Banche e politica: i grandi nella lista Goldman Sachs delle porte girevoli

scritto da il 21 Febbraio 2021

Draghi, Monti, Prodi, Letta, Costamagna, Paulson, Carney: non solo una lista.

Le revolving doors sono le porte girevoli e costituiscono – bisogna dirlo – una bella e feconda metafora, una di quelle che sta su tutto. D’altronde, una delle caratteristiche della nostra lingua è proprio la produttività, sostantivo molto caro, com’è noto, anche all’economia. In linguistica, col termine produttività, ci si riferisce al fatto che è sempre possibile produrre – per l’appunto! – nuovi messaggi: in sostanza e in qualche modo, nel caso in specie, possiamo parlare di creatività. In un’attività economica, invece, la produttività è determinata dal rapporto tra i fattori d’investimento, capitale e lavoro, e il risultato conseguito; ed è evidente che questa è una grezza semplificazione. Diciamo pure che, a seconda del codice che scegliamo, il significato cambia e, in funzione dell’onnipotenza semantica, altra caratteristica della lingua che precede addirittura la produttività, non esiste contenuto cui non si possa dare espressione.

Se noi stessimo molto più attenti alle parole e alle loro combinazioni, probabilmente ci renderemmo conto che il discorso, soprattutto in economia e in politica, ha non solo dei valori di superficie, ma anche dei rimandi simbolici profondi e sottesi da vere e proprie trame. In sintesi, una parola può essere detta alla cieca, per così dire, senza particolari motivazioni, ma massime, formule e modi di dire fanno parte della storia e dell’esperienza di ciascuno di noi; neppure un abile e mefistofelico comunicatore potrebbe riuscire a camuffarsi ed essere invulnerabile. Insomma: ‘raccontano’ sempre qualcos’altro rispetto alla propria disposizione lineare.

Revolving doors fa esattamente al caso nostro. Consiste nello scambio, intenso e continuo, di risorse umane tra il settore pubblico e quello privato: il fenomeno, pur avendo origini prettamente statunitensi, non è di certo mancato dai nostri palazzi. Le revolving doors rappresentano, dunque, una tecnica, una pratica, una strategia e chissà cos’altro: alcuni uomini illustri e potenti – quasi inutile sottolinearlo – passano, per esempio, da una banca a un governo e viceversa.

Di per sé, l’interscambiabilità, per così dire, non è scandalosa in quanto proprietà del sistema. Più che altro, è un fatto inevitabile. È del tutto logico che un profilo eccellente conquisti gli onori della cronaca, meritando di conseguenza degli incarichi istituzionali. Il fenomeno desta sempre qualche sospetto perché il conflitto d’interesse, spesso, è altrettanto inevitabile. Se, a un certo punto, una banca d’affari diventa una sorta di ‘passaggio obbligato’ per luminescenti carriere istituzionali, di certo non possiamo fare a meno di lasciar ‘correre’ la fantasia narrativo-investigativa. Goldman Sachs, una delle più grandi banche d’affari del mondo, con più di 35 miliardi di dollari di fatturato e circa 2.000 miliardi di patrimonio gestito, rappresenta verosimilmente il modello per eccellenza delle revolving doors, non altrimenti che se questo fosse un vero e proprio know how.

Il primo personaggio della ‘lista Goldman Sachs’ è il nostro attuale Presidente del Consiglio, al mondo noto per essere stato il presidente della BCE. Prima di diventare presidente della BCE, nel 2011, Mario Draghi era presidente del Financial Stability Board (2006-2009) e, ancor prima, presidente del Financial Stability Forum (sostituito dal FSB), due organismi col compito di monitorare l’andamento dei mercati finanziati e valutare il rischio sistemico. Dal 2006 al 2011, è stato anche Governatore della Banca d’Italia. Prima di ricevere questi incarichi ‘pubblici’, tuttavia, Draghi è stato advisor, managing director e vicepresidente di Goldman Sachs (2002-2005). Dal 1999 al 2001, era già stato Direttore Generale del Tesoro. Nessuno può permettersi di revocare in dubbio il curriculum e le competenze di Mario Draghi, intendiamoci! Laurea alla Sapienza, specializzazione al MIT, professore ordinario di economia e politica monetaria, il Presidente è uno che non teme confronti. Dal punto di vista dello scrivente, un Presidente del Consiglio con questi crediti è un pregio per il paese. La questione è un’altra.

