I gravi danni del Covid a cultura e spettacolo: cosa ci stiamo perdendo?

scritto da il 06 Aprile 2021

Post di Eleonora Maglia, PhD in Economics e Master in IT, giornalista. Per il Centro di ricerca Luigi Einaudi dal 2018 collabora a Quadrante Futuro e dal 2021 è firma di Nuovo Mondo Economico 

I luoghi di spettacolo sono ancora chiusi, nonostante la celebrazione della giornata mondiale del teatro, promossa nel 1961 dall’Istituto Internazionale del Teatro a sostegno delle arti di scena, che in base all’ultimo Dpcm si è auspicato potesse coincidere simbolicamente anche con il riavvio delle attività. Se il differimento è comprensibile a fronte della situazione nazionale dei contagi e dei decessi per Covid-19, è anche il caso aver presente e quantificare cosa ci stiamo perdendo in proposito.

Soprattutto dal punto di vista dell’occupazione, che per il settore culturale è un dato spesso sottostimato, visto che le statistiche ufficiali in tema estromettono da un lato le percentuali delle attività e delle professioni economiche solo parzialmente culturali e, dall’altro lato, escludono la quota di lavoro volontario o secondario presente nei settori culturali e creativi. In proposito l’OCSE ha individuato appunto arte, spettacolo e attività ricreative come i settori più a rischio a causa delle misure di contenimento, con un’esposizione disomogenea per regioni (nelle Figure 1, 2 e 3 i dati per il settore culturale e creativo (CCS).

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Quota di occupazione nei Ccs. Fonte: Oecd 2020

Quota di occupazione nei Ccs. Fonte: Oecd 2020

I rischi per l’occupazione specifici nei settori culturali e creativi sono insiti nella struttura tipicamente ad ecosistema locale e fondata sul ricorso a liberi professionisti e micro-imprese, oltre ad un’alta percentuale di forme di lavoro atipiche. Secondo i dati Eurostat, ad esempio, in Europa la percentuale di lavoro autonomo in campo culturale è oltre il doppio dell’equivalente rilevato nell’occupazione totale. Complessivamente si tratta di una forza lavoro altamente qualificata (i laureati rilevati nel settore da Fondazione Symbola sono il 33,9 per cento contro un equivalente nazionale del 17,6 per cento), con alti livelli di investimento in capitale umano specifico e con una continua attenzione al mantenimento di reti personali necessarie per la redditività d’impresa, ma con una produttività difficilmente valutabile (la crescita economica e il profitto qui sono strumentali al core business e i beni intangibili sono un asset di difficile quantificazione) e spesso ottenuta con forme di lavoro precario che sfuggono alle forme di sostegno pubblico (per informazioni sulle misure e sulle iniziative adottate dagli Stati membri a supporto dei settori creativi e culturali, si può consultare la piattaforma dedicata della Commissione Europea).

All’impatto immediato sull’occupazione, si accompagnano anche effetti domino e di lungo periodo, da non sottovalutare. La scomparsa di attività per lo shock della domanda (Federculture allerta su diminuzioni di incassi e fatturati fino al 70 per cento, più evidenti in Lombardia, Piemonte e Veneto, ma estesi a tutta la penisola) tristemente ingenera un impoverimento nei settori culturali e, così, un imbarbarimento civile (secondo i dati Istat, solo tra marzo e maggio 2020, si è registrata una mancata affluenza di 19 milioni di visitatori nei musei italiani) e una perdita di vitalità dei centri e delle comunità (in proposito l’Istat rileva un calo del 63,9 per cento delle presenze negli esercizi ricettivi tra luglio e settembre 2020), oltre ad un appiattimento nella diversità culturale.

Se non sono sufficienti considerazioni etiche, più in generale si può riflettere su quale sia il peso della creatività nell’economia nazionale, dove la cultura è uno dei motori trainanti ed esalta la qualità e la competitività del Made in Italy. Secondo le rilevazioni ante-Covid19 di UnionCamere-Symbola, le imprese del settore produttivo culturale e creativo sono 416.080, operano in 897 Comuni e si trovano su un ideale podio sia rispetto al valore aggiunto (terzo posto con 95,7 milioni di euro dopo PA e Attività professionali) che all’occupazione (terzo posto con 1,5 milioni di unità, dopo Istruzione e Settore delle costruzioni). A tutto ciò si aggiungono importanti effetti moltiplicativi (2,19 per le Industrie creative; 2,11 per il patrimonio storico e artistico; 1,28 per le Industrie culturali e 1,19 per le Performing Arts), perché a fronte di un sistema produttivo culturale e creativo da 95,8 miliardi di euro, si ottiene un valore aggiunto creato nel resto dell’economia pari a 169,6 miliardi di euro, per un totale pari a 265,4 miliardi di euro per l’intera filiera, che attiva molti e diversi settori, dal commercio al trasporto. Per capire che anche Carmina dant panem.