Virus, vaccini, placebo e nocebo: in ufficio la cura siamo noi?

scritto da il 28 Febbraio 2021

L’autore del post, Silvano Joly, 55 anni, torinese, guida Syncron in Italia e Spagna. Manager per Innovation Leader come PTC, Reply, Sap, Dassault Systemes e Centric Software, ha lavorato anche con Aziende pre-IPO, start up e collabora con varie Università Italiane. Mentore pro-bono di start-up high-tech è da sempre amico della Piccola Casa della Provvidenza (Cottolengo), il più antico istituto dedicato all’assistenza di persone con gravi disabilità –

Già nei primi giorni del lockdown, il filosofo Giorgio Agamben ha scritto della crisi Covid. Trattando il tema come un filosofo sa e deve fare. Solo una successiva, colpevole semplificazione giornalistica e social ha tentato di etichettarne le raffinate elucubrazioni come antitesi ad una dittatura sanitaria e biopolitica. Per fortuna il volume A che punto siamo? raccoglie queste sue tesi, chiarendo perfettamente il pensiero dell’illustre studioso e soprattutto la domanda che ci pone: “A che punto siamo?”

Vexata quaestio che discende dalle classiche domande filosofiche: “Da dove veniamo?” e “Dove andiamo”, che da sempre hanno aiutato uomini e donne a capire il presente ed il futuro, senza i filtri che – a seconda dei secoli – religione, ideologie, media hanno schierato nel presentarne la loro visione.

Scrive infatti Agamben: “Che cosa significa vivere nella situazione di emergenza in cui ci troviamo? Significa, certo, restare a casa, ma anche non lasciarsi prendere dal panico che le autorità e i media diffondono con ogni mezzo e ricordarsi che l’altro uomo non è soltanto un untore e un possibile agente di contagio, ma innanzitutto il nostro prossimo, cui dobbiamo amore e soccorso”.

Il nuovo libro di Giorgio Agamben

Il nuovo libro di Giorgio Agamben

Riflessioni davvero profonde, che mi hanno fatto pensare e portare la domanda del filosofo “A che punto siamo?” nel mondo del lavoro. E mi sono così reso conto di come proprio in quell’ambito avessi già incontrato tanti altri insidiosi “virus”. Contagi che “facevano ammalare” me stesso, i colleghi e chi lavorava nelle organizzazioni con le quali interagivo. Ma causati da virus diversi, che contaminavano i luoghi di lavoro invece che le città ed erano umani invece che microscopici. Con due gambe, facoltà di parola, azione e decisione che usavano come strumento per diffondere i loro dannosi effetti. Ma potevano essere invisibili proprio come il Covid-19, se non si faceva attenzione. Li ho visti al vertice e nei meandri organizzativi: dove a seconda del ruolo aziendale erano capaci di influire sulla salute “operativa” e sul morale di un reparto, un team o intere aziende, persino sull’indotto di fornitori.

Per fortuna allo stesso modo ho ricordato di avere visto anche qualche vaccino miracoloso, pure quelli non invisibili e non in fialetta ma in forma di persone, che miracolosamente sconfiggevano le pandemie che sembravano aver già segnato il destino di quell’ufficio o azienda, condannati ad una asfissiante agonia che le avrebbe condotte alla morte, attraverso l’uscita dal loro business, fino al fallimento.

Le persone vaccino che ho conosciuto occupavano vari ruoli e diverse posizioni non sempre apicali. Per essere certo di spiegarmi ecco degli esempi noti a tutti: Sergio Marchionne, con l’impatto taumaturgico sul gigante malato che ormai era la Fiat, o Nerio Alessandri, che ha inventato il concetto di wellness ed ha fatto di Technogym un brand al livello di Nike, Francesco Casoli, che con l’esempio di Elica e la sua Italy Family Business ha infuso fiducia in tutte le “Aziende Familiari” del Made in Italy, o ancora Remo Ruffini che, con Industries Moncler, è l’unico ceo che ha comprato un brand francese nel settore Luxury, dove da anni accade solo l’opposto con lo shopping di Kering, LVMH e Richemont.

Ma nella vita di ufficio non vi sono sempre veri e propri virus e quindi non sempre serve necessariamente il vaccino… mutuando ancora dalla terminologia dei seguaci di Ippocrate esiste – almeno credo – un livello intermedio di positività e negatività del day by day che può assomigliare a quel che sono il placebo e il nocebo. Questi termini derivano dal Latino, Placeo-Giovare e Noceo-Nuocere, e sono propri del linguaggio medico ma servono anche a capire se noi stessi o i nostri colleghi stiamo influenzando negativamente le nostre giornate e dissipando energie positive in inutili elucubrazioni ed attività. O se invece facciamo il contrario. Esistono infatti forze negative capaci di influire sulla nostra autostima e ci coinvolgono in una spirale di conflitti dalla quale è complicato uscire. Così come alcune persone irradiano positività e voglia di dare e di pensare alle soluzioni anziché parlare sempre dei problemi. Un po’ come la paura del Covid, che ci ha portato progressivamente ad allontanarci dai più elementari principi di socialità, un’attività forse ancora possibile con le dovute cautele, preferendo invece restare a casa sempre e comunque, azzerando ogni forma di contatto e relazione. Anziché pensare costruttivamente a soluzioni di distanziamento consapevole, turnazione delle uscite, ridotta socialità e quant’altro, si preferisce continuare a dire ogni giorno quanti sono i nuovi malati, anziché contare quanti siano i guariti.

