Perché il Next-Generation EU non è una panacea per l’Italia

scritto da il 02 Febbraio 2021

Articolo di Riccardo D’Orsi (assegnista di ricerca in Economia presso la Divisione Economica dell’Università di Leeds) e Alessandro Guerriero (laureando in Economia Politica all’Università di Roma III), entrambi analisti di Kritica Economica.

Si parla spesso del venturo Next Generation EU [1] (NGEU) come di un deus ex machina: elemento risolutore e panacea destinata a risollevare le sorti comuni dal cataclisma pandemico e reindirizzare le economie europee verso una traiettoria di crescita. Nel caso specifico italiano, le compagini politiche e i media quotidiani si sono affrettati a congratularsi per il trionfo della solidarietà europea, passando la palla alla governance nostrana, dietro il neppure tanto velato presupposto che un eventuale fallimento nell’efficiente allocazione della “pioggia di miliardi” [2] in arrivo dall’Europa sarebbe da ascriversi esclusivamente all’incapacità della nostra classe politico-amministrativa.

In tale quadro, una discussione sulle fonti primarie sulle quali dovrebbe fondarsi il NGEU è parsa pressoché assente. Se ciò può essere parzialmente dovuto al fatto che la documentazione a riguardo non è pienamente definita, alla luce dei risultati dell’analisi proposta, pare lecito concludere che l’impalpabilità di tali contenuti nel dibattito quotidiano sia per gran parte dovuta al rischio di esacerbare gli asti euroscettici, già risvegliatisi [3] a seguito dello spettacolo indecoroso messo in atto dalle istituzioni comunitarie nella prima fase della pandemia.

È dunque obbiettivo di questo contributo quello di sopperire a tale lacuna proponendo uno studio quanto più meticolosamente guidato dai contenuti del NGEU partendo dalle fonti ad oggi disponibili. Cercando di rifuggire analisi orientate dal livore ideologico, affidandoci alla guida della documentazione istituzionale rilevante, discuteremo tre temi principali:

  • – Quello del contributo netto destinato all’Italia;
  • – Quello dell’impatto macroeconomico atteso dal NGEU;
  • – E quello delle condizionalità macroeconomiche annesse al piano.

Concluderemo sottolineando come quanto emerge renda irricevibili toni e contenuti con i quali si è finora discusso del NGEU, e accennando brevemente ad alcune proposte di politica fiscale e monetaria sulle quali riteniamo debba concentrarsi il dibattito sulla ripresa dell’economia europea, col proposito di approfondire quest’ultimo punto in un futuro contributo.

  1. A quanto corrisponde il saldo netto dell’Italia?

Partiamo col proporre alcune nozioni preliminari sul NGEU. Esso rappresenta un’estensione del bilancio della Commissione Europea che si aggiunge al quadro finanziario pluriennale (QFP) e che consta complessivamente di 750 miliardi di euro, suddivisi in sovvenzioni a fondo perduto (390 miliardi) e prestiti (360 miliardi). Tale cifra viene raccolta a prestito sui mercati dalla Commissione a fronte di un aumento dei trasferimenti degli Stati membri al bilancio europeo.

Venendo ai contributi lordi all’Italia, secondo la bozza più recente del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” [4, p.32], questi ammonteranno a circa 210 miliardi, suddivisi in 141 miliardi di prestiti e 68,9 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto. I trasferimenti netti al nostro paese corrisponderanno a quest’ultima cifra, chiaramente al netto dei versamenti corrisposti dall’Italia al bilancio della Commissione e degli interessi pagati sui prestiti.

In un recente contributo, l’esperto di Fondi Europei Andrea Del Monaco afferma [5] quanto segue:

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Tuttavia, le cifre riportate da Del Monaco si riferiscono ad una fonte europea antecedente al 21 luglio 2020 [6], data nella quale il Consiglio Europeo ha raggiunto l’accordo finale sulle cifre del NGEU [7]. In tale documento, si rendono noti due valori chiave aggiornati: quello del contributo lordo all’Italia in prestiti e sovvenzioni (210, e non 153 miliardi); e quello del trasferimento previsto al bilancio europeo da parte dell’Italia, dato dalla quota percentuale del PIL nazionale rispetto al PIL europeo (12,8%, riferita ai trasferimenti in sovvenzioni, e non al pacchetto totale NGEU).

