Otto motivi che hanno fatto del cashback di stato un autentico flop

scritto da il 22 Marzo 2021

Post di Gianluigi De Marchi, consulente finanziario, giornalista e scrittore – 

Parturient montes, nascetur ridiculus mus (I monti avranno i dolori del parto, nascerà un ridicolo topo). È il verso di Orazio che, con allude ad opere letterarie il cui contenuto non corrisponde a roboanti presentazioni. Oggi il detto è usato correntemente nella forma “La montagna ha partorito un topolino” per indicare avvenimenti largamente inferiori alle aspettative.

Frase che si adatta perfettamente a quanto avvenuto con il sistema di restituzione del 10% delle spese effettuate da consumatori utilizzando la carta di credito o altri strumenti elettronici che consentono di effettuare la tracciabilità dei pagamenti.

Ricordiamo tutti la massiccia campagna pubblicitaria con la quale l’iniziativa è stata presentata, con martellanti spot televisivi, interviste del primo ministro Conte che ne evidenziava i grandi obiettivi, le cifre imponenti di evasione fiscale che si sarebbe stanata con il sistema denominato, con il solito abuso dell’inglese, cashback. Il tutto con un investimento enorme: 4,75 miliardi di euro che dovrebbero essere coperti dall’utilizzo del Recovery fund.

Una cifra sintetica basta a delineare la situazione: gli italiani che hanno aderito all’iniziativa sono stati meno del 10% (5,8 milioni), e nel periodo natalizio (quello dell’avvio, in concomitanza con gli acquisti legati alle festività) ha raggiunto un totale di spesa di circa 200 milioni di euro (cioè 35 euro pro capite).

Perché la montagna ha partorito il topolino? Proviamo ad individuare le cause.

1 – La complessità della procedura. Per aver diritto al riaccredito occorre seguire una procedura complessa: scaricare un’App (denominata IO) sullo smartphone per chiedere lo SPID (numero di codice per accedere ai servizi pubblici), oppure registrarsi presso enti convenzionati (tra i quali la Posta). Occorre fornire il codice fiscale, gli estremi identificativi dello strumento di pagamento elettronico che sarà utilizzato, ed il codice IBAN del conto corrente bancario per l’erogazione dei rimborsi. Tutti ricordano le infinite code agli sportelli postali; e molti hanno rinunciato. E anche chi è riuscito a scaricare l’App, ha poi rinunciato ad utilizzarla (bel il 40% non ha effettuato acquisti tracciabili).

2 – La mancata adesione dei commercianti. Affinché una spesa possa essere acquisita ai fini del programma, è necessario che l’esercente abbia accettato di partecipare al cashback. E molti di loro si sono rifiutati di aderire, anche in considerazione dei costi per l’adeguamento delle casse per l’emissione degli scontrini.

3 – L’imperfetto funzionamento nel tracciamento delle operazioni in app, con il risultato che provocherà il mancato rimborso della quota del 10% promessa.

4 – La rinuncia totale dei consumatori alla privacy, perché ogni acquisto, ogni operazione, ogni spostamento saranno registrati. Nulla di male per chi ha la coscienza pulita, ma allora perché tanta gente rifiuta l’AppImmuni proprio in nome della privacy violata?

5 – L’elevato costo dell’accettazione dei pagamenti tramite i POS bancari che gestiscono le transazioni. L’aumento dell’uso dei pagamenti elettronici comporta un forte incremento degli utili delle banche, che percepiscono laute commissioni legate all’uso dei POS. Questi infatti generano introiti per le banche che si fanno pagare il costo d’installazione, il canone mensile, i costi fissi per transazione (10 centesimi per operazione) e le commissioni sul valore dell’operazione (dal 2 al 4%.).

6 – Lo stimolo all’uso dei pagamenti elettronici è inversamente proporzionale all’importo della spesa: dal fruttivendolo o dal macellaio difficilmente si spende più di 150 euro per volta, ma dal commercialista o dall’avvocato le parcelle viaggiano su cifre ben superiori. E pagare 3.000 euro al professionista ottenendo 15 euro di bonus non dà grossi benefici (più facile accordarsi per uno sconto diretto di 100 euro contro pagamento in contanti…).

7 – Dal programma sono esclusi i pagamenti legati alla professione o all’attività commerciale: il negoziante non beneficia di cashback quando compra la frutta, mentre concede il bonus quando la vende…

8 – Il parto del topolino si riscontra non solo nella modestia delle adesioni e degli utilizzi, ma soprattutto nella scarsa o nulla efficacia rispetto all’obiettivo dell’iniziativa, che era quello della riduzione dell’evasione fiscale.

Secondo attendibili stime, l’importo dell’evasione fiscale ammonterebbe a circa 200 miliardi di euro (l’11,4% del PIL ufficiale!); e solo il 13% dei dichiaranti denuncia redditi superiori ai 35.000 euro annui.

Shopping and Cashback concept, Money refund, Woman hand holding

L’abolizione del contante (o la sua riduzione con l’utilizzo del rimborso sugli scontrini) darà un colpo mortale all’illegalità, introducendo nell’economia etica e purezza?

Sicuramente no, o per lo meno gli effetti positivi saranno talmente insignificanti da non meritare tutti gli sforzi in corso per portare gli italiani a buttar via le banconote, privilegiando l’uso delle carte di credito e del bancomat.

Il programma può servire per “stanare” l’evasione dei piccoli negozi, ma avrà scarsi effetti nell’area grigia di professionisti e artigiani che, se non aderiscono al programma, potranno continuare a “fare il nero” con il tacito accordo del cliente. Come ha recentemente sottolineato Alberto Brambilla, presidente del centro studi e Ricerche Itinerari previdenziali, un proprietario di un appartamento che deve fare un piccolo lavoro di ritinteggiatura in casa per un importo di 1.220 euro con fattura (ridotto a 900 con pagamento in contanti) avrebbe convenienza a scegliere la seconda soluzione che gli garantirebbe un risparmio immediato di 320 euro. Il fornitore eviterebbe invece di pagare tasse, Iva e contributi. Ebbene, spiega Brambilla, “per questa operazione il cashback consentirebbe di beneficiare di 15 euro (contro 320)”. Inoltre, come spiega ancora Brambilla, più della metà delle operazioni coperte dal cashback erano già effettuate con moneta elettronica, quindi “oltre la metà dei soldi sono regalati”.

Un’osservazione conclusiva è d’obbligo: mentre il governo lotta contro il contante, non muove un dito contro le criptovalute che circolano impunemente nel sistema Internet, alimentando movimenti che nessuno può controllare. E molti osservatori hanno più volte messo in guardia non solo contro le truffe che si verificano nel web a danno di chi compra incautamente bitcoin, ethereum ed altre “pseudomonete”, ma anche contro i traffici illeciti che si realizzano grazie all’assoluto anonimato garantito dall’uso della blockchain.

Forse la montagna non solo ha partorito un topolino, ma non si è resa conto che è rachitico.

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