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Così al lavoro, accade di imbattersi in “portatori sani” o “nocebo” che ci mettono i bastoni fra le ruote in maniera più o meno consapevole, ci deprimono facendoci tornare a casa svuotati, arrabbiati e demotivati. Così ci si ritrova a passare innumerevoli ore a rimuginare su un episodio, perdendo capacità di concentrazione e produttività che richiedono infatti uno sguardo di insieme.

Ma come allontanare, neutralizzare o almeno stare alla larga da queste persone “tossiche” e tornare a dare il meglio di sé in ogni situazione? Come difendere produttività e realizzazione professionale con la consapevolezza dei propri mezzi?

Non credo esista una ricetta, e non sempre ci sono colleghi vaccino. Ecco alcuni consigli che personalmente cerco di mettere in pratica ogni giorno:

Individuare quali sono le persone “tossiche” nell’ambiente che mi circonda, quelle più o meno sgradevoli, spinte da una competitività esagerata, attente a raccogliere informazioni e a captare discorsi da riferire ai superiori o che si lamentano in continuazione caricando sugli altri le loro ansie influenzando anche i risultati altrui.

Definire un perimetro: anche se non è possibile allontanare una persona negativa, va limitata la sua “contagiosità” evitando che scarichi la propria negatività su di noi e su chi la circonda. Ad esempio si può ascoltare un problema ed uno sfogo amichevole ma attenzione a non farsi assorbire troppo. Va tracciata la linea oltre la quale una conversazione va interrotta bruscamente e indirizzata verso azioni correttive e costruttive. Verso il vaccino o almeno il placebo!

Non negare, non affermare. Chi è destabilizzato spesso sconfina nell’irrazionalità e non accetta una dialogo fatto di argomentazioni logiche. Mai discutere se il confronto non è costruttivo, tempo ed energie non vanno usati in battaglie estenuanti che non si possono vincere. Meglio impiegare tempo ed energie per qualcosa di utile, produttivo e motivante. Chi ci accusa di negazionismo è spesso incapace di affermare una soluzione e quindi nega quelle che gli vengono proposte.

Compensare la negatività: se un confronto con un collega “portatore di negatività” ci ha fiaccato e ci ha contagiato con la rabbia e il nervosismo, occorre trovare subito una “cura” affidandosi a colleghi o amici “placebo” per uno sfogo, per recuperare e tornare in controllo. Usare i loro consigli preziosi e osservando con loro la situazione da un nuovo punto di vista, magari trovando la soluzione che non era stata considerata o che la negatività altrui non lasciava vedere.

Non ostinarsi a curare: esistono persone “nocebo” che hanno un solo e medesimo atteggiamento, negativo. Forse è l’unico modo che hanno per relazionarsi con gli altri. Vanno aiutati ma se non si vedono miglioramenti piccoli o grandi, occorre accettare che non è nostro compito salvare un singolo quanto lavorare per un obiettivo più grande. Non è sempre possibile cambiare gli altri, meglio proteggere se stessi ed il team.

Pensare a se stessi come un vaccino o almeno un placebo: se si mantiene il controllo e non si assorbe la negatività altrui poi ci si sa concentrare sulle soluzioni. Risolvere un problema è un enorme lavoro rispetto ad analizzarne le ragioni. Non si deve cedere alla lagna insopportabile di chi si impegna solo a distruggere senza costruire mai nulla. Piuttosto, lasciamo che si lamenti in solitaria e continuiamo per la nostra strada senza che il nostro operato ne risenta minimamente.

Abbiamo parlato in passato di consapevolezza. Anche nel confronto con le persone “nocebo” o “contagiose” essa risulta poi essere elemento chiave: ogni percorso presenta degli ostacoli, ma c’è sempre un modo per superarli. Oppure aggirarli. Nel De brevitate vitae Seneca diceva: “Non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo molto… ognuno brucia la sua vita e soffre per il desiderio del futuro, per il disgusto del presente… Protinus vive”.

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E nel 2016, la psicologa Brunella Gasperini su D.IT dava raccomandazioni che vale la pena rileggere, portando le regole imposte dal Covid anche in ufficio: consapevolezza e competenze come vaccino; sorriso, commenti costruttivi e di apprezzamento come mascherina e gel lavamani. E visto che non possiamo impedire alle persone contagiate dal virus della negatività di essere come sono, beh allora distanziamoci usando l’autostima come difesa immunitaria!

Magari così, anche in ufficio potremo dire #andràtuttobene!

Twitter @sjoly_ita