Sanità italiana in affanno: quanto dobbiamo preoccuparci per il futuro?

scritto da il 29 Marzo 2021

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana (art. 32 Cost.).

È questo il principio cardine alla base del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano, un complesso di strutture e servizi aventi l’obiettivo di assicurare a tutti i cittadini, in condizioni di uguaglianza, l’accessibilità all’erogazione equa delle prestazioni sanitarie. Il SSN ha quindi il compito di tutelare uno dei diritti fondamentali, universalistici ed esigibili, il diritto alla salute.

Fondato nel 1978, il Servizio Sanitario Nazionale è valutato uno dei sistemi più efficienti a livello mondiale. Tale giudizio favorevole deriva dal connubio tra una spesa esigua e una buona funzionalità dell’organo. Questo almeno secondo gli esiti del Bloomberg Health Index del 2019, che stila la classifica dei Paesi più in salute. Qui l’Italia si colloca al secondo posto, al di sotto della Spagna. Lo dimostra anche la più recente delle classifiche dei sistemi sanitari mondiali redatta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in cui il Belpaese si piazza secondo, subito dopo la Francia.

Non mancano, tuttavia, risultati contrastanti con i sopracitati, come nel caso degli esiti dell’Euro Health Consumer Index (2018), ritenuto uno degli indicatori più completi e attendibili. Esso tiene conto di 46 indicatori suddivisi per macro aree (diritti dei pazienti e informazione, accesso alle cure, risultati trattamenti, gamma servizi, prevenzione, uso di prodotti farmaceutici) e considera altresì la percentuale di soddisfazione dei fruitori. In questo frangente la Penisola si classifica ventesima. Il SSN è o non è sul podio dei migliori in Europa e nel mondo?

I finanziamenti pubblici al SSN

Il Sistema Sanitario Nazionale percepisce i suoi introiti da quattro fonti: le entrate proprie del SSN (per esempio, i ticket), la fiscalità generale delle Regioni (attraverso Irap e Irpef), una parte delle tasse raccolte dalle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e il bilancio dello Stato (fondo sanitario nazionale).

Guardando ai dati del Ministero della Salute, si evince che il SSN è finanziato per circa 114,5 miliardi di euro (2019). Lo stanziamento in questione ha registrato un incremento considerevole tra gli anni 2001-2007 (+26,3 miliardi), rallentando nei periodi successivi anche a causa della crisi del 2008. Nell’intervallo considerato la curva risulta sempre in crescita, ad eccezione di due leggere flessioni della spesa, rispettivamente nel 2013 e nel 2015.

Ciononostante, va evidenziato che, a differenza degli anni antecedenti, dal 2010 a oggi il rapporto finanziamento pubblico/PIL si è progressivamente contratto. Infatti, come riportano i dati Istat, l’investimento di 105,6 miliardi del 2010 corrispondeva al 7% del PIL, mentre i 114,5 miliardi del 2019, solamente al 6,6%. Perché questo? La prima ragione è attribuibile a una crescita del finanziamento al SSN meno che proporzionale (quindi non all’altezza) rispetto all’aumento dell’inflazione (aumento generalizzato e prolungato dei prezzi).

Ma il vero e proprio taglio al Servizio si è verificato in due fasi: prima nel quinquennio 2010-2015 per un valore di 25 miliardi di euro a causa di diverse manovre finanziarie, poi tra il 2015 e il 2019 con un “definanziamento” di 12 miliardi. Un complessivo di 37 miliardi, da anni al centro del dibattito politico.

Soffermandoci sul secondo dato, alla luce dei dati della Fondazione Gimbe, nel 2015 al fondo sanitario nazionale sono stati sottratti 2,4 miliardi di euro, somma lievitata nel 2016 a 4,4 miliardi, a 8,4 miliardi nel 2017, a 11,5 miliardi nel 2018 e a 12,1 miliardi nel 2019.

Sintetizzando, è vero che nell’ultimo decennio lo stanziamento statale al SSN è stato incrementato, ma in misura minore rispetto a quanto pianificato negli anni precedenti per i successivi.

La configurazione regionale

Il Servizio Sanitario Nazionale presenta una struttura istituzionale decentrata. Infatti, la maggior parte delle funzioni e delle decisioni sono affidate alle regioni. Esse si esprimono circa il numero e l’estensione territoriale delle Aziende Sanitarie Locali (ASL), la quantità di aziende ospedaliere autonome, la quota di produttori sanitari privati accreditati e lo schema di riparto del fondo sanitario. In pratica determinano la struttura dei propri sistemi sanitari.

Il fondo sanitario nazionale (114,5 miliardi) viene ripartito tra le regioni dalla Conferenza Stato-Regioni. La suddivisione è definita in base al numero di abitanti in ogni regione, ovvero in funzione del calcolo della quota capitaria per residente (1900 euro per cittadino ca.). Non v’è quindi da stupirsi del fatto che la Lombardia, regione più popolosa della Penisola, sia quella che maggiormente beneficia del finanziamento.

