Cina, quante altre Evergrande potranno rovinare i piani di Xi Jinping?

scritto da il 01 Novembre 2021

Post di Paolo Lenzi, finanza strutturata ad Intesa Sanpaolo – 

Nelle ultime settimane la stampa economica si è soffermata più volte ad analizzare le vicissitudini della società cinese Evergrande. Con oltre 300 miliardi di dollari di passivi verso diversi stakeholders (oltre 100 miliardi sono prestiti il cui 42% è a breve scadenza), il mercato ha iniziato a fiutare una brutta aria e aleggia il timore che il crack finanziario dell’azienda possa propagarsi e provocare un terremoto per certi versi paragonabile a quello generato nel 2008 dal default di Lehman Brothers (il confronto con la crisi del 2008 mi sembra tuttavia azzardato e fuori luogo).

In un contesto nel quale Evergrande ha sospeso diversi progetti di sviluppo immobiliare perché incapace di pagare i fornitori, il governo e la banca centrale cinese hanno iniziato a seguire da vicino la vicenda mostrando di volerla accompagnare nel percorso di ristrutturazione/fallimento cercando di salvaguardare il più possibile gli interessi: i) di tutti quei cittadini che hanno già comprato sulla carta gli immobili da Evergrande; ii) dei fornitori che hanno bisogno di riscuotere le prestazioni fornite; iii) degli investitori che han dato negli anni le risorse finanziarie per supportare la crescita.

La vera preoccupazione delle autorità cinese è che non spuntino in breve tempo, a macchia di leopardo, tante altre Evergrande che minino internamente e esternamente la fiducia nel sistema.

(Reuters)

(Reuters)

Tutto deve rimanere ordinato nel breve periodo. Almeno fino all’anno prossimo.
Per tutta una serie di ragioni politiche e sociali:

1. Nell’autunno del 2022 si terranno le elezioni per il congresso del Partito Comunista Cinese. Benché al momento la riconferma di Xi Jinping appaia scontata, le autorità vogliono in qualsiasi modo escludere: i) di arrivare alle elezioni con una parte di popolo infuriata per una eventuale crisi finanziaria; ii) che a qualcuno pigli il “matto” e che metta in discussione l’autorità del Partito, del Governo e del sistema cinese (cfr. quel che è successo a Jack Ma). Stabilità e ordine interno sono due capisaldi e pilastri della crescita della Cina. Proteste o addirittura manifestazioni sarebbero malviste e manderebbero un segnale di debolezza all’esterno. Inconcepibile per le autorità cinesi.

2. La Cina, appoggiato dalla Russia di Putin, è impegnata politicamente e militarmente a riprendere il controllo di Taiwan. Possibilmente con le buone, ma sono già state messe in conto le cattive (anche perché Taiwan si sente fortemente indipendente). Già da un po’ di tempo – nella quasi totale indifferenza della stampa europea – da un lato i cinesi stanno sorvolando i cieli di Taiwan, dall’altro gli americani sono a terra ad addestrare le truppe locali via mare e terra. Qualcosa succederà. E allora dal punto di vista cinese meglio evitare problematiche economiche, che impegnano mente e risorse e non si sa mai come vanno a finire queste cose.

Allarme nei cieli di Taiwan

Allarme nei cieli di Taiwan

3. Negli scorsi mesi XI Jinping ha annunciato il Common Prosperity Program, una sorta di piano programmatico al fine di equidistribuire la ricchezza tra la popolazione ed evitare che si rafforzino gli eccessi del capitalismo che si sono sviluppati negli ultimi decenni nei Paesi più avanzati (indebolimento del ceto medio, scollamento sociale e ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri). In pratica la Cina vuole fare quello che il mondo occidentale e in particolare gli Stati Uniti stanno timidamente provando a fare: porre un limite al potere smisurato delle tech companies (Facebook, Google, Apple, Amazon, Tencent, Alibaba, etc etc). Quello che sta facendo la Cina è stato ribattezzato “crackdown”, repressione, e comporta tutta una serie di leggi, controlli e divieti che direttamente o indirettamente tendono a rallentare la corsa di questi giganti. Con la scusa e giustificazione di un benessere sociale ed economico più diffuso, la Cina vuole guidare e non subire l’attività di questi colossi. Ad esempio, la normativa che ha introdotto il limite di ore da spendere davanti ai videogiochi online da parte dei minori di 18 anni in Cina (massimo tre ore a settimana) va proprio in questa direzione. Una crisi finanziaria all’alba di questo nuovo “piano” sarebbe un passo falso e ne pagherebbe le conseguenze proprio la classe media che le autorità di Pechino dichiarano di volere tutelare.

Tutte queste tematiche di breve termine si inseriscono in un contesto nel quale nel giro di 20 anni la Cina si troverà ad affrontare il mega tema della “ageing population”. La politica del “figlio unico”, introdotta una quarantina di anni fa e dismessa solo nel 2015, ha contenuto le nascite e evitato disordini sociali quando ancora la Cina era una nazione povera, ma provocherà una grandissima serie di problemi, prima di tutto previdenziali, nel prossimo futuro.

Ecco, mettendo insieme i vari punti vien da pensare che la crescita sfrenata della Cina a ritmi vertiginosi da Paese emergente non sarà più così scontata. Crescite annuali di 4-5 punti percentuali superiori a quelli di Stati Uniti e Paesi sviluppati non saranno più fisiologiche nel medio periodo.

Certamente la Cina ha ancora un enorme potenziale, oramai compete con l’America ed è all’avanguardia su qualsiasi settore e forse prevarrà, ma il Paese si sta avviando ad affrontare alcune delle problematiche ben note alle economie mature. E questo percorso porta con sé tutta una serie di incognite.

Il sistema politico estremamente stabile – per quanto autoritario – rende più veloce e immediata l’elaborazione e applicazione di nuove regole che indirizzano la società e che incanalano l’economia verso la direzione che si vuole prendere, ma senza dubbio lo sguardo e l’attenzione di chi cerca un Paese con livelli di crescita promettenti e con la fame di “voler contare” nel mondo, deve spostarsi poco più sotto nella cartina.

A sud dell’Himalaya.

In India.

Ma questa è un’altra storia.