La dannosa narrazione su Recovery plan e Mezzogiorno

scritto da il 26 Gennaio 2021

Quante volte sentiamo dire che il Recovery plan sarà una sorta di ultima chiamata per il Mezzogiorno? La narrazione fuorviante ha ormai abbandonato i confini delle regioni meridionali, essendo divenuta il leitmotiv dell’intero caso italiano.

Sembra aver trovato spazio nell’ultima bozza del piano recentemente approvata dal Consiglio dei Ministri, nella quale il Sud è inserito tra le tre priorità trasversali (le altre due sono la parità di genere ed i giovani). L’obiettivo dichiarato è quello di “Ridurre i divari territoriali e liberare il potenziale inespresso di sviluppo del Mezzogiorno, massimizzando nelle Linee di intervento di ciascuna Missione, i progetti volti al perseguimento dell’obiettivo, che vale anche come criterio prioritario di allocazione territoriale degli interventi.”

Una priorità particolarmente ambiziosa, benché non originale nella storia d’Italia. Una priorità che, però, rischia di avere le armi spuntate. Leggendo il testo, infatti, si comprende come l’obiettivo sembri trovare applicazione in una lunga serie di “…in particolare nel Mezzogiorno”, che si ripetono oltremodo. Quasi a dire “faremo tutto questo, ma soprattutto lo faremo lì”. Come noto, la bozza -oltre alle tre priorità già elencate- si articola in sei missioni[1], che poi a loro volta si diramano in diverse componenti e linee di intervento. Le parole “Sud” e “Mezzogiorno” ricorrono frequentemente, ma quasi sempre nella suddetta logica (“…in particolare nel Mezzogiorno”). L’unica missione in cui si legge qualcosa di maggiormente concreto è la terza, relativa alle infrastrutture, nella quale sono indicate alcune delle opere che si intendono finanziarie con le risorse disponibili.

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Prendiamo invece ad esempio un’altra missione, la quinta, “Inclusione e coesione”. La terza componente della stessa concerne “Interventi speciali per la coesione territoriale”, che dovrebbero aiutare il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

  • – Rafforzamento della Strategia nazionale per le aree interne.
  • – Rafforzamento della vocazione internazionale e della propensione alla ricerca e all’innovazione dell’economia e della società del Mezzogiorno. (nda Non me ne vogliano le tante eccellenze meridionali esistenti, ma si può seriamente parlare di “rafforzamento”? Si dovrebbe forse dire “creazione”, ma transeat)
  • – Valorizzazione economica e sociale del riutilizzo dei beni confiscati alle mafie.

L’ultimo lo trascrivo per interno, ritenendolo illuminante in termini di vaghezza.

  • – “Investimenti per la sostenibilità delle aree colpite dai Terremoti al fine di potenziare le attività economiche, rispettando la vocazione dei territori; favorire la transizione ecologica; dare impulso alla diffusione dell’economia circolare; recuperare la dotazione infrastrutturale in uso o dismessa”.

Agli obiettivi fanno seguito gli interventi. Di seguito quello relativo alla lettera b):

“Ecosistemi dell’innovazione al Sud, in contesti urbani marginalizzati. Come parte del progetto nazionale previsto nella seconda componente della missione 4, gli interventi per l’innovazione e la trasformazione ecologica e digitale nelle regioni del Sud sono finalizzati a realizzare infrastrutture e laboratori per il trasferimento tecnologico riqualificando il tessuto urbano. Lo scopo è la creazione di nuovi asset infrastrutturali destinati all’attrazione e alla creazione di imprese innovative, al potenziamento del capitale umano altamente qualificato, ad una riqualificazione delle competenze in grado di rispondere alle sfide poste dalle transizioni ecologica e digitale, nonché al rafforzamento della collaborazione tra imprese, istituzioni e organismi di ricerca e cittadini. La scelta è di localizzare tali interventi in contesti urbani da rigenerare al Sud, coniugando innovazione tecnologica e innovazione sociale”.

L’ho riportato per intero, me ne scuso con il lettore, per far comprendere come si tratti di una mera enunciazione di scopo. Nuovamente. Non c’è traccia di interventi concreti.

Il resto delle misure previste per il riequilibrio territoriale appare come un coacervo di buone intenzioni o di micro-iniziative, a volte già in essere (ad esempio decontribuzione per le assunzioni). Ecco perché, nella versione attuale, indicare il Mezzogiorno tra le priorità del piano sembra un esercizio di retorica piuttosto che di politica. Beninteso, non mi aspetto sicuramente che lo sviluppo di un’area complessa e articolata come quella meridionale possa derivare dall’utilizzo di qualche decina di miliardi di euro. Ed anche se fossero destinati al meridione 111 miliardi dei 209 previsti, come richiesto dai firmatari del “Manifesto per il Sud”, il mio scetticismo non muterebbe.  Come giustamente ha scritto Ferdinando Giugliano sulle colonne di Bloomberg, riferendosi all’intera penisola, il caso italiano non ha un problema di risorse. Idem per il caso Mezzogiorno.

Condivido anche alcuni spunti di un’intervista a Luca Bianchi, direttore generale Svimez, sull’Huffington Post, soprattutto quando afferma che “Bisogna accompagnare gli investimenti con le riforme (…)”. Sì, le riforme, le grandi assenti nel testo, se non per qualche piccola eccezione. Assieme alla governance (esclusa dalla bozza per il momento), sono l’elemento che preoccupa maggiormente. Perché senza riforme e senza una governance efficiente, il piano non riuscirà a far raggiungere al Paese gli effetti macroeconomici sperati. Con tutto ciò che ne conseguirebbe a livello di credibilità della nazione nelle sedi comunitarie.

La buona notizia è che siamo ancora in tempo per migliorare il piano, iniziando magari dal rifiutare la narrazione dominante che vede all’orizzonte un nuovo boom economico per il sol fatto del previsto arrivo dei nuovi fondi stanziati dall’Unione europea per reagire allo shock pandemico.

Twitter @frabruno88

[1] 1.Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica; 3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4. Istruzione e ricerca; 5. Inclusione e coesione; 6. Salute.