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Sull’altra sponda dell’oceano Atlantico, compare la figura di Henry Paulson, Sottosegretario al Tesoro durante il periodo dell’amministrazione Bush (2006-2009). Paulson, in pratica, è stato l’artefice del salvataggio dei colossi bancari americani, per i quali impose l’acquisto dei titoli da parte del Governo. Forse, a quel punto, non ci sarebbe stato altro da fare. L’intero sistema bancario mondiale era a un passo dal precipizio. Qualcuno ha sicuramente memoria della chiusura di Wall Street in quei giorni. Tra le banche a rischio di crollo figurava pure la Goldman Sachs. Ebbene? Henry Paulson è stato il CEO di Goldman Sachs (2000-2006). Potrebbe trattarsi solo di una coincidenza o di una naturale evoluzione di carriera, se non fossimo costretti a ricordare che la Security and Exchange Commission aveva già multato la Goldman Sachs per frode e proprio per un’operazione condotta da Paulson, operazione in seguito alla quale gl’investitori avevano perduto circa 1 miliardo di dollari. Insomma, Paulson è stato premiato per un cursus honorum alquanto sospetto. Un altro statunitense che ha trascorso una ventina d’anni ai piani alti della Goldman Sachs è Robert Rubin, Sottosegretario al Tesoro durante la presidenza Clinton (1995-1999). Al 200 di West Street, a Lower Manhattan, a quanto pare, non hanno preferenze politiche: vanno tutti bene, repubblicani e democratici, poco importa.

La cronaca dei fatti è portatrice di un particolare potere linguistico: può essere esposta in totale assenza di aggettivi, senza mai perdere la propria forza ritmica e, soprattutto, la propria attraente efficacia. Mark Carney ne è un altro prodigioso elemento: Governatore della Banca del Canada dal 2008 al 2013, Presidente del Financial Stabilty Board dal 2011 al 2018 e Governatore della Banca d’Inghilterra dal 2013 al 2020. Ebbene? È stato anche lui un uomo di punta della Goldman Sachs: per tredici anni. In pratica, Goldman Sachs è un vivaio prolifico oppure, leggendo e rileggendo, interpretando e reinterpretando l’informazione, Goldman Sachs è qualcos’altro, nel senso che è un simbolo, la fucina governativa per antonomasia.

A tal proposito, è necessario ‘rientrare’ in Italia. Romano Prodi, Presidente del Consiglio per due brevi mandati (1996-1998 e 2006-2008), nonché Presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, è stato – anche lui – nei ranghi della plurinominata banca d’affari in qualità di consulente: tra le altre cose, proprio nel periodo in cui era Presidente dell’IRI. Facciamo solo un’altra parentesi estera per ricordare che il successore di Prodi alla Presidenza della Commissione Europea, José Manuel Durão Barroso, dopo aver lasciato Bruxelles, è stato ingaggiato – ancora una volta – proprio da Goldman Sachs.

Mario Monti, contestatissimo Presidente del Consiglio dal 2011 al 2013, costretto a fronteggiare una delle tante crisi economiche cui il nostro paese sembra andare ciclicamente incontro e, per ciò stesso, giudicato con troppa fretta e faciloneria, poco prima di varcare la soglia di Palazzo Chigi, era l’international advisor di Goldman Sachs (2005-2011). In precedenza, dal 1999 al 2004, era stato Commissario Europeo per la Concorrenza, regnante Prodi – ci sia concesso il costrutto latino! –, cioè mentre Prodi era il Presidente della Commissione Europea.

Gianni Letta, tre volte sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (1994-1995, 2001-2006 e 2008-2011) sotto la Presidenza Berlusconi, nel 2007 è diventato membro dell’advisory board della banca d’affari newyorkese. Gl’intrecci non finiscono qui perché il nome di Claudio Costamagna non gode certo dello stesso successo di pubblico di quelli finora menzionati, ma è sufficientemente autorevole. Non a caso, dal 2015 al 2018, Costamagna è stato Presidente della Cassa Depositi e Prestiti, non d’un’istituzione finanziaria qualunque. La CDP gestisce, in parole povere, il risparmio postale italiano ed è controllata principalmente dal MEF (il Ministero dell’Economia) e, in quota azionaria minore, dalle fondazioni bancarie. Se ne può intuire l’importanza strategica per la nostra economia. Anche l’ex Presidente della Cassa Depositi e Prestiti è stato un uomo di Goldman Sachs e non per qualche giorno, bensì per più di quindici anni, ricoprendo diversi ruoli, tra i quali spicca sicuramente quello di responsabile del settore investimenti per l’Italia.

È doveroso precisare che i soggetti citati possiedono tutti un curriculum inappuntabile; la maggior parte di loro proviene dal mondo accademico e ha una produzione scientifica invidiabile. Resta tuttavia un insuperabile e mastodontico conflitto d’interessi che si dovrebbe per lo meno discutere, in specie se una sola banca è stata ed è una premessa curriculare per l’accesso ai vertici della politica mondiale. E sappiamo che GS è solo una delle più ‘performanti’ in materia.

Una nota conclusiva: il 2008, com’è arcinoto, è stato l’anno del disastro globale. Nulla da aggiungere. Se tuttavia proviamo a ricostruire la storiella con un pizzico di malizia, per lo meno lo scetticismo è necessario. Draghi, nel 2008, era Governatore della Banca d’Italia e Presidente del Forum per la Stabilità Finanziaria: era appena uscito da Goldman Sachs. Paulson era al Tesoro degli Stati Uniti: appena uscito anche lui da Goldman Sachs. Carney era Governatore della Banca del Canada, di cui era già stato vicegovernatore: appena uscito anche lui da Goldman Sachs.

Che cosa vuol dire? Non lo sappiamo. Ci limitiamo a raccontare dei fatti.

 

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