Plastic Tax rinviata (ancora) al 2022: può un’imposta salvare il mondo?

scritto da il 19 Maggio 2021

Con Sostegni bis, l’entrata in vigore della Plastic Tax è stata posticipata al 1° gennaio 2022. Si tratta dell’ennesimo rinvio (inizialmente prevista per 1° gennaio 2021, è stata poi prorogata al 1° luglio 2021), per ragioni connesse al protrarsi dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e per la volontà di non gravare ulteriormente su settori economici che versano già in difficoltà contingenti.

A meno di nuove variazioni, dunque, con il prossimo anno per ogni chilo di prodotti di plastica monouso venduto (MACSI o manufatto con singolo impiego) verrà applicata una tassa di valore fisso pari a 0,45 centesimi, con lo scopo di disincentivare il ricorso a prodotti che non sono stati progettati per essere riutilizzati e per avere un ciclo di vita di più di una fase.

Si tratta di un intervento che ha già precedenti in Europa, come mostra uno studio commissionato dall’OCSE, per motivi che risiedono nei volumi raggiunti e nei danni emergenti per l’ambiente e la salute.

Dal 1950 ad oggi, infatti, sono stati prodotti 8.300 milioni di tonnellate di plastica e il 91 per cento è stato disperso nell’ambiente o comunque non è stato correttamente riciclato (dati Our World in Data). Tutto ciò avviene generando 400 milioni di tonnellate di CO2 all’anno e mettendo a repentaglio la bio-diversità marina (da cui dipende il sostentamento di oltre 3 miliardi di persone), oltre a generare un trasferimento lungo la catena alimentare e un progressivo accumulo per fenomeni di biomagnificazione (dati Istituto Oikos). Anche l’Italia concorre a queste derive negative, come mostrano i dati raccolti da WWF per uno studio sul tema.

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Visto l’impatto negativo esercitato dalla plastica non riciclata, prevedere un’imposta nei prodotti che la contengono poggia sul concetto di tassa di Pigou (l’economista che ne ha proposto per primo l’introduzione).

In base a questo principio, nelle situazioni di esternalità negativa (in cui sono compiute delle azioni che danneggiano altri, senza transizioni di mercato e con conseguenze negative per l’efficienza) si applica un’imposta per realizzare cambiamenti nei comportamenti e correggere i fallimenti del mercato. Ad esempio, in caso di emissioni inquinanti (come appunto la produzione di plastica mono-uso), si può applicare una tassa di Pigou a ristoro del danno aggregato causato e al fine di ripristinare un’allocazione socialmente efficiente.

Non è però detto che una tassa sia il metodo più efficace per raggiungere determinati obiettivi o standard di benessere sociale. L’internalizzazione delle esternalità e l’eliminazione della divergenza tra costo sociale e costo privato infatti così potrebbe non essere completa, come si è visto ad esempio nell’industria ittica (Spagnolo, 2006).

Ora con una Plastic Tax si cerca di limitare un danno per la salute derivante da un consapevole scambio di mercato facendo leva su due ipotesi. Da un lato, i produttori potrebbero ridurre la quantità prodotta per pagare meno tasse e, d’altro lato, i consumatori potrebbero consumare meno prodotti perché il prezzo per il loro acquisto sarà probabilmente maggiore a causa della traslazione delle tassa stessa (quindi sia per i produttori che per i consumatori di fatto diviene più costoso continuare a fare quello che si stava facendo e ciò potrebbe dissuaderli).

Questi effetti ipotizzati tuttavia sono entrambi dubbi e non è detto siano stabili nel tempo. Infatti è già stato illustrato (Samuelson e Zeckhauser, 1988) che gli individui mostrano una certa inerzia ai cambiamenti e preferiscono lo status quo, valutando maggiormente le contingenze giudicate come il normale punto di riferimento.

Per ri-orientare i consumatori e i produttori, possono essere anche utilizzati mezzi meno cruenti, che risultano in genere più apprezzabili da parte dei destinatari, come ad esempio i nudge (pungoli o spinte gentili). Si tratta di sostegni positivi, suggerimenti o orientamenti indiretti volti a influenzare le motivazioni o gli incentivi che entrano a far parte del processo decisionale di gruppi e individui (Thaler e Sunstein, 2009).

Oppure, sempre attingendo dall’economia comportamentale, si può far leva sul fatto che gli esseri umani sono molto sensibili alle ricompense e, utilizzando una reward substitution (Ariely, 2011), si può unire un elemento desiderabile ad un’azione sostenibile (ma anche un po’ costosa) e, così facendo, promuoverla.

Alcune sperimentazioni in proposito hanno ad esempio interessato l’ambito della salute pubblica – incentivando la riduzione del tabagismo (Ginè et al., 2010) o il ricorso ad un’alimentazione più salubre (Hanks et al., 2012; Payne et al., 2016; Nudge Italia e Ogilvy Change, 2020) – e ottenendo primi risultati incoraggianti.

Ma fintanto che gli interventi a favore della salute ambientale e umana (per quanto magari non proprio perfetti) vengono recepiti come punitivi dal punto di vista personale o settoriale e non ne viene colta la necessità generale, non vi sono strumenti economici o sperimentazioni che tengano.