L’Italia nel mondo

A livello europeo l’organo pubblico prende in carico svariati bisogni collettivi, accettandone e supportandone i costi. Per ciò che concerne la sanità, si distinguono due architetture. Da una parte i sistemi mutualistici presenti in Austria, Francia, Germania, Svizzera, nei Balcani e nei paesi dell’Est Europa, caratterizzati dall’iscrizione obbligatoria dei cittadini a un’assicurazione regolamentata dallo Stato in cui i contributi sono pagati in proporzione al reddito pro capite. Gli erogatori sono in parte pubblici e in parte privati non-profit. Dall’altra parte i sistemi sanitari nazionali in cui il finanziamento si realizza per mezzo dei sistemi contributivi di natura progressiva al reddito. Le sedi erogative sono prevalentemente pubbliche. È il caso di Paesi quali Italia, Regno Unito, penisola iberica e paesi scandinavi.

A questo si contrappone il modello americano, nel quale non vengono accolti i principi fondamentali del disegno europeo. Negli USA, infatti, per molti bisogni, tra cui la salute, non esiste un diritto del cittadino. Pertanto, l’organo pubblico agisce solamente nel caso in cui il singolo non riesca ad appagare il bisogno in autonomia. L’intervento pubblico è quindi residuale. La sanità americana è caratterizzata da sistemi assicurativi privati rinforzati da programmi assistenziali pubblici, Medicare e Medicaid, a favore di anziani e indigenti. Nello specifico, Medicare è un programma nazionale universalistico (dunque indipendente dal reddito) volto agli ultrasessantacinquenni. Medicaid è coordinato dai singoli Stati, benché supportato da una partecipazione federale che garantisce il pagamento del 60% delle spese. Esso è rivolto ad alcune fasce di popolazione a basso reddito.

Stando alle stime OECD, per ciò che concerne la spesa sanitaria pro capite a parità di potere d’acquisto in dollari, l’Italia si posiziona al di sotto della media dei 36 Paesi OECD, con un finanziamento medio di 2544,58 euro da parte dello Stato e di 883,23 euro dai privati. La copertura sanitaria da parte della spesa pubblica si attesta al 6,4% del PIL, l’esborso privato è del 2,2%. Eppure, nella Penisola la sovvenzione statale è elevata in rapporto alla popolazione, confermando la relazione vincente tra efficienza del sistema ed esborso relativamente modesto. Ciò non si può dire, ad esempio, degli Stati Uniti che, nonostante un investimento pubblico del 14,3% del PIL nel 2018, soddisfano una fetta di popolazione inferiore al 95%.

Al di là di mere valutazioni economiche, di grande interesse risulta la ricerca condotta da Statista che ha lo scopo di evidenziare, sulla base di un campione, il tasso di cittadini soddisfatti del sistema sanitario nazionale del proprio Paese. In tale circostanza, l’opinione pubblica italiana non riporta pareri oltremodo positivi. Anzi, solamente il 31% degli intervistati si reputano molto o abbastanza soddisfatti. Uguale è la porzione di coloro che non si ritengono né soddisfatti né insoddisfatti. La quota maggiore risulta appartenere quindi agli insoddisfatti del sistema (37% a fronte dell’astensione dell’1% del campione). Tra le cause del malcontento si registrano secondo l’OCSE i tempi eccessivamente prolissi delle liste d’attesa e l’incremento negli ultimi anni della quota dei pagamenti a carico dei pazienti (23,5% nel 2017 a fronte di una media UE del 16%). Come noto, v’è poi una tendenza a recarsi al Nord per le cure a causa di accessi alle cure meno soddisfacenti nel Meridione.

Nonostante le statistiche positive relative al tasso di mortalità prevedibile e trattabile (uno dei più bassi d’Europa) e alla speranza di vita (accorciata dall’impatto del Covid), alla sanità italiana non mancano ulteriori punti deboli. In particolare, è necessario evidenziare che più della metà dei medici attualmente in esercizio ha un’età pari o superiore a 55 anni (media più alta in Europa, dati OCSE del 2017). Ciò suscita preoccupazione per il futuro circa l’idoneità del SSN di corrispondere alle esigenze della cittadinanza.

Il tema analizzato è di fondamentale importanza, specialmente a fronte della grave condizione sanitaria in cui versa il globo. Da una parte è giusto ricordare i punti di forza del sistema sanitario italiano, ma è altresì doveroso affermare che la riduzione in termini di risorse economiche e non solo (calo dei posti letto, complicazioni legate al reclutamento di nuovi professionisti, sia medici che infermieri) è in grado di creare problemi in termini di efficienza e validità, andando di conseguenza ad impattare negativamente nel lungo periodo.

 

Asya Peruzzo