Vaccini, 100 miliardi di denaro pubblico a Big Pharma ma chi ci guadagna?

scritto da il 30 Aprile 2021

Si ringrazia Michaela Odderoli, web analyst, per il contributo di ricerca –

Le vie per l’inferno sono spesso lastricate di buone intenzioni. Poco più di un anno fa, stretti nella morsa del virus, non abbiamo badato a spese. Di certo, la priorità era il vaccino; il timore di essere sempre in ritardo rispetto all’avanzare della pandemia ci ha impedito di essere lucidi ed esaminare le conseguenze di alcune scelte decisive: i finanziamenti pubblici per lo sviluppo dei vaccini, finanziamenti di cui hanno goduto Pfizer-BioNtech, Johnson & Johnson, Novovax e AstraZeneca, corrispondono a circa 100 miliardi di dollari. Tutto sommato, nulla da eccepire. La tutela della salute pubblica rientra nei doveri ‘emergenziali’ degli Stati e noi non siamo così sensibili allo scandalo da non comprendere o non rispettare il primato della trama finanziaria che – riformulando comicamente il Dante della Commediamove il sole e l’altre stelle.

Il dilemma – se così lo vogliamo chiamare e ammettendo che, nelle alte sfere, sia stato sentito come tale – sta tutto nelle implicazioni materiali ed esistenziali. Cominciamo col dire che, nell’ultimo anno, 26 miliardi di dollari sono finiti nelle tasche degli azionisti di Pfizer, Johnson & Johnson e AstraZeneca. Anche in questo caso, si potrebbe evitare di battere ciglio. Il meccanismo è naturale: se investiamo in un titolo, ne assumiamo il rischio, ma, nello stesso tempo, in caso d’incremento, ne beneficiamo. Per converso, i rappresentanti dell’OXFAM, dal cui accuratissimo report (The Inequality Virus, Bringing together a world torn apart by coronavirus through a fair, just and sustainable economy) traiamo la maggior parte delle informazioni che compongono questo contributo, ci fanno sapere che con quei 26 miliardi sarebbe stato possibile vaccinare 1,3 miliardi di persone. Prima manifestazione del dilemma: rinunciare ai profitti per avere qualche vaccinato in più o lasciare le cose come stanno? D’altronde, “mors tua vita mea” dicevano i latini. E i latini – si sa – erano i nostri protomaestri.

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Il dubbio, però, resta. Qualcuno, preso da un qualsivoglia ghiribizzo potrebbe chiedersi: – Se i vaccini sono stati prodotti col denaro pubblico (?), per quale motivo i vantaggi economici sono per pochi? -. La domanda è grossolana, al limite del populismo, lo sappiamo, ma dobbiamo metterci nei panni della povera gente; dobbiamo pur mettere in conto che il cittadino comune si aspetti dall’ente pubblico per eccellenza una certa disciplina informativa del tipo: “Come stanno le cose?”. La sanità è un servizio pubblico per il quale tutti pagano le tasse, che, di rimando e specie in momenti di grande disagio, costituiscono un legame inviolabile tra la persona e la cosa pubblica: per certi versi, un dialogo sempre aperto, un segno di continuità del rapporto. “Il sacrificio della patria nostra è consumato” scrive Foscolo in apertura delle Ultime lettere di Jacopo Ortis.

Se poi consideriamo che la stessa Emergency, sulla scia delle preoccupazioni espresse dall’OXFAM, si è fatta sentire a gran voce per reclamare un cambio di rotta nella gestione della ‘finanza vaccinale’, allora dev’esserci qualcosa che non quadra, per così dire. Nei paesi ricchi, la media delle persone vaccinate è di 1 su 4, mentre nei paesi poveri… beh, si fa fatica pure a scriverlo per la vergogna: 1 su 500. In ciò, si configura la seconda manifestazione del dilemma, vale a dire la disuguaglianza sanitaria, tant’è che il summenzionato report dell’OXFAM s’intitola proprio The Inequality Virus, ovverosia Il virus della disuguaglianza. I paesi in via di sviluppo, tra i quali guadagnano il triste primato India e Sudafrica, finora, sono riusciti a vaccinare solo il 3% della popolazione, laddove, in Israele, è già stato vaccinato il 57% e, in Inghilterra, il 32%. L’Italia non se la passa affatto meglio. Per paradosso, il numero di vaccini effettuati in casa nostra non supera il 6% ed è prossimo a quello dei paesi a basso reddito. “Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, a un comando, si distaccano, entra l’invisibile (…)” scrive Pirandello ne I giganti della montagna.

A tal proposito, i redattori dell’OXFAM, sconfessando la propaganda governativa, scrivono: “È per questo che in un Paese come l’Italia, complici anche le difficoltà organizzative e logistiche interne, si determinano dinamiche analoghe a quelle che portano i Paesi a basso reddito ad essere esclusi dall’accesso ai vaccini, sebbene con conseguenze di gran lunga inferiori.”

In occasione del meeting dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), tenutosi nel marzo scorso, i paesi poveri, con in testa India e Sudafrica, unendosi ai membri della People’s Vaccine Alliance, di cui fanno parte Emergency e OXFAM, hanno lanciato un appello affinché venisse sospesa la proprietà intellettuale dei vaccini anti-covid. Ebbene? La richiesta di liberalizzazione dei brevetti è stata respinta e la stessa Italia ha votato no. Nel frattempo, giova sapere che i ‘numeri uno’ di Pfizer (Albert Bourla) e di Moderna (Spethane Bancel) hanno raggiunto un patrimonio di più di cinque miliardi di dollari. Tutto sommato, non hanno colpe oggettive, se, naturalmente, escludiamo scrupoli e questione morale: non hanno fatto altro – giusto per fare un esempio – che vendere i propri ‘titoli farmaceutici’ al momento giusto.

L’intero business vale circa 150 miliardi; il calcolo, quantunque spartano e sbrigativo, è presto fatto: anche se non si hanno cifre esatte dei costi di vendita dei vaccini, si stima che oscillerebbero dai pochi euro per quello di AstraZeneca ai 18-20 euro per quello di Pfizer-BioNtech; di conseguenza, se ci attestiamo su un prezzo mediano di 9-10 euro e moltiplichiamo quest’ultimo per il numero degli abitanti della terra, non ci vuole esperto di matematica finanziaria per ottenere dei risultati attendibili. Qui, si ha la terza manifestazione del dilemma, ammettendo che non sia da considerarsi come una variante delle precedenti: a quanto pare, i costi di produzione non superano i pochi euro, mentre il prezzo di un intero ciclo di vaccino può arrivare anche a 60 euro. Vien fatto di pensare che la tutela della salute pubblica sia bell’e accantonata o, per lo meno, passata in secondo piano.

Ci tocca ragionare ancora una volta con grettezza. I governi, in piena recessione, hanno salvato le banche. I più, tuttora, se ne dicono sgomenti, ma non si può fare a meno di comprendere questo: che il fallimento di una grande banca provocherebbe un tale effetto domino da devastare la vita economica di tutti. In parole povere: meglio salvare una banca coi soldi pubblici che mettere in conto centinaia di migliaia di disoccupati. Transeat! A un certo punto, arriva la pandemia e gli investimenti pubblici sono dirottati verso le grandi case farmaceutiche: lo giustifica l’urgenza. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di “finanziamenti alla ricerca”. Giusto! Ci permettiamo, però, una considerazione personale e, a tal fine, modifichiamo il modo verbale della frase precedente: lo giustificherebbe l’urgenza. Perché il condizionale? (1) Se la salute pubblica fosse stata anteposta ai profitti, (2) se la distribuzione dei vaccini fosse stata equa e (3) se il servizio sanitario fosse stato efficiente, allora, sì, l’urgenza avrebbe giustificato i quasi 100 miliardi d’investimento.

Pfizer, all’inizio dell’anno, aveva previsto vendite per 15 miliardi, ma s’è trattato d’una previsione molto al ribasso, cui è doveroso aggiungere che, in un anno, il titolo dell’azienda farmaceutica ha guadagnato in borsa più o meno 60 dollari: nel 2021, i suoi ricavi dovrebbero arrivare a 45 miliardi. Moderna ha messo in cassaforte – già da tempo – contratti per 12 miliardi di dollari e dovrebbe fermarsi a 16 miliardi di ricavi, ma, nel 2019, aveva avuto 55 milioni di ricavi: un saltino niente male! AstraZeneca, invece, ha chiuso l’ultimo esercizio con un fatturato di poco meno di 27 miliardi e si appresta a migliorarlo in modo significativo.

FILE PHOTO: Vials with Pfizer-BioNTech, AstraZeneca, Sputnik V, and Moderna coronavirus disease (COVID-19) vaccine labels are seen in this illustration picture taken March 19, 2021. REUTERS/Dado Ruvic/Illustration/File Photo

Fiale con vaccini Pfizer-BioNTech, AstraZeneca, Sputnik V e Moderna (REUTERS/Dado Ruvic)

Nel frattempo, cioè intorno alla prima decade di aprile, il New York Times riferisce che 62 milioni di dosi del vaccino della Johnson & Johnson sono sottoposte a screening da parte della Food and Drug Administration perché si ritiene che siano ‘contaminate’. Non è una notizia confortante, specie se si tiene conto del fatto che il destino dei vaccini di Johnson & Johnson e quello dei vaccini di AstraZeneca è ampiamente e notoriamente accomunato. “Nello stabilimento di Baltimora – traduciamo fedelmente da un articolo del NYT del 6 aprile scorso –, sono state infrante le regole e minimizzati gli errori”, cosicché si è rischiato di mettere in circolazione delle dosi ‘non sicure’. La fabbrica in questione – guarda caso! – è quella in cui sono stati sviluppati i vaccini di Johnson & Johnson e AstraZeneca. Adesso, si teme che il pericolo di contaminazione-contraffazione potrebbe estendersi a 150 milioni di dosi.

Come se i morti e la povertà dilagante non bastassero, in Africa e, in particolare, in Kenya, si svolgono le storie della grande corruzione a deprivare ulteriormente un popolo martoriato. Il merito della scoperta è tutto di Dennis Okari, un giornalista di NTV che si è dedicato a una corposa indagine sui fondi stanziati per il Covid. Si tratta di prestiti e sovvenzioni provenienti dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, fondi che non sarebbero mai stati utilizzati per la salute pubblica. Dalle prime indiscrezioni si è ipotizzato che il denaro transitasse sui conti di due società ‘occulte’, dalle quali, a un certo punto, se ne perdevano le tracce. La trama è stata talmente sofisticata e malefica che non è stato possibile contabilizzare parecchi miliardi di ‘aiuti’. Allo stesso modo, sono scomparsi mascherine e ventilatori inviati in dono dal miliardario cinese Jack Ma.

Il tema dominante è atavico ed è sempre lo stesso: il circuito della morte è, nello stesso tempo, il circuito del denaro; la morte è redditizia, in particolar modo quella che investe ampie fasce della popolazione, non altrimenti che se ci si piegasse al parossismo d’una teoria demografico-malthusiana. Elias Canetti, in Massa e Potere, scrive: “Tanto più grande è il mucchio di morti sul quale sta il sopravvissuto, quanto più di frequente egli ripete tale esperienza, quanto più forte e imperioso sentirà il bisogno di ammucchiare cadaveri”.

 

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