Riguardo alla componente dei prestiti, affiancato dal Ministro dell’Economia Gualtieri che annuiva con soddisfazione, Carlo Cottarelli ha recentemente affermato che i prestiti del NGEU genererebbero un risparmio di 25 miliardi [8]. Si tratta di un dato che ci appare poco realistico. Il risparmio netto è dato dal tasso di interesse negativo del -0,2% che si prevede sarà associato ai titoli emessi dalla Commissione [9]. Sarebbe infatti errato considerare il differenziale rispetto agli interessi sui BTP (attualmente, comunque vicini ai minimi storici [10]) poiché il Tesoro coprirà i prestiti del NGEU rinnovando il debito attraverso l’emissione di nuovi titoli al tasso futuro (peraltro, con ogni probabilità più alto rispetto a quello attuale).  Fintanto poi che il debito prodotto sarà monetizzato dalla BCE, come nei fatti accade oggi, gli interessi pagati sui BTP rappresenteranno una partita di giro alla banca centrale che grava soltanto nominalmente sul bilancio pubblico.

Considerando titoli di durata media decennale, e ipotizzando un tasso di rinnovo del debito futuro analogo a quello attuale, ne consegue che il saldo netto NGEU dell’Italia sarà dato dalla sottrazione dei trasferimenti al fondo della Commissione (50 miliardi) e della spesa per la restituzione dei prestiti (138,2 miliardi) dal contributo lordo all’Italia (210 miliardi):

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Il saldo netto associato al NGEU del nostro paese dovrebbe dunque essere di 21,8 miliardi in 7 anni, ovvero di circa 3 miliardi annui in media. Considerando che stiamo parlando di un’economia, quella italiana, di un PIL annuo di circa 2000 miliardi, si tratta di una somma corrispondente allo 0,156% del PIL: una cifra modesta, per usare un eufemismo, ma pur sempre a segno positivo. Tuttavia, il quadro si ingrigisce ulteriormente se consideriamo il contributo che l’Italia dovrà comunque versare al bilancio della Commissione nel QFP.

Nell’audizione alla Camera del 22 luglio [11] il Presidente del Consiglio Conte ha annunciato quanto segue:

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Ne consegue che il saldo negativo per il QFP sarà di 20,3 miliardi (2,9 miliardi per 7 anni). Sommando i due bilanci, cioè quello del NGEU e quello del QFP, risulta che l’Italia avrà un saldo totale con l’UE appena positivo per 1,5 miliardi nei prossimi 7 anni:

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Concludiamo dunque osservando che, nonostante le cifre riportate nel contributo di Del Monaco non si riferissero alla versione ultima dell’accordo raggiunto sul NGEU, le sue conclusioni non si discostano molto dalle nostre. Sulla scia di quanto ipotizzato dall’economista tedesco Daniel Gros [12], una sospensione dei trasferimenti ordinari e straordinari dell’Italia al bilancio UE nel prossimo QFP garantirebbe all’Italia risorse pressoché analoghe a quelle provenienti dal NGEU.

  1. Quali saranno gli effetti macroeconomici del NGEU?

I toni trionfalistici che avvolgono il NGEU non si esauriscono nei riferimenti ai trasferimenti lordi. Fiumi di parole si sono infatti spesi nell’enfatizzare come questo strumento possa rappresentare l’occasione storica di rilancio di un’economia, quella italiana, stagnante da più di tre decenni. Le proiezioni macroeconomiche condotte dai principali istituti di ricerca, peraltro non sospettabili di nutrire alcun interesse nel ridimensionare la portata dello strumento, restituiscono un quadro profondamente diverso.

Nel rapporto di BankitaliaProiezioni macroeconomiche per l’economia italiana dell’11 dicembre 2020 [13], ipotizzando un’efficiente e tempestiva allocazione delle risorse, si stima che l’impatto del NGEU e delle misure inserite nella legge di bilancio, sarà del 2,5% del PIL nel triennio 2021-23, corrispondenti in media a circa lo 0,8% annuo. In proiezioni più realistiche quali quella del “Rapporto di previsione dicembre 2020” di Prometeia [14], si ipotizza che l’Italia attinga all’80% dei fondi a disposizione nello stesso periodo di riferimento e si ridimensiona l’impatto allo 0,3% del PIL per il 2021, e allo 0,45% medio per il biennio 2022-23.

Le stime riferite al PIL aggregato dell’Unione restituiscono risultati di portata analoga. Il rapporto del Centre for European Policy StudiesWho will really benefit from the Next Generation EU funds?[15], stimando che i Paesi membri utilizzino il 50% dei prestiti e il 100% delle sovvenzioni, prevede che l’intero pacchetto del NGEU determinerà un aumento del PIL europeo di circa il 2% entro il 2024, generando dunque una crescita media dello 0,5% annuo.

