Nuovi paradigmi lavorativi: la necessità di investire in digitale e immobiliare

scritto da il 16 Dicembre 2020

Gli autori del post sono Marco Sironi, Financial Controller nel settore della finanza immobiliare, e Riccardo Franchi, studente master in finanza presso il Politecnico di Milano – 

Che l’emergenza sanitaria COVID-19 stia segnando un punto di svolta nelle vite lavorative di tutti non è certo una novità. La necessità di lavorare da casa ha permesso a lavoratori e imprese di comprendere le potenzialità dello smart working, che se supportato da infrastrutture adeguate può portare benefici a tutte le parti coinvolte. Il 69% dei lavoratori italiani riconosce il vantaggio del risparmio di tempo e costi negli spostamenti, mentre il 64% rileva un miglioramento nella qualità della vita in termini di work-life balance (AIDP, 2020). Circa 2 imprese italiane su 3, secondo la stessa fonte, hanno dichiarato che faranno affidamento allo smart working anche dopo la fine della pandemia. I benefici di cui potranno fruire saranno legati alla riduzione dei costi immobiliari, senza dovere scendere a compromessi con una perdita di produttività, che secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano potrebbe anche aumentare del 15%.

Un doppio investimento alle fondamenta dei nuovi paradigmi lavorativi

Nonostante siano evidenti le scelte che le aziende, forti del consenso dei lavoratori, effettueranno sul tema smart working nel post-pandemia, alcuni dati sembrano in contrasto con questi intenti, e rendono necessario un doppio investimento in infrastrutture tecnologiche e fisiche. In primis, se l’accesso domestico all’internet veloce risulta imprescindibile per il lavoro da remoto, bisogna confrontarsi con la realtà: una connessione sopra i 100 Mbps risulta a disposizione di solamente 2 case italiane su 3, mentre ad esempio in Belgio o Paesi Bassi oltre il 95% degli immobili domestici ne risulta dotato (Eurostat, 2020). In secondo luogo, è fondamentale un investimento nell’infrastruttura immobiliare. In Italia circa il 70% degli immobili ha più di 30 anni, con chiare ricadute pratiche sull’organizzazione degli spazi che non rispecchiano più le necessità odierne (ISTAT, 2020), mentre la diffusione degli spazi di coworking, specie al di fuori dei centri città o nelle regioni italiane meridionali, risulta ancora troppo limitata.

Gli attori del cambiamento

I protagonisti del cambiamento dovranno essere necessariamente lavoratori, imprese, asset manager e istituzioni. Se da un lato i lavoratori dovranno sviluppare nuove soft skills, come l’autonomia nel lavoro e una crescente propensione alle tecnologie digitali, dall’altro spetterà alle imprese fornire le dotazioni digitali e fisiche indispensabili allo svolgimento delle attività lavorative. A tal proposito nascono i primi interrogativi su chi dovrà effettuare questi investimenti, se il dipendente, l’azienda o entrambi. Come è necessario che siano le aziende a incrementare le dotazioni hardware domestiche dei dipendenti (smartphone, schermi più ampi di quello del laptop, sedie e scrivanie ergonomiche), anche internet potrà essere parzialmente a carico del datore di lavoro. E laddove manchino i presupposti per lo svolgimento dei 2-3 giorni settimanali di lavoro da remoto, è facile immaginare la soluzione: il coworking.

Su 5,3 miliardi di euro di transazioni del comparto uffici avvenute nel 2019 da parte di investitori istituzionali (CBRE, 2020), solo una piccola porzione risulta essere stata impiegata per investimenti in coworking, peraltro quasi tutti in grandi città. Spetteranno quindi agli asset manager i compiti di investire in spazi di lavoro all’avanguardia in stretta collaborazione con le aziende, e di riadattare gli uffici esistenti in funzione dei nuovi paradigmi. Anche le location obiettivo degli investitori cambieranno. Si investirà in coworking localizzati anche non in centro città, o al sud, con il South working (il lavoro da remoto svolto al Sud, ma da lavoratori del Nord) che prende sempre più piede, e che potrebbe rappresentare una forma di quasi-turismo.

Le istituzioni dovranno a loro volta facilitare la transizione. Il Recovery Fund (piano Next Generation EU), per il quale al nostro paese spettano 65 miliardi di euro su un totale di 750, ha tra i principali obiettivi quello della spinta alla trasformazione digitale. Nel frattempo, il piano strategico Banda Ultra Larga lanciato nel 2015 dal Ministero dello Sviluppo Economico continua ad incrementare la copertura della fibra ottica nel paese, con Open Fiber, società concessionaria della gestione del progetto, che stima la fine dei lavori nel 2023. L’altro fronte su cui il governo ha lavorato è il credito di imposta del 15% applicabile agli investimenti in strumenti e dispositivi legati alle modalità di lavoro agile (legge di bilancio 2021). Anche per quanto riguarda le infrastrutture fisiche delle quali si avrà bisogno, come immobili residenziali all’avanguardia e coworking a disposizione di tutti, sarà opportuno creare un sistema di incentivi (per esempio di carattere fiscale) che favorisca gli investimenti. Finora, tuttavia, sono state prese scelte che poco mirano alla transizione ormai in corso, con soluzioni (bonus facciata o ristrutturazione in testa) che sembrano andare verso direzioni differenti.

Un impegno su più fronti

Se il 2020 è stato l’anno della presa di coscienza dei nuovi modi di lavorare, il 2021 dovrà essere l’anno dell’implementazione di tali modelli. Aziende, lavoratori e asset manager dovranno proseguire sul percorso intrapreso, e i primi segnali registrati sembrano evidenziare le volontà comuni di cambiamento. Le istituzioni dovranno svolgere la funzione di catalizzatori del processo di transizione attraverso policy ad hoc che incoraggino il doppio investimento infrastrutturale in tecnologia e asset immobiliari di livello. La recessione che seguirà la pandemia costringerà le principali economie mondiali a compiere sforzi eccezionali per uscirne, perciò sarà necessario agire in fretta, poiché le infrastrutture tecnologiche e fisiche saranno elemento chiave per un rapido rilancio delle economie.

Twitter @MarcoSironi5