Perché è particolarmente importante il Nobel all’economia di quest’anno

scritto da il 15 Ottobre 2021

David Card, Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens sono i vincitori del premio Nobel per l’economia del 2021, un riconoscimento che risulta tanto meritato quanto atteso.

A Card, professore presso l’Università della California Berkeley, va il premio per “i suoi studi empirici sull’economia del lavoro”, mentre ad Angrist (Mit) e Imbens (Stanford) è stato attribuito per “i loro contributi metodologici all’analisi delle relazioni causali”.

Qual è l’effetto dell’immigrazione sul salario e sull’occupazione? L’introduzione di un salario minimo causa inequivocabilmente un aumento della disoccupazione? Quale parte delle disuguaglianze reddituali fra lavoratori è dettata da caratteristiche delle loro imprese? Che ritorno economico corrisponde a un anno in più di istruzione? Su queste ed altre domande hanno estensivamente lavorato i tre premi Nobel nel corso della loro carriera accademica, sviluppando strumenti innovativi che andassero ad individuare risposte rigorose a domande di una simile portata.

Il contesto: “la rivoluzione della credibilità”

L’assegnazione del premio quest’anno si è spinta ben oltre il riconoscimento delle specifiche ricerche dei tre economisti, che peraltro hanno avuto importantissimi riscontri a livello di policy e costruzione dell’opinione pubblica. Si è piuttosto voluto sottolineare l’importanza del loro lavoro per quanto riguarda l’analisi dei dati e le strategie econometriche da loro introdotte per identificare propriamente un nesso causa-effetto. Il lavoro dei tre economisti americani ha infatti influenzato radicalmente l’approccio della disciplina economica allo studio delle relazioni causa-effetto, mostrando come fosse possibile utilizzare i dati osservazionali per inferire gli effetti di politiche pubbliche, per esempio sul mercato del lavoro o nel campo dell’educazione. Lo stesso Angrist in un articolo del 2010 descriveva questa innovazione metodologica, sottolineando in particolare come l’approccio all’analisi dei dati utilizzato fino agli anni ottanta tendesse verso un virtuosismo matematico caratterizzato da limitati riscontri di policy.

Grazie al contributo di questi economisti, invece, l’approccio empirico allo studio dell’economia è cambiato radicalmente, raggiungendo una posizione dominante all’interno della letteratura economica. Per avere un’idea di questo cambio di paradigma, basti pensare che in tre delle maggiori riviste scientifiche economiche (Aer, Jpe e Qje) nel 1960 solo il 40% degli articoli pubblicati veniva categorizzato come empirico (e utilizzava principalmente dati aggregati macroeconomici), mentre nel 2010 il 72% delle ricerche pubblicate in queste stesse riviste si basava su analisi empiriche, spesso utilizzando dati disaggregati (a livello individuale, familiare) ed in gran parte ottenuti tramite “esperimenti naturali”. Un trend evidente, che fotografa chiaramente quella che Angrist nel proprio articolo definisce “rivoluzione della credibilità”.

Da sinistra a destra: Joshua Angrist, Guido Imbens e David Card vincitori del premio Nobel 2021 per l'economia. Foto MIT/EPA-EFE/Shutterstock, Andrew Brodhead/Stanford News Service/EPA-EFE/Shutterstock, Noah Berger/AP/Shutterstock

Da sinistra a destra: Joshua Angrist, Guido Imbens e David Card vincitori del premio Nobel 2021 per l’economia. Foto MIT/EPA-EFE/Shutterstock, Andrew Brodhead/Stanford News Service/EPA-EFE/Shutterstock, Noah Berger/AP/Shutterstock

Cosa sono gli esperimenti naturali

Un punto chiave della rivoluzione metodologica in questione sono i cosiddetti esperimenti naturali. Per esperimento naturale si intendono contesti nei quali circostanze esterne introducono differenze casuali nelle condizioni in cui si trovano gruppi di individui distinti ma simili. Tali eventi possono essere i più diversi, dai cambiamenti nella regolamentazione del mercato del lavoro (come nel caso dell’introduzione di un salario minimo) a shock imprevisti di diverso tipo, come eventi meteorologici o naturali imprevisti. Sfruttando questi eventi, risulta possibile comparare, non senza alcune assunzioni, come individui interessati da un cambiamento delle proprie circostanze reagiscano rispetto ad un gruppo non coinvolto. Angrist e Imbens in particolare hanno contribuito all’apparato metodologico che permette di trarre conclusioni da esperimenti di questo genere.

Come esempio, riportiamo uno degli studi più famosi (e discussi) di David Card, che utilizzava l’esodo di Mariel (“Mariel boatlift”), durante il quale più di 120 mila persone abbandonarono Cuba e si spostarono nel sud della Florida, come esperimento naturale. Nel giro di pochi mesi, la città di Miami vide un aumento enorme di forza lavoro poco specializzata. Comparando i salari medi complessivi della forza lavoro afro-americana nella città con l’andamento degli stessi in aree metropolitane comparabili, Card evidenzia come lo shock migratorio non riduca né gli stipendi né l’occupazione, contrariamente a ciò che sarebbe atteso secondo la teoria economica. Lo studio è ad oggi molto dibattuto, in quanto i risultati non sono semplicemente generalizzabili. È infatti utile sottolineare come la semplicità e la chiarezza di un metodo empirico di questo tipo dipenda largamente dal contesto in cui l’esperimento naturale – che, in quanto casuale, non è replicabile – avviene.

Proprio in relazione all’impostazione teorica e all’interpretazione di questo genere di risultati empirici, si posizionano le ricerche di Angrist e Imbens. Quello che emerge è che i risultati empirici derivanti dagli esperimenti naturali debbano essere interpretati e generalizzati con una particolare attenzione ai limiti imposti dallo strumento usato. Il lavoro fondamentale della coppia (“Identification and Estimation of Local Treatment Effects”, Angrist e Imbens, 1994) va a definire gli effetti trovati da questo genere di studi come “medie locali degli effetti di trattamento”.

Per esempio, Card and Krueger nel 1992 hanno studiato l’impatto della spesa pubblica in educazione sul salario futuro degli studenti. Gli autori comparano gli individui che lavorano in uno stato, ma che hanno completato la loro educazione altrove. Ciò che emerge è che chi ha studiato in stati che investono maggiormente in istruzione ha un ritorno economico per anno speso a scuola maggiore rispetto a chi proviene da altri stati.  Tale evidenza empirica è interpretabile come effetto medio dell’istruzione sul gruppo trattato (in particolare, persone che hanno cambiato stato per lavoro) e quindi non per forza generalizzabile all’intera popolazione. Questa limitazione, che mette in contrapposizione la credibilità della strategia identificativa con eventuali limitazioni alla generalizzazione dei risultati, è causata proprio dalla impossibilità degli esperimenti naturali di assegnare in modo randomico il trattamento a specifiche entità.

Twitter @Tortugaecon