Alzheimer: una nuova cura, i costi per le famiglie e la lezione del Covid-19

scritto da il 23 Giugno 2021

L’Agenzia americana del farmaco ha approvato per il trattamento della malattia dell’Alzheimer (AD) l’Aducanumab. Si tratta di un anticorpo monoclonale in grado di agire sulle cause molecolari della malattia, rimuovendo la proteina beta-amiloide depositata a livello del tessuto cerebrale e tossica, preservando così il mantenimento della memoria e dell’autonomia (nell’immagine l’evoluzione dei sintomi della demenza).

Fonte: Alzheimer Association, 2021

Fonte: Alzheimer Association, 2021 – cliccare sullimmagine per ingrandire

Dopo 18 anni, è la prima nuova cura autorizzata e la sola in grado di agire sui meccanismi alla base dello sviluppo della malattia. Si aprono quindi grandi prospettive, anche se sono necessari ancora approfondimenti, perché non tutti gli studi indipendenti sono concordi sull’approvazione della FDA.

Oltre alla necessità di ulteriori analisi, anche il costo (56.000 dollari all’anno) e la possibilità che possa essere prescritto dai medici di famiglia americani hanno suscitato alcune riflessioni riguardo i rischi della effettiva copertura della popolazione, che potrebbe venire limitata dalle assicurazioni solo a determinate categorie.

Ma quali sono i costi derivanti dal mancato sfruttamento di un’opportunità?

La necessità di estendere ogni cura preventiva, che integri gli interventi sugli stili di vita adottati (ad esempio obesità, tabagismo e inattività fisica sono fattori di rischio associati all’insorgenza di AD e modificabili), si ravvisa anzitutto nei numeri presenti e prospettici sul tema demenze.

In proposito, le valutazioni dell’Alzheimer’s Disease International per il 2020 quantificano in 50 milioni nel mondo le persone affette da demenza che, nel 2050, ammonteranno a 152 milioni, con un nuovo caso diagnosticato in media ogni 4 secondi, una sopravvivenza media di 4/8 anni dopo la diagnosi e un costo annuo complessivamente pari a 604 miliardi di dollari.

In Europa, si stima che il 54 per cento delle demenze sia rappresentata dal Morbo di Alzheimer, con una prevalenza nella popolazione ultra-sessantacinquenne. L’Italia è tra i paesi con un maggior numero di anziani e le proiezioni demografiche su dati Istat mostrano che, con la progressione aritmetica vigente, l’indice di vecchiaia nel 2051 potrebbe raggiungere la quota di 280 anziani ogni 100 giovani.

Fonte: Fondazione Igea (2020)

Fonte: Fondazione Igea (2020)

Per ciascuno dei pazienti attuali o futuri, poi, le rilevazioni della Fondazione Censis stimano un costo medio annuo pro capite (CMAP) pari a 70.587 euro, comprensivo dei costi diretti (a carico del Servizio Sanitario Nazionale e delle famiglie) e dei costi indiretti (o perdita di risorse altrimenti disponibili).

I costi diretti sono direttamente monetizzabili; comprendono le spese per l’acquisto di beni, prestazioni e servizi connessi con l’assistenza dei malati; ammontano mediamente al 25 per cento del CMAP e per oltre il 70 per cento sono a carico delle famiglie.

I costi indiretti vengono stimati a partire dal valore di mercato dei servizi di cura, monetizzando così gli oneri di assistenza informale (le prestazioni non retribuite svolte dai familiari o da persone vicine), cui si aggiunge anche la quota rappresentata dai mancati redditi di lavoro dei pazienti (per un totale che ammonta al 75 per cento del CMAP).

Tutti i costi materiali (assistenza, visite, analisi, attrezzature, ausili sanitari e farmaci) sono positivamente correlati all’aggravarsi della demenza, che può arrivare a richiedere anche 22 ore/die di sorveglianza (Gambina et al., 2019).

A queste tipologie di costi (più o meno facilmente quantificabili) si aggiungono poi i costi intangibili, ovvero la sofferenza fisica e psichica dei pazienti e dei familiari. Si tratta di aspetti non monetizzabili ma ne è chiara la rilevanza sociale e umana.

La gestione del cambiamento che una diagnosi di demenza comporta è infatti molto onerosa per il paziente e per i familiari. Da un lato, ai deficit cognitivi si aggiungono (anche fino al 90 per cento dei casi) disturbi psicologici e del comportamento per eccesso o difetto (dai deliri all’irrequietezza motoria, ma anche l’apatia), che a causa del Covid-19 sono peggiorati nel 60 per cento dei pazienti colpiti da Alzheimer (Rinaldi et al., 2021). D’altro lato, ai familiari viene richiesto un impegno non solo assistenziale ma anche emotivo-relazionale, con costi aggiuntivi legati ai cambiamenti di ruolo, al dolore, alla conflittualità e alla perdita affettiva (Izzicupo et al., 2019) e tali da arrivare a definirli “le vittime nascoste”, per il vissuto complesso di rinuncia, svuotamento e desiderio di fuga ma anche di senso di colpa e di inadeguatezza verso la gestione dell’assistenza (Musella e Nuzzo, 2011) .

Complessivamente, una classificazione adottata dalla letteratura scientifica (Manigrasso e Bernabei, 2002), che ripartisce i costi sostenuti per Alzheimer in quattro aree -finanziari/occupazionali, sociali, emotivi e fisici-, fa comprendere bene la pervasività delle conseguenze della malattia che ricadono su molti ambiti (se non tutti) del quotidiano.

A fronte di questi aspetti, auspicalmente evitabili con interventi preventivi, un altro elemento positivo nell’esistenza (e nella diffusione) della nuova possibile cura è l’occasione di invertire i pregiudizi limitanti che ruotano attorno al tema demenze e sono altrettanto “costosi”.

Secondo il World Alzheimer Report 2019, infatti, due persone su tre ritengono che la demenza sia la normale conseguenza dell’invecchiamento e una persona su quattro crede che non vi sia alcuna possibilità di prevenzione a riguardo. Queste e altre credenze errate sul tema non sono prive di conseguenze perché concorrono a creare uno stigma sociale complessivamente negativo verso il disturbo e costituiscono, a livello individuale o familiare, un freno alla richiesta di informazioni e di assistenza medica utili al contenimento o al lenimento della malattia e, a livello sociale, un freno ai fondi stanziati per le cure e l’assistenza (Barbarino, 2019).

Con il Covid-19 dovremmo aver iniziato a capire che rendere accessibili le cure (nel caso specifico i vaccini) in modo generalizzato e non solo a pochi (i Paesi più ricchi) è conveniente (nel caso del virus, un tempo prolungato di circolazione favorisce lo sviluppo di varianti e il protrarsi della pandemia). Ora, dunque, potremmo entrare nell’ottica di trasferire questa nuova consapevolezza anche nelle riflessioni su altre malattie (come ad esempio l’Alzheimer), ragionando sì sui costi dei trattamenti ma anche (in modo più ampio) sui costi delle mancate cure e della loro mancata estensione a tutti, non foss’altro perché in generale (come postula il bias dell’omissione isolato da Asch et al., 1994) sopravvalutare il costo di un’azione e sottostimare il costo dell’in-azione è poco razionale.