Il work-life balance vale per tutti (indipendentemente dal genere)

scritto da il 29 Settembre 2021

Per i Millennials un’azienda è più attraente se sensibile al work-life balance, tema che non vale solo per il genere femminile (ne abbiamo parlato precedentemente su Econopoly). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, infatti, gli studi e le ricerche mostrano che il disagio causato dall’interferenza tra lavoro e vita privata interessa tanto gli uomini quanto le donne.

La trasversalità del tema risulta ad esempio da uno studio globale che mostra come il work-life balance sia l’aspetto prioritario nella scelta di un’azienda (per il 60 per cento dei lavoratori) e che mostra anche come le differenze di genere siano contenute (70% di preferenze per le donne contro il 62% degli uomini).

Anche secondo uno studio pubblicato sul Journal of Applied Psychology (e basato sui risultati di oltre 350 studi condotti in tre decenni che hanno incluso più di 250.000 partecipanti da tutto il mondo), non vi sono rilevanti evidenze di una differenza di genere rispetto al conflitto tra il lavoro retribuito e la vita privata delle persone. I risultati ottenuti sono infatti orizzontali rispetto al Paese di origine e prescindono dal livello di uguaglianza di genere ivi raggiunto. Sostanzialmente anche il livello di reddito percepito e l’esistenza di un legame relazionale sembrano ininfluenti nel modificare l’intensità del conflitto percepito.

Cambia invece il modo in cui si percepisce lo sbilanciamento: le donne se ne sentono più colpevoli degli uomini (a causa delle aspettative ingenerate dagli stereotipi culturali che interferiscono nelle auto-valutazioni di entrambi i generi) e cambia anche la familiarità con il tema: gli uomini sono meno a loro agio nel parlarne apertamente o nell’esprimere un disagio a riguardo (che però emerge quando alle risposte ai sondaggi è assicurato l’anonimato) e temono ripercussioni sull’immagine o sulla carriera (si noti che proprio la mancata verbalizzazione e socializzazione di questi aspetti da parte degli uomini concorre a corroborare una percezione del tema come esclusivamente femminile).

A conferma del fatto che anche gli uomini devono in qualche modo lottare per assicurarsi un certo spazio al di fuori del lavoro -per quanto l’impegno nella cura familiare resti principalmente una prerogativa del genere femminile (secondo le rilevazioni dell’ILO, il 76,2 percento delle ore totali di assistenza è svolto dalle donne)-, le rilevazioni OCSE mostrano che tra le persone che svolgono un’attività lavorativa per un tempo molto prolungato (nell’area dell’OCSE, l’11% dei dipendenti lavora 50 o più ore a settimana) la percentuale di dipendenti maschi è superiore al 15%, a fronte di circa il 6% delle donne.

Fonte: OECD (clicca sull'immagine per ingrandire)

Fonte: OECD (clicca sull’immagine per ingrandire)

 

 

 

 

 

Le esigenze dei dipendenti di disporre del tempo necessario per impegni ed interessi che esulino dalla professione svolta sembrano essere recepite dagli Stati (come mostra una rassegna delle politiche e delle iniziative elaborata dalla Commissione europea) e comprese da parte dei datori di lavoro che colgono nelle politiche aziendali di work life balance la possibilità da un lato di attribuirsi un vantaggio competitivo (come mostra uno studio in proposito) e, d’altro lato, di disporre di uno strumento per attrarre e reclutare nuovi talenti, coinvolgere i collaboratori e aumentarne la motivazione e la soddisfazione (riguardo i benefici per le aziende di un bilanciamento tra le esigenze, una pubblicazione dell’ILO).

Nonostante gli interventi esistenti, però, permane da parte dei dipendenti una certa tendenza ad adottare soluzioni individuali (anche a scapito della salute come indaga uno studio in proposito) piuttosto che aderire alle politiche di conciliazione promosse dall’impresa, per una diffusa percezione di stigma (a riguardo, un articolo pubblicato dall’Harvard Business Review). Anche un altro studio rileva che al work-life balance sono associati atteggiamenti, emozioni e comportamenti negativi.

Come intervenire allora?

Ad esempio si può investire nella creazione di una cultura neutra che attribuisca alle politiche di work-life balance una definizione priva di accezioni di genere e invece più centrata sul benessere (come mostra ad esempio uno studio in proposito). Intanto, il fatto che i Millennials esplicitamente dichiarino di considerare il bilanciamento come un fattore essenziale (a prescindere dal genere di appartenenza) potrebbe già essere il preludio di un cambiamento culturale che riconosca la necessità -per tutti- di un equilibrio tra l’ambito professionale e quello personale.
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Leggi anche: Work-life effectiveness, dall’equilibrismo alla gestione organizzata dei tempi
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Riferimenti bibliografici (estratto)

Babin Dhas D., 2015, A report on the importance of work-life balance, International Journal of Applied Engineering Research 10, (9), 21659-21665
Mensah A., Kofi Adjer N., 2020, Work-life balance and self-reported health among working adults in Europe: a gender and welfare state regime comparative analysis, BMC Public Health 20, 1052
Perrigino M. B., Dunford B. B., 2018, Work–Family Backlash: The “Dark Side” of Work–Life Balance (WLB) Policies, The Academy of Management Annals, 12, 600-630
Shockley K., Shen W., DeNunzio M. M., Arvan L. A., Knudsen E. A., 2017, Disentangling the relationship between gender and work-family conflict: An integration of theoretical perspectives using meta-analytic methods, J Appl Psychol, 102, (12), 1601-1635
Southworth E. M., 2014, Shedding gender stigmas: Work-life balance equity in the 21st century, Business Horizons, 57, (1), 97-106