Criptovalute e Fisco: l’insostenibile leggerezza delle valute estere

scritto da il 22 Ottobre 2021

L’autore del post è Stefano Capaccioli, dottore commercialista, fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain, presidente di Assob.itautore di “Criptoattività, criptovalute e bitcoin”

Le criptovalute sono valute estere: lo ha detto l’Agenzia delle Entrate.

È scritto nella Risoluzione 72/E del 2016, sbandierata da molti, forse troppi, come Oracolo di Delfi, quale Verità autoevidente, assurta a dogma.

È così perché è così.

Tale scorciatoia concettuale, oramai, fa parte del bagaglio culturale dei professionisti che paiono aver spento il cervello.

Proviamo ad andare controcorrente.

Le criptovalute e le valute virtuali in genere possono essere valute?

La Banca Centrale Europea dice di no!

La Direttiva (UE) 843/2018 definisce che le valute virtuali “non posseggono lo status giuridico di moneta o valuta”.

La Direttiva (UE) 713/2019 conferma che le valute virtuali “non posseggono lo status giuridico di moneta o valuta”.

Ma non basta.

Il Testo Unico Valutario definisce le valute estere solo “i biglietti di banca e di Stato esteri aventi corso legale” (art. 2 del DPR del 31.03.1988 n. 148).

Nulla.

Tali riflessioni vengono soffocate dalle tenebre del rumore: continuiamo a leggere, pervicacemente, che le valute virtuali e le criptovalute sono valute estere…come ha chiarito l’Agenzia delle Entrate

(Epa)

(Epa)

Viene il dubbio che chi continua a propalare tale pensiero non voglia neanche ascoltare, resistente a qualunque evidenza e polarizzato sulla propria posizione, che ha poi portato a sostenere che il wallet è assimilabile ad un conto corrente / deposito, in pieno contrasto con le evidenze dei fatti, le definizioni ISO e la Direttiva (UE) 843/2018.

Tale accanimento su un marchiano errore può rispondere ad una doppia esigenza:

1. Non voler ammettere l’errore interpretativo effettuato, quasi come se l’Agenzia delle Entrate avesse il dogma dell’infallibilità.

2. Per attrarre a tassazione tali nuove forme di “capacità contributiva”.

Mentre nel primo caso nulla possiamo eccepire, nel secondo caso le criptovalute sono assimilate a valute estere per rendere imponibili le plusvalenze (anche se la Corte Costituzionale sottolinea la necessità di categorie esplicite).

Senza voler entrare in questioni giuridiche, dato che ha più rilievo la parte emotiva rispetto a quella razionale, occorre dimostrare che, dato che il diritto è logica, quando viene preso un abbaglio, le conseguenze diventano grottesche.

Seguiamo anche noi la corrente, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate: le criptovalute sono valute estere ed il wallet è un conto corrente.

Le norme da applicare sono quindi contenute nell’art. 67 e 68 del T.U.I.R, ed in particolare:

Art. 67 del T.U.I.R. comma 1: le plusvalenze (…), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso (…), di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti (…). Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente;

Art. 67 del T.U.I.R. comma 1 ter: “1-ter. Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a cento milioni di lire per almeno sette giorni lavorativi continui.

Art. 68 del T.U.I.R. comma 7: c) per le valute estere prelevate da depositi e conti correnti si assume come corrispettivo il valore normale della valuta alla data di effettuazione del prelievo;

Evitando la diatriba sull’assenza di mercati regolamentati e conseguentemente della carenza di qualsivoglia prezzo, prendiamo due esempi con quotazioni su Coinmarketcap in USD.

Anno 2017

La criptovaluta VERGE (XVG), al primo di gennaio del 2017, valeva 0,00002825407 con la conseguenza che la detenzione di 1.827.902.320 XVG non fa superare il limite dei € 51.645,68 per l’intero anno.

Il 23.12.2017 il VERGE (XVG) ha raggiunto il prezzo di euro 0,253970936 con plusvalenza su tale quantità di oltre € 464.200.000, fuori da qualsivoglia tassazione per mancato superamento della soglia di cui al comma 1-ter!

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Anno 2018

La criptovaluta RAIBLOCKS (XRB), ora NANO è stata lanciata nell’ottobre 2015, con attribuzione gratuita di criptovaluta fino al 2017, con la prima quotazione di USD 0,009104.

Il 01.01.2018 la quotazione massima giornaliera è stata di Euro 24,25, con apice raggiunto il giorno seguente al prezzo di euro 30,84 EUR.

Nel caso di un contribuente con 100.000 di XRB (valore di 910 dollari al 2017) ceduti il 2 gennaio 2018 sulla piattaforma Bitgrail contro bitcoin e mantenuti in tale piattaforma (forzosamente per impossibilità di ritiro dato che poi quella piattaforma è stata dichiarata fallita il 21.01.2019), la situazione sarebbe la seguente:

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Il prelievo dal wallet del giorno 2.01.2018 ha un valore normale di euro 3.084.000, soggetto a  tassazione poiché il successivo possesso dei 250 bitcoin fa superare il limite dei 51.645,69 euro.

La plusvalenza genera quindi un debito di imposta di euro € 978.120,00, senza che il contribuente abbia la disponibilità neanche dei bitcoin né di qualsivoglia controvalore dato che ha potuto insinuarsi al valore della data del fallimento, per un importo inferiore!

Obiettivamente questi due casi che sono ben lungi dall’essere di scuola, mostrano la assoluta illogicità dell’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate.

Ma a ben vedere, neanche la Risoluzione 72/E del 2016, lo dice espressamente: “Per quanto riguarda la tassazione ai fini delle imposte sul reddito dei clienti della Società, persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, si ricorda che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa.”

Peraltro, neanche l’Agenzia delle Entrate crede all’assimilazione alle valute estere, dato che a fini del monitoraggio tributario (quadro RW) le valute virtuali sono equiparate ad “altre attività finanziarie estere”, tale per cui nessuna norma sulle valute estere si applica in tal caso, obbligando a dichiarare anche quelle possedute per il tramite di operatori italiani!

Fine della storia triste.

Twitter @s_capaccioli

 

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