Se i dati sin qui esaminati già stemperano fortemente i fermenti ottimistici a cui è esposta con insistenza l’opinione pubblica italiana, le seguenti considerazioni lasciano apparire persino troppo rosee le stime di cui sopra. La prima, riguarda la concreta capacità di allocare le risorse europee. La macchina pubblica italiana, indebolita da tre decenni di tagli al personale [16] e rallentata dalla farraginosa struttura comunitaria, ha infatti condotto il nostro paese ad attingere soltanto per il 40% dai 72 miliardi di fondi europei del bilancio 2014-2020[17]. L’altro elemento, forse addirittura più preoccupante, è che negli studi previsionali viene ipotizzato che il NGEU venga utilizzato per spese aggiuntive rispetto a quelle già programmate. Tuttavia, nel “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” [18, p. 32] è affermato che solo 53,5 dei 141 miliardi di prestiti saranno impiegati per spese addizionali, mentre la restante parte andrà a finanziare investimenti che sarebbero stati altrimenti coperti da risorse nazionali.

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Un tale proposito, che si risolverebbe soltanto in un marginale risparmio sui tassi di interesse rispetto ai BTP nazionali, peraltro già ai minimi storici, e ridurrebbe all’osso l’eventuale impatto sull’economia reale del piano attraverso il canale degli investimenti pubblici, denuncia tutta la miopia programmatica della classe politica nostrana, che neppure all’indomani di una delle crisi più rovinose della storia del capitalismo pare riuscire ad affrancarsi con decisione dalla rovinosa impostazione austeritaria degli ultimi trent’anni [19].

  1. Il NGEU ha delle condizionalità?

L’ultima questione dirimente del NGEU è legata alla presenza di condizionalità. La posizione dell’esecutivo, mentre giustamente sembra tener conto delle problematiche legate agli aggiustamenti macroeconomici annessi al MES [20], che una lettera politica di intenti della Commissione non ha certo la facoltà di eludere, pare ignorare il fatto che i fondi del NGEU presenteranno potenzialmente condizionalità di stampo analogo. Come si evince dalle Conclusioni del Consiglio del 21 luglio 2020 [21, A19], i Paesi membri che usufruiranno del NGEU dovranno infatti rispettare le raccomandazioni specifiche di Consiglio e Commissione:

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Lo stesso punto viene ripreso nel “Regolamento che istituisce il Dispositivo di Ripresa e Resilienza” [21, (3)], recentemente approvato dalle commissioni Bilancio e Affari economici del Parlamento europeo:

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Cosa ancor più preoccupante, nell’articolo 9(1) del documento viene fatto riferimento all’articolo 126 del TFUE, che rimanda agli indicatori macroeconomici del “Patto di Stabilità e Crescita” e irreggimenta la politica fiscale dei Paesi Membri secondo le indicazioni della Commissione.

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In caso di politiche fiscali espansive, che dovrebbero rappresentare la prassi ordinaria all’indomani di una crisi della portata attuale in un regime di deflazione persistente [22], come crescentemente riconosciuto persino da istituzioni tradizionalmente rigoriste quali il Fondo Monetario Internazionale [23], la Banca Mondiale [24], e l’OSCE [25], il Regolamento sul NGEU riconosce dunque a Consiglio e Commissione la facoltà di sospenderne i già modesti contributi. Che questo avvenga nella prassi, è con ogni probabilità legato all’orientamento politico tenuto dalle istituzioni comunitarie nei prossimi anni. Mentre la BCE sembra aver dato una pronta risposta alla crisi pandemica, perseguendo politiche proprie di una banca centrale, il quadro normativo che emerge dalle fonti che istituiscono il NGEU sembra suggerire che le istituzioni comunitarie non abbiano abbandonato le proprie posizioni conservatrici. Già nel 2024, il turnover della Commissione potrebbe riesumare politiche economiche rigoriste e preludere alla riattivazione del “Patto di Stabilità e Crescita”, spada di Damocle pronta a calare sul capo degli Stati membri che non si allineino alle direttive dell’Unione. Le spinte di Bruxelles per ottenere la riforma del sistema pensionistico spagnolo [26], consumatesi nell’ultima settimana, non lasciano ravvisare una reale intenzione di cambiare gli orientamenti di politica economica dei prossimi anni.

  1. Conclusioni: Aspettando Godot

Quanto esposto restituisce un quadro che rende irricevibili toni e contenuti con i quali si è soliti discutere del NGEU. In particolare, abbiamo sottolineato come il NGEU garantisca all’Italia, in termini di trasferimenti netti, la modica cifra di 3 miliardi l’anno per 7 anni e di come questa sia prossima allo 0 se consideriamo i contributi nel QFP. Chiaramente, la modesta portata del pacchetto si traduce in un magro impatto sulla crescita economica, come emerge dalle pur ottimistiche proiezioni di Bankitalia. Se poi il Governo italiano utilizzasse il NGEU in chiave sostitutiva rispetto alle spese già programmate – come pare sia il caso per larga parte dei prestiti in questione – il contributo alla crescita sarebbe ancor più irrisorio.

Da un lato, non si può che rimanere sdegnati di fronte ad una classe politica che, dopo aver inferto tagli agli investimenti pubblici per mezzo di un trentennio di avanzi primari che tutt’oggi scontiamo sul piano economico e sanitario [27], anziché sfruttare appieno la pur ristretta finestra di politica fiscale apertasi, si rifugia su posizioni conservatrici, nascondendosi dietro slogan vuoti, rispetto ai quali manca manifestamente in idee e contenuti. Dall’altro, come emerge dal quadro normativo sopra esposto, non possiamo che constatare con amarezza quanto sia verosimilmente inopportuno liquidare le posizioni austeritarie delle istituzioni europee come proprie di una stagione passata. Sulla base di tali osservazioni, il NGEU rischia di configurarsi come l’oggetto di un dramma inserito nel teatro dell’assurdo, un Godot [28] i cui effetti benefici vengono progressivamente rimandati a data ventura. Nel mentre, a morire è l’economia reale del paese, il cui  PIL pro-capite è arretrato ai livelli di fine anni ‘80 [29].

Che fare, dunque? Il quadro di politica economica europeo non è del tutto grigio. La crisi ha segnato la definitiva cesura con posizioni restrittive di politica monetaria, peraltro già avviata dalle politiche di quantitative easing. Il passo successivo sarebbe quello di lanciare un programma persistente di controllo sui tassi di rendimento dei titoli di Stato da parte della BCE, come recentemente suggerito dal Governatore della Banca di Spagna [30]. Una politica di questo tipo garantirebbe il contenimento dei tassi di interesse sul debito nel lungo periodo, ampliando così strutturalmente lo spazio di adozione di misure anticicliche. Sebbene infatti il bilancio della BCE sia esploso nel corso della pandemia, la liquidità prodotta ha generato bolle inflattive sui mercati finanziari [31], senza però giungere all’economia reale poiché i governi europei hanno continuato a mantenere posizioni caute nella conduzione della propria politica fiscale.

La palla deve dunque necessariamente passare ai governi nazionali, che attraverso il canale della spesa pubblica detengono una delle poche leve attraverso le quali tale liquidità possa realmente tradursi in un aumento della domanda aggregata. Se poi i governi nazionali rimanessero bloccati su posizioni troppo timide, la BCE potrebbe bypassare l’intermediazione della politica fiscale attraverso programmi di helicopter money, ovvero di creazione di base monetaria direttamente sui conti correnti dei privati cittadini, come caldeggiato da una crescente numero di economisti convenzionali [32] e analogamente a quanto avvenuto negli Stati Uniti[33]. Chiaramente, una simile misura richiederebbe comunque un coinvolgimento dei governi nazionali, che dovrebbero spingere per una modifica dello statuto della BCE e, più in generale, per il definitivo abbandono di posizioni rigoriste in politica economica. I rischi iperinflattivi rappresentano una chimera [34] sfruttata da chi è organico agli attuali assetti reazionari. Il primo passo per segnarne il superamento sarebbe dato da una quanto più diffusa e immediata presa di coscienza che il Godot atteso con il NGEU mai si presenterà [35].

Note e Riferimenti:

[1] Guerriero, A. (2020). “Il Recovery Fund è davvero la soluzione? Ecco criticità e tecnicismi”. Kriticaeconomica.com, 28 ottobre.

[2] Basso, F. & Gabanelli, M. (2020). “Pioggia di miliardi in arrivo dall’UE: come ottenerli e a quali condizioni”. Corriere.it, 12 luglio.

[3] CEISE (2020). “Italiani spaccati sull’Europa, ma non è solo una questione di destra vs sinistra”. Centro Italiano Studi Elettorali, 4 maggio.

[4] Presidenza del Consiglio dei Ministri (2021). “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. Consiglio dei Ministri, 12 gennaio.

[5] Del Monaco, A. (2020). “Recovery fund, i conti sui sussidi danno saldo negativo per l’Italia”. HuffingtonPost.it, 11 dicembre.

[6] Commissione Europea. “Identifying Europe’s recovery needs”. Bruxelles, 27 maggio.

[7] Consiglio Europeo (2020). “Special meeting of the European Council – Conclusions”. Bruxelles, 21 luglio.

[8] Tommasetta, L. (2021). “Recovery, Cottarelli smentisce Salvini con una lezione di economia in diretta tv”. TPI.it, 27 gennaio.

[9] Osservatorio Conti Pubblici Italiani (2020). “Sure e Recovery fund: con i prestiti Ue, l’Italia risparmia 25 miliardi”. Repubblica.it, 31 ottobre.

[10] Del Corno, M. (2020). “I tassi italiani mai così bassi (almeno) dal 1310. Rendimenti sui decennali ai minimi da sette secoli. E non è uno scherzo”. Ilfattoquotidiano.it, 19 ottobre.

[11] Camera dei Deputati (2020). “Resoconto stenografico dell’Assemblea Seduta n. 377 di mercoledì 22 luglio 2020”. Camera.it, 22 luglio.

[12] Spini, F. (2020). “Coronavirus, Daniel Gros: ‘Stop ai trasferimenti all’UE per 7 anni. Così l’Italia risparmierà 105 miliardi’”. Lastampa.it, 8 aprile.

[13] Banca d’Italia (2020). “Proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana”. Roma, 11 dicembre.

[14] Prometeia (2020). “Rapporto di Previsione dicembre 2020”. Roma, 18 dicembre.

[15] CEPS (2020). “Who will really benefit from the Next Generation EU funds?”. Centre for European Policy Studies, 5 ottobre.

[16] Reyneri, E. (2020). “Troppo pochi lavoratori nel welfare italiano”. Lavoce.info, 21 settembre.

[17] Commissione Europea (2021). “European Structural and Investment Funds Data”. Europa.eu, 28 gennaio.

[18] Storm, S. (2019). “How to Ruin a Country in Three Decades”. Insitute for New Economic Thinking, 10 Aprile.

[19] D’Orsi, R. (2020). “Le Rigide Condizionalità del MES e perché non porta risparmi”. Econopoly.ilsole24ore.com, 20 Novembre.

[20] Consiglio Europeo (2020). “Conclusioni della riunione straordinaria del Consiglio Europeo”. Bruxelles, 17, 18, 19, 20 e 21 luglio.

[21] Parlamento Europeo (2020). “Proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council establishing a Recovery and Resilience Facility”. Bruxelles, 22 dicembre.

[22] ISTAT (2020). “Prezzi al Consumo: Dati definitivi”. Roma, 15 dicembre.

[23] Reuters (2020). “’Spend as much as you can’, IMF head urges governments worldwide”. Reuters.com, 15 gennaio.

[24] Financial Times (2020). “Global economy: the week that austerity was officially buried”. Ft.com, 16 ottobre.

[25] Financial Times (2021). “OECD warns governments to rethink constraints on public spending”. Ft.com, 4 gennaio.

[26] Financial Times (2021). “Spanish pension reforms increase strains within coalition”. Ft.com, 21 gennaio.

[27] Heimberger, P. (2020). “Italy is of systemic importance – European solutions are needed”. Vienna Institute for International Economic Studies, 10 Aprile.

[28] Brancaccio, E. (2020). “Il Recovery Fund? È come Godot”. Emilianobrancaccio.it, 17 luglio.

[29] Il Sole 24 Ore (2020). “Visco: Pil tornato ai livelli di 30 anni fa e non è solo colpa del Covid”. Ilsole24ore.com, 4 settembre.

[30] Reuters (2021). “ECB should explore yield curve control, de Cos says”. Reuters.com, 4 gennaio.

[31] Bank for International Settlements (2020). “Markets rise despite subdued economic recovery”. BIS Quarterly Review, 14 Settembre.

[32] Reichlin, L., Turner, A. & Woodford, M. (2019). Helicopter money as a policy option. Vox.eu, 23 Settembre.

[33] Pisciotta, I. (2020). “Negli Usa ‘vola’ l’Helicopter Money, arriva la spinta ai consumi”. Agi.it, 28 marzo.

[34] Blanchard, O. & Pisani-Ferry, J. (2020). “Monetisation: Do not panic”. Vox.eu, 10 aprile.

[35] Tooze, A. (2021). “Europe’s ‘long-Covid’ economic frailty”. Socialeurope.eu, 25 gennaio.