Violenza (economica) sulle donne: l’educazione come via d’uscita

scritto da il 07 Dicembre 2021

Post di Carlotta Allegra Casati, assistente amministrativa presso il JRC, Centro comune di ricerca della Commissione Europea. Negli ultimi due anni, ha fatto parte del team Pari Opportunità di Yezers –

Il 25 novembre si è celebrata la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite. In che cosa consiste la violenza sulle donne? Solitamente si fa riferimento a quella fisica, la quale troppo spesso ha gli esiti tragici che ci riportano le cronache. Ma il fenomeno è più ampio e sfaccettato. Secondo uno studio Istat, 15.837 donne si sono rivolte a un centro antiviolenza nel 2020, iniziando un percorso per poter uscire da una situazione in cui subivano violenze di vario tipo, principalmente psicologica (89,3%), fisica (66,9%), minacce (49,0%), violenza sessuale (21,7%, di cui stupro 9,0%). In alcuni casi, le donne risultavano vittime di molteplici abusi: il 16,3% ne ha subito uno, il 10,5% due, il 20,1% tre, il 26,3% quattro, il 26,8% cinque o più.

Lo studio però riporta anche un altro tipo di violenza, quella economica (37,8%) di cui poco si parla. La violenza economica racchiude una serie di atteggiamenti di controllo e monitoraggio nei confronti di una persona, limitandone la libertà sotto la costante minaccia di vedersi negate le risorse finanziarie, la possibilità di avere un lavoro, un’entrata finanziaria personale e di poterne usufruire secondo le proprie volontà. Di conseguenza si instaura un rapporto di dipendenza nociva che costringe le vittime a non poter interrompere questo tipo di relazione non avendo gli strumenti indispensabili (denaro, indipendenza e forza psicologica) per farlo ed essere autonome. E sono principalmente le donne a subire tale tipo di violenza. Come mai?

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Disoccupazione femminile e le sue sfaccettature
Rispetto ai livelli pre-pandemia Covid-19, negli ultimi mesi in Italia è aumentato il tasso d’occupazione, in particolare quello femminile. Si registra un aumento di 0,9 punti per gli uomini e di 1,1 per le donne; la disoccupazione cala di 1,1 punti per gli uomini e di 0,7 punti per le donne; mentre il tasso di inattività scende di 0,2 punti per gli uomini e di 0,8 punti per le donne (fonte: Istat). Tuttavia, è ancora presente un divario di genere che si fatica a colmare, vedendo così il nostro paese ultimo a livello europeo nella classifica EIGE (European Institute for Gender Equality): su una scala di 100 punti, l’Italia ne ottiene 63,7 contro gli 83,1 della Svezia, che si colloca al primo posto.

Questa situazione espone maggiormente le donne ai rischi di violenza economica: non lavorando non si guadagna, e dunque non si ha una propria indipendenza. Ma quali sono le principali cause di tale disoccupazione? Possiamo citare tra le prime il carico della cura familiare che grava principalmente sulle donne: la nascita di uno o più figli spesso rappresenta un ostacolo per la carriera femminile, ma le donne sono costrette in molti casi a lasciare il lavoro per prendersi cura anche di altri componenti della famiglia. Inoltre, le donne sono per la maggioranza impegnate in settori meno redditizi e più colpiti dalla pandemia, spesso con contratti part-time proprio per gestire il carico lavoro-famiglia. Altra causa è la poca fiducia da parte delle stesse donne di vedersi in posizioni di responsabilità, e quindi di maggiore soddisfazione economica, dovuta anche alla mancanza di un’adeguata formazione (ad esempio, ancora poche donne scelgono un percorso formativo in ambito STEM, ossia Science, Technology, Engineering and Mathematics), che a sua volta è la conseguenza di un problema socio-culturale (il ruolo stereotipato della donna relegato all’ambito familiare che mina fin dal principio la possibilità di crescita in altri settori lavorativi, visione spesso condivisa da entrambi i sessi). Tutto ciò innesca un meccanismo in cui la donna, messa in secondo piano, non vede via d’uscita se non affidarsi al proprio partner in termini economici, rinunciando di fatto alla sua indipendenza.

Donne e il rapporto con i soldi
Le donne hanno spesso un rapporto difficile con i soldi (basti pensare al complicato accesso al capitale quando si parla di investimenti, al problema del gender pay gap, al fattore culturale e allo stereotipo di genere), allontanandosi sempre di più dalla gestione finanziaria. E questo aggrava la violenza, non solo economica, cui sono esposte le donne. Una ricerca condotta da Episteme su un campione di 752 donne e 251 uomini con l’obiettivo di mappare sul territorio italiano il rapporto tra popolazione femminile e denaro, sottolinea e conferma il divario di genere per quanto riguarda la situazione economica e la gestione dei risparmi. Ad esempio, il 55,2% degli uomini del campione dichiara di essere la persona che in famiglia si prende cura della gestione degli aspetti finanziari, mentre questo dato scende al 37,6% nel campione femminile. Una forte differenza si verifica anche nel possesso di un reddito personale, che si riscