Climate change: cosa si fa di concreto nelle università?

scritto da il 27 Settembre 2021

Da Ottobre, nelle 34 mense delle università di Berlino verranno praticamente eliminati i piatti a base di carne. I menù saranno infatti composti per il 68 per cento da opzioni vegane, per il 28 per cento vegetariane e per il 2 per cento a base di pesce (è prevista un’unica proposta di carne e in soli quattro giorni alla settimana).

Un’iniziativa simile ha riguardato recentemente anche il ristorante aziendale della Volkswagen a Wolfsburg sempre in Germania, ovvero secondo il Global New Products Database di Mintel il mercato leader (ora maturo) nel lancio di prodotti alimentari vegani.

I motivi dell’adeguamento nell’offerta alimentare nelle mense tedesche citate attengono sostanzialmente la protezione del clima, un obiettivo che è necessario perseguire come dimostrano oramai molte evidenze scientifiche (a riguardo, una sezione dedicata al tema curata dalla NASA), con un’urgenza che il Climate Clock (in Italia presente a Roma e recentemente a Pesaro) scandisce anche visivamente.

Climate Clock (25/09/2021, 18.45)

Climate Clock (Immagine del 25/09/2021, ore 18.45)

Tra gli studi più recenti sul tema, il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) offre un quadro aggiornato della dinamica anche prospettica del cambiamento climatico e degli effetti (tra cui l’intensificazione del ciclo dell’acqua e le variazioni nei modelli di precipitazioni cui si è assistito negli ultimi mesi) e attesta che, pur a fronte di derive ormai irreversibili, attraverso forti e durature riduzioni delle emissioni di anidride carbonica e altri gas a effetto serra si concorrerebbe a limitare i cambiamenti climatici (il rapporto di IPCC è stato analizzato da Enrico Mariutti su Econopoly).

La necessità di intervento è anche di natura sociale, oltre che economica. Un report dell’ILO mostra ad esempio l’esistenza di una correlazione tra lo stress termico e la compromissione della qualità e della dignità del lavoro (soprattutto nel settore agricolo), oltre ad una perdita di produttività globale pari al 2,2 per cento delle ore totali lavorate in tutto il mondo, equivalenti a 80 milioni di posti di lavoro a tempo pieno entro l’anno 2030 e quantificabili in una perdita economica globale che ammonta a 2.400 miliardi di dollari. Una stima del WHO allerta inoltre che tra il 2030 e il 2050 i cambiamenti climatici causeranno circa 250.000 decessi aggiuntivi all’anno, oltre ad un costo annuo per la salute stimato tra 2 e 4 miliardi di dollari.

Fra i modi per comprimere le emissioni di anidride carbonica e la distruzione degli ecosistemi forestali si trova appunto il ricorso ad un alimentazione basata su soluzioni vegetali, in contro-tendenza rispetto a quanto avvenuto fin qui. Uno studio pubblicato da Our World in Data mostra  infatti che negli ultimi 50 anni i volumi della produzione di alimenti di origine animale sono triplicati, mentre con l’adozione globalizzata di una dieta vegetale si realizzerebbe una consistente riduzione dell’utilizzo del suolo (fino al 75 per cento secondo un successivo studio pubblicato ancora da Our World in Data), anche perchè una ricerca condotta su 38.700 aziende agricole allerta che l’effetto sul clima dei prodotti animali a più basso impatto in genere supera comunque l’equivalente dei sostituti vegetali.

Fonte: Our World in Data (clicca sull'immagine per ingrandire)

Fonte: Our World in Data (clicca sull’immagine per ingrandire)

 

 

 

 

Fonte: Our World in Data (clicca sull'immagine per ingrandire)

Fonte: Our World in Data (clicca sull’immagine per ingrandire)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se sono noti i motivi che spingono verso una compressione del consumo di carne, l’aspetto interessante della scelta nelle mense universitarie berlinesi è l’origine del cambiamento. Sono stati infatti gli studenti stessi a richiedere (ed ottenere) questa innovazione che parte quindi dal basso, come dichiarato dallo Studierendenwerk -l’organizzazione studentesca attiva per la promozione economica, sociale, sanitaria e culturale degli universitari berlinesi- e riportato anche da The Guardian, a conferma della tendenza ambientalista ivi radicata (a riguardo un articolo pubblicato da The Guardian).

La lungimiranza degli universitari tedeschi rispetto alla sostenibilità alimentare è interessante perché non si ritrova un equivalente a livello nazionale.

Un’analisi di Ipsos-Fondazione Barilla mostra ad esempio che tra gli under27 solo il 9 per cento associa il concetto di sostenibilità con il termine cibo e oltre il 50 per cento dei giovani intervistati non conosce l’Agenda 2030 (tra i 17 obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile, il tredicesimo è appunto dedicato al cambiamento climatico). Anche il Rapporto Italia 2021 di Eurispes attesta che l’85,2 per cento degli intervistati è tuttora ancorato a regimi alimentari tradizionali e rileva addirittura un calo tra il numero dei vegetariani (dal 6,7 per cento del 2020 all’attuale 5,8 per cento).

Va detto che le cause potrebbero non risalire ad una cattiva volontà, quanto piuttosto ad un altro tipo di gap. Uno studio condotto dall’Università di Reading ad esempio mostra che i giovani inglesi tra i 18 e i 25 anni (appartenenti alla Generazione Z) hanno oggettive difficoltà ad aderire a schemi alimentari salubri e a ridurre gli sprechi di cibo (riguardo al food waste, un resoconto globale della FAO quantifica gli impatti e individua le cause). A carenze di questo tipo suppliscono ad esempio i progetti come Cook Clever, un’iniziativa finanziata dall’Istituto europeo per l’innovazione e la tecnologia EIT Food (un organismo indipendente dell’Unione europea) che fornisce il know-how necessario a cambiare i comportamenti anche ricorrendo a soluzioni gamificate.

Altre leve efficaci sembrano poi riguardare la comunicazione di valori etici alle nuove generazioni e la possibilità di informarsi in modo fondato per compiere scelte consapevoli. Uno studio intergenerazionale condotto negli Stati Uniti mostra ad esempio che i Millennials trasmettono ai figli i principi dell’alimentazione consapevole e favoriscono la transizione verso opzioni sostenibili dal punto di vista alimentare con percentuali maggiori rispetto alle generazioni precedenti.

Fonte: Impossiblefood

Fonte: Impossiblefood

Fonte: Impossiblefood

Fonte: Impossiblefood

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche il dilatarsi del tempo concesso alla riflessione originato dal lockdown e dalle altre limitazioni per Covid-19 potrebbe rivelarsi un’occasione vincente per l’acquisizione di conoscenze e competenze sostenibili.

Secondo il Rapporto Coop 2021 – Economia, consumi e stili di vita di oggi e di domani, ad esempio, nel 2020 un cittadino su sei ha adeguato il proprio regime alimentare per ridurre l’impatto ambientale e il Rapporto SINAB-ISMEA ha registato un aumento del 4,4 per cento dei consumi di alimenti biologici in Italia.

Focalizzandosi sugli studenti, poi, il Rapporto Giovani 2021 ha quantificato che, a seguito della pandemia, si è acuita l’attenzione alla sostenibilità dei cibi consumati (la percentuale di chi acquista spesso prodotti biologici è incremetata dal 15 al 18,6 per cento), anche se va detto che -pur in presenza di una accresciuta richiesta di informazioni- l’offerta delle stesse non è sempre completa, come risulta ad esempio da uno studio di CREA che, analizzando le pagine web più visibili, ha riscontrato notizie corrette e di alta qualità scientifica solo nel 49 per cento dei casi.

L’apprensione per i cambiamenti climatici (diffusa massicciamente tra i cittadini europei sino ad una percentuale del 93 per cento, come risulta da un’indagine della Commissione europea che dettaglia anche gli orientamenti rilevati nei singoli Paesi) quindi potrebbe e dovrebbe venire intercettata utilmente per promuovere una presa di coscienza e un’attivazione personale o collettiva, offrendo strumenti conoscitivi e operativi validi e validati.

Fonte: Commissione europea

Fonte: Commissione europea

Tornando alla notizia riportata in apertura e che ha offerto lo spunto per questo post, in Germania a studenti consapevoli ed attivi corrispondono università altrettanto pronte.

L’obiettivo della protezione del clima viene infatti perseguito fattivamente dagli atenei tedeschi, come la Freie Universität e la Humboldt-Universität che si sono prefissate il raggiungimento della neutralità climatica rispettivamente entro il 2025 e entro il 2030. Un approccio completo alla risoluzione del problema climatico si trova ad esempio nella Technische Universität, dove la sostenibilità viene perseguita con programmi di studio e interventi strutturali, anche pubblicamente (con la partecipazione istituzionale alle manifestazioni del movimento Fridays for future) e personalmente da parte del personale (con le assunzioni di responsabilità a rinunciare ai voli a corto raggio per trasferte di lavoro), oltre che in modo pratico (con l’assunzione di due responsabili per la protezione del clima) e democratico (gli studenti stessi possono istituire direttamente corsi e workshop sulla sostenibilità e dar così prova della propria inventiva nel proporre soluzioni).

Quali sono invece le prestazioni delle università italiane in Climate Change?

In proposito, si può consultare l’Impact Rankings 2021 elaborato da THE-Times Higher Education che valuta appunto le università di 81 Paesi rispetto agli obiettivi di sviluppo sostenibile e ne analizza le azioni rispetto a quattro macro-aree (ricerca, gestione, sensibilizzazione e insegnamento).

Per il 2021, la nazione più rappresentata è risultata il Giappone (con 44 istituzioni), seguita dal Regno Unito (con 33 istituzioni), mentre sono stati il Portogallo e la Corea del Sud a realizzare i miglioramenti più consistenti rispetto all’anno precedente.

Anche l’Italia è presente nella classifica, soprattutto per l’impegno profuso verso il raggiungimento dei 17 SDGs da parte dell’Università Alma Mater di Bologna (il dettaglio delle iniziative attivate è accessibile nel sito dedicato), dell’Università di Firenze (che si distingue per l’indicatore Industria, innovazione e infrastrutture) e dell’Università di Padova (premiata per l’indicatore Qualità della didattica), tutto verso l’auspicabile traguardo di raggiungere, per quanto riguarda l’obiettivo legato al Climate Change, i livelli avanguardistici degli atenei berlinesi.

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Leggi anche: Così i giovani cambieranno i consumi alimentari (e l’agricoltura)
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Riferimenti bibliografici (estratto)
Bichi R. e Corvo P., 2021, I consumi alimentari: che cosa cambia nella pandemia?, in Istituto Giuseppe Toniolo, Rapporto Giovani 2021, 273-291
Hayek M. N. et al., 2021, The carbon opportunity cost of animal-sourced food production on land, Nature Sustainability, 4, 21-24
Ritchie H., 2021, If the world adopted a plant-based diet we would reduce global agricultural land use from 4 to 1 billion hectares, Our World in Data
Ritchie H. and Roser M., 2019, Meat and Dairy Production, Our World in Data