Gestione attiva o gestione passiva dei risparmi, questo è il dilemma

scritto da il 16 Settembre 2021

Interessarsi alla finanza personale rappresenta un primo importante passo per raggiungere la consapevolezza finanziaria. Essere consapevoli relativamente alle proprie finanze non significa soltanto conoscere il saldo dell’estratto conto, ma è un tema più profondo, che riguarda il nostro rapporto con la pianificazione.

Gli investitori più consapevoli si ritrovano con un dilemma in fase di pianificazione finanziaria: è meglio preferire una gestione attiva o una gestione passiva? La restante parte, cioè la maggioranza, non si pone nemmeno il problema, speranzosa che il web provveda ad apparecchiargli una soluzione.

In rete brulicano numerosi guru finanziari e “coach” che, a volte, nell’intento lodevole di smascherare alcuni dogmi di pianificazione finanziaria, rischiano di generare ancora più confusione nei risparmiatori.

Partiamo da una doverosa (e dolorosa) premessa: la stragrande maggioranza degli individui non possiede le competenze necessarie per elaborare un’asset allocation autonomamente. C’è chi tenta la sorte con il trading online, chi si affida al proprio consulente e chi si limita al trading virtuale o demo, evitando di perdere denaro vero, ma anche togliendosi la possibilità di guadagnare denaro vero.

Dal punto di vista operativo, tornando alla dicotomia accennata nel titolo, esistono due strategie di investimento a cui si può fare riferimento nel mondo degli investimenti: la gestione attiva e la gestione passiva. Entrambe basano le loro performance rispetto ad un indice di riferimento (il benchmark), ossia un parametro oggettivo che aiuta a valutare le performance del portafoglio rispetto al mercato.

schermata-2021-09-16-alle-13-40-52

Nella gestione attiva l’obiettivo del gestore è quello di battere il benchmark e quindi generare una performance positiva. Per riuscire nell’impresa (perché di questo si tratta, a volte), l’abilità del gestore consiste nel selezionare le singole azioni da inserire nel portafoglio (stock picking) e individuare il momento di ingresso più consono (market timing).

La gestione passiva, al contrario, è una tecnica di investimento che prevede che il gestore replichi la performance di uno o più indici di riferimento. Gli strumenti di gestione passiva più noti sono gli ETF (Exchange Traded Fund): se il mercato sale di 10, il relativo ETF sale di 10, se il mercato scende di 10, l’ETF scende di 10. In altre parole, è un po’ come attivare il pilota automatico. Questa teoria si basa sul concetto che se i mercati sono efficienti è impossibile batterli, pertanto non resta altra scelta che replicarne fedelmente l’andamento.

Il principale elemento che differisce tra le due strategie è rappresentato dai costi.

Risulta pleonastico affermare che una strategia attiva, che fa affidamento su un maggior numero di operatori, prevede necessariamente un maggior numero di costi. E non c’è nulla di strano: sin dalla notte dei tempi a nessuno è mai piaciuto lavorare gratis. Il tema è capire in che modo tali costi possono essere giustificati.

In rete è pieno di ultras di entrambe le tecniche che, più che avvalorare le proprie argomentazioni, si limitano solamente a screditare quelle dei colleghi, senza apportare alcun contributo propositivo al dibattito.

Per esempio, gli amanti della gestione attiva fanno leva sul rischio di liquidità degli ETF, mentre gli amanti della gestione passiva invitano a stare alla larga dai fondi a gestione attiva perché troppo costosi. Ora, sebbene si possa a volte concordare con quest’ultima affermazione, è un po’ troppo semplicistico limitarsi ad una considerazione simile. Il costo è un concetto relativo, limitarsi a valutare due prodotti (che siano fondi di investimento o automobili poco cambia) osservandone semplicemente il costo rischia di essere fuorviante. È un po’ come dire che la Panda è meglio della Ferrari perché costa meno: in fin dei conti, entrambe hanno quattro ruote, entrambe hanno un volante ed entrambe hanno il posto per i passeggeri.

Allo stesso modo, si può che affermare che, considerato un orizzonte di medio lungo termine, i fondi a gestione attiva che battono il benchmark esistono, ma non pullulano. Esiste un indicatore che assolve l’importante funzione di termometro della qualità di un fondo, l’alfa di Jensen. Grazie a questo parametro è possibile stabilire in maniera del tutto oggettiva se un fondo a gestione attiva merita o meno la sottoscrizione.

LEGGI ANCHE: Continua la corsa dei fondi: il risparmio gestito al record di 2.545 miliardi

Concludiamo con una riflessione operativa, che è poi quello che interessa maggiormente ai risparmiatori. Gestione attiva e passiva sono due tecniche che possono essere perfettamente combinate per costruire un portafoglio diversificato, flessibile e capace di garantire delle performance concrete nel medio-lungo termine.

Questo avviene perché, senza la gestione attiva, nel mercato si creerebbe un’emorragia di partecipanti, dal momento che tutti sarebbero impegnati a replicare al millimetro il benchmark.
Allo stesso modo, senza la gestione passiva il numero di gestori attivi sarebbe troppo elevato e si finirebbe per avere solamente gestori che provano a battere la performance del benchmark e, a lungo andare, diventerebbe come un cane che si morde la coda.

Se l’orizzonte temporale di investimento è il “lunghissimo” termine (15-20 anni), i fondi a gestione passiva permettono di beneficiare del rialzo dei mercati in maniera ottimale. Se l’orizzonte temporale è più basso (5-10 anni), l’investimento in fondi attivi può consentire di sfruttare, grazie all’abilità del gestore, alcune fasi di mercato per sovraperformare.