Cervelli in fuga e laureati in calo: come fermare l’emorragia di talenti?

scritto da il 30 Giugno 2021

I cervelli italiani fuggono sempre di più all’estero, dal 2013 sono aumentati del 41,8 per cento.

È quanto ha concluso la Corte dei Conti nel Referto sul sistema universitario 2021, identificando la tra le cause “le persistenti difficoltà di entrata nel mercato del lavoro” e “il fatto che il possesso della laurea non offre [..] possibilità di impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore”, oltre a “le limitate prospettive occupazionali con adeguata remunerazione”

Trovare talenti nazionali impegnati con successo in altri Paesi non costituisce una grande novità (anche se il tasso di crescita ha assunto dimensioni davvero allarmanti), ma, se a ciò si aggiunge una crescente riduzione del numero complessivo dei laureati, la quota dei talenti che rimangono in Italia rischia di assottigliarsi in modo irreparabile.

Uno scenario di questo tipo ha conseguenze negative sulla ristrutturazione del sistema produttivo, da un lato perché quando i cervelli fuggono nascono meno imprese (fino al 60 per cento in meno per effetto della sottrazione demografica e soprattutto nel settore dell’alta innovazione, come rilevato da Anelli et al. (2019)). D’altro lato perché vi è una correlazione diretta tra personale laureato e crescita dell’innovazione e della produttività (in proposito, un Quaderno della Banca d’Italia).

LA FORMAZIONE DEI TALENTI

Analizzando cosa avviene nelle Università, in Italia non sembra mancare la volontà di un up-grade delle proprie competenze attraverso un percorso accademico, perché il numero degli iscritti complessivo è in aumento (come mostra la tabella seguente) e una certa quota degli iscritti è perfino d’età adulta (5 per cento).

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Di contro, l’entusiasmo iniziale non sembra però tradursi in risultati tangibili, poiché risulta in aumento anche l’abbandono degli studi. Perché? Secondo le rilevazioni della Corte dei Conti, lo scoglio è già al primo anno, quando gli studenti faticano a conseguire il numero di crediti formativi (CFU) previsto. Nell’anno accademico 2019/20, infatti, risultano conseguiti la metà o poco più dei CFU (le percentuali sono comprese tra il 50 e il 66 per cento, a seconda della localizzazione geografica, come illustrato nella tabella seguente).

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Un altro aspetto critico è la possibilità materiale di frequentare l’Università, ovvero poter accedere ove necessario a borse di studio, prestiti o esoneri alla contribuzione e anche ai servizi abitativi (collegi e residenze universitarie).

In proposito, i dati della Corte dei Conti mostrano sì importi stanziati crescenti, ma anche ampie quote di richiedenti non soddisfatti (secondo il dettaglio delle tabelle seguenti) che rischiano di aumentare a causa della pandemia. Per effetto del Covid-19, infatti, il numero dei nuclei in povertà assoluta è destinato a crescere (l’Istat stima un incremento di 335mila unità solo nel 2020), con ripercussioni dirette sui dati della povertà educativa, per tutte le classi di età a partire dai minori (Save the Children, 2020).

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Anche a causa delle difficoltà iniziali o materiali e comunque a prescindere dagli effetti del Coronavirus sui redditi delle famiglie, resta il fatto che la percentuale degli studenti laureati entro la durata normale del corso è considerevolmente contenuta, per quanto in leggero aumento nell’ultimo quadriennio almeno nelle Università statali (nella tabella seguente il dettaglio per area geografica). Tra i laureati di primo livello, poi, solo poco più della metà si iscrive al biennio di specializzazione.

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Fonte: Corte dei Conti, 2021

Con molti studenti che non si laureano o si laureano tardi, occorre anche ricordare che è fondamentale l’indirizzo di studio e il settore di afferenza dei corsi erogati.

Nonostante sia sempre maggiore la domanda di risorse con background scientifico o informatico (STEM – Science, Technology, Engineering e Mathematics), infatti, non si può dire lo stesso dell’offerta dei profili corrispondenti (in proposito, un’analisi dell’Osservatorio Fondazione Deloitte che riflette anche sugli scenari post-pandemici attesi).

Formando più studenti in discipline strategiche si potrebbero invece rendere meno impietosi i confronti internazionali (OECD, 2020), dove risulta che in media nei Paesi OCSE il tasso di occupazione tra i 25 e 34 anni in possesso di un’istruzione terziaria è dell’85 per cento, mentre in Italia è ancora pari al 68 per cento.

ALCUNE DIREZIONI LUNGO CUI LAVORARE

Le rilevazioni della Corte dei conti mostrano anche elementi positivi, ad esempio riguardo la qualità del sistema universitario e le capacità degli Atenei di promuovere l’internazionalizzazione (su Econopoly ne abbiamo parlato qui).

Le valutazioni dell’ANVUR-Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario risultano infatti tutte “soddisfacenti”, con eccellenze nelle Università di Trieste, di Trento, di Padova e di Parma che ottengono un livello “molto positivo”.

In più, nell’anno accademico 2019/20, le immatricolazioni con cittadinanza straniera sono aumentate di 2.121 casi rispetto al 2016/17, un aspetto che promuove forme di apprendimento e di sviluppo di competenze interculturali.

La scelta per gli studi universitari: che direzione prendere?

La scelta per gli studi universitari: che direzione prendere?

A partire da questi elementi valoriali si potrebbero allora innestare alcuni interventi per attivare corsi in materie che assicurano lavoro, oltre che per renderne possibile la frequenza e il raggiungimento del titolo e, così, far concretizzare felicemente la buona volontà di formarsi e specializzarsi.

Ad esempio, andrebbero corroborati gli strumenti per promuovere il conseguimento della laurea e l’iscrizione ai cicli successivi (studiando strategie nuove per rinforzare le attività di orientamento e di tutoraggio tra le matricole). Inoltre, sembra ancora necessario intervenire sul diritto allo studio (affinché la laurea non sia perlopiù appannaggio di chi proviene da contesti familiari di laureati, come risulata tuttora e storicamente nelle rilevazioni di AlmaLaurea).

In più, oltre a promuovere la scelta di percorsi di studio nelle discipline STEM (ad esempio investendo in una didattica delle scienze già dalla scuola primaria, come esplorato da Appiani (2021) andrebbero corroborate le sinergie tra Atenei e Ordini professionali (sul territorio nazionale ne risultano attivate 30 nel 2020/21). Così sarebbe possibile allineare le competenze alle richieste dal mercato, scongiurando le fughe di cervelli, assicurando al Paese un maggior numero di talenti disponibili e anche assicurando loro un’occupazione (e pure una remunerazione) allineata agli sforzi formativi profusi.

Il tutto con una certa urgenza perché, secondo il Rapporto AlmaLaurea 2021, il 45,8 per cento dei laureati nel 2020 è pronto a trasferirsi per lavoro all’estero.

 

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