comunità energetiche”, ha inteso promuovere l’istituzione di comunità energetiche per il superamento dell’utilizzo del petrolio e dei suoi derivati, per favorire la produzione e lo scambio di energie prodotte principalmente da fonti rinnovabili, nonché sperimentare e promuovere nuove forme di efficientamento e di riduzione dei consumi energetici. Infine, la Regione Puglia ha approvato, con Delibera di giunta Regionale del 7 agosto 2020, n. 1346, le Linee guida per le comunità energetiche, prevedendo (i) criteri per l’adozione di un protocollo di intesa da parte dei Comuni che intendono proporre o procedere alla costituzione di una comunità energetica, ovvero aderire a una comunità energetica esistente, (ii) requisiti tecnici minimi per la costituzione di una comunità energetica, (iii) criteri per la redazione del bilancio energetico delle comunità; (iv) caratteristiche del documento strategico delle comunità; e (v) modalità per il sostegno finanziario regionale, in prima attuazione, alla fase di costituzione delle comunità.

In conclusione, sebbene il completo recepimento della RED II sia previsto entro giugno 2021, l’avvio della fase transitoria grazie a un sostegno politico non solo governativo, il tempestivo intervento dell’ARERA (l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) e l’introduzione di un apposito schema incentivante hanno delineato l’impianto normativo e regolatorio necessario all’attuazione delle prime comunità energetiche facendo dell’Italia l’avanguardia d’Europa. Anche i quadri normativi di riferimento regionale sembrano in fase di lancio e, come si è visto, non mancano esempi di sperimentazione e promozione da parte degli enti locali che sono sempre più destinati a ricoprire un ruolo chiave nell’iter di sviluppo di tali associazioni.

Twitter @lorenzo_parola

(1) Si veda D’AURIA, G., Energy community: il ruolo fondamentale degli enti locali, in «EnercityPA», n. 5/2020, pp. 24-27.