2021, commercialisti (e non solo) in fuga dagli studi. Da dove ripartire?

scritto da il 30 Agosto 2021

“Se mi toccate muore, se non sparite entro 30 secondi muore, se ritornate muore.” Questa è una delle frasi celebri del film “1997: fuga da New York”.

Sembra ben descrivere il clima di paralisi delle libere professioni, quantomeno per come è stata recentemente descritta in un articolo del Sole24ore che poi è stato più volte ripreso da altre testate ed in rete: “Commercialisti, fuga dagli studi: oltre 1.300 tirocinanti in meno. I giovani si offrono a decine di migliaia ogni anno alle Big Four della consulenza dove sanno che, insieme allo stipendio, riceveranno formazione”.

La stampa specializzata ha enfatizzato la drastica riduzione del numero di praticanti tra commercialisti, avvocati e persino notai.

Mi è stata da più parti sollecitata una presa di posizione da dottore commercialista su quella che è stata definita “una professione in crisi di vocazione e con redditi in sofferenza. Una professione che deve necessariamente ripensare sé stessa, in una prospettiva orientata all’innovazione e alla ricerca di nuove opportunità di business.”

Confesso di essermi un po’ perso tra notizie che notizie non sono (la crisi delle vocazioni dura da anni) e tra soluzioni che faccio davvero fatica a comprendere.

Provo a contestualizzare più per aprire un dibattito piuttosto che per fornire facili soluzioni.

Che cosa è cambiato in questi anni?

1. Crisi demografica: ammettiamolo, siamo un Paese vecchio che tende a conservare lo status quo e che non affronta i veri problemi. I giovani mancano e molti vanno a lavorare all’estero.

2. Profonda trasformazione del tessuto produttivo: le imprese cambiano, hanno esigenze differenti, anche se spesso restano piccole (ma comunque meno piccole di qualche anno fa) pensano in grande. Un intero settore, quello del commercio e delle micro attività, è sotto scacco ed il piccolo terziario ne risente.

3. Scarsa produttività: è un problema che attanaglia tutta l’economia italiana, che in qualche modo l’industria sta provando ad affrontare ma che i servizi trascurano. Se mi è permesso un paragone irriverente la metafora del Paese è l’omino al casello dell’autostrada. Esiste il telepass, una popolazione anziana ed avversa all’innovazione per ora continua a fare la coda davanti al casello ma quelli con le macchine più belle e veloci ormai hanno tutti il telepass. Oggi il casellante conserva in parte il suo lavoro ma per quanto? E potrà mai sognarsi di chiedere un aumento?

4. Siamo ancora libera professione? Quando ero piccolo mio padre era molto fiero di essere un libero professionista, forse più che essere un commercialista. Sentiva molto forte la tensione etica e mi ha trasmesso questi valori. Era una tensione sana, la deontologia era un valore a tutela del cliente non uno strumento a limitazione del mercato.

5. Siamo ancora lavoratori autonomi? Le libere professioni sono cresciute perché consentivano una autonomia che l’impresa fordista negava. Da anni ormai non è più cosi, gli studi crescono di dimensioni e le imprese hanno strutture organizzative sempre più flessibili ed in grado di valorizzare il singolo.

6. Siamo ancora uno strumento di promozione sociale: lo siamo ancora? Solo io ricordo il ruolo di ragionieri e geometri nella crescita di una Italia affamata di competenze? Tanto affamata da non poter aspettare una laurea e contemporaneamente tanto generosa nel consentire a chi non aveva fatto studi alti di confrontarsi con laureati?

La crisi della categoria affonda le sue radici nei problemi del Paese. Semplicemente essendo in qualche modo il nostro un mercato protetto ce ne siamo accorti tardi. L’industria ha, secondo i dati ISTAT, iniziato già dalla crisi 2008/2011 un percorso di rinnovamento.

Quali soluzioni vengono proposte a tutela della categoria?

(Tetra Images - AGF)

(Tetra Images – AGF)

L’immobilismo a tutela di una lenta agonia
“Se mi toccate muore, se non sparite entro 30 secondi muore, se ritornate muore.” Sembra il surreale dialogo tra il libero mercato (se in Italia esistesse) e molti professionisti spalleggiati dalle relative associazioni di categoria. L’imperativo è tutti fermi e rimandare la soluzione.

E la soluzione credetemi non è finanziare i micro studi, non è richiedere esclusive, ridurre il percorso formativo o inventarsi nuovi adempimenti per sostenere un mercato in agonia.

Oggi in un Paese immobile i ragazzi preferiscono la certezza del posto in azienda o la sfida delle startup o del web marketing. Magari si cresce meno ma si ha indipendenza ed autonomia.

Tutto finito quindi? Io non credo, anzi.

Sono passati gli anni in cui i giovani avevano un vantaggio formidabile sugli anziani perché sapevano fare un sito e conoscevano internet. Oggi anche in quei settori la concorrenza è forte e se non si studia e non si è preparati non si cresce e non si mantiene il vantaggio competitivo.

Il problema oggi è avere il coraggio di alzare lo sguardo, ascoltare le nuove e più sfidanti richieste delle imprese, tornare ai valori fondanti della nostra professione: deontologia e competenza.

Certo, essendo le libere professioni fortemente influenzate dalla normativa, dobbiamo farlo dialogando con la politica e la pubblica amministrazione ma deve essere un confronto alto, di visione, cercando di capire il mercato e sforzandoci tutti di assecondarlo anche se farlo significa perdere una parte del fatturato.

Ne scrissi in maniera ironica ma non troppo sempre su Econopoly: “Costringere il commercialista a rincorrere la burocrazia significa privare l’impresa di quella consulenza fondamentale per affrontare una crisi come questa, per aiutarla a crescere, per gestire il passaggio generazionale, per ridisegnare il business model e cavalcare l’innovazione.”

Perché siamo sinceri, soprattutto noi commercialisti, imprigionati da un fatturato certo ed a basso margine (adempimenti, burocrazia, ecc) rischiamo di perdere una straordinaria occasione per rinnovare la nostra professione ma anche e soprattutto per essere uno straordinario strumento di politica economica.

Oggi concorrenti esterni agli albi ed in qualche modo più liberi non avendo fatturati da difendere, diventano molto aggressivi sul mercato e minacciano il settore. Come difenderci? Con deontologia (credo che tutti abbiano in mente un paio di realtà non proprio corrette che si sono affacciate sul mercato negli ultimi anni) e competenza.

(Adobe Stock)

(Adobe Stock)

E fatemi dire anche ascoltando le imprese. Oggi il nostro Studio, dopo un percorso di riflessione in cui abbiamo ridisegnato mission e servizio offerto, sostiene un programma per mettere in contatto investitori dell’ecosistema di Boston con startup ed imprese innovative italiane. Sarebbe mai stato possibile anni fa? Avrebbe mai suscitato tanto interesse?

Nulla è facile e non voglio banalizzare, dobbiamo cambiare mentalità, dobbiamo entrare in mercati estremamente più complessi, dobbiamo ripensare le nostre strutture organizzative (aprirci a nuove collaborazioni, lasciandoci contaminare) ed affrontare nodi irrisolti come le società tra avvocati e tra professionisti senza ambiguità e con sincerità dotandoci di strumenti tecnici adeguati.

Tutto questo sarà sufficiente? Ovviamente no ma è il mercato bellezza e le grandi sfide sono solo per i più coraggiosi. E sono certo che grande sarà il premio finale.

Non a caso il lettore più attento avrà notato quanto interesse e quante critiche sono rivolte contro i commercialisti dai nuovi potenziali concorrenti. Significa che il mercato c’è ed è appetibile. Bisogna solo tornare a pensare come startup, pur valorizzando il nostro DNA (deontologia e competenza), per innovare un mercato maturo.

A proposito, stiamo cercando giovani neolaureati da far crescere in Studio 😉.

Twitter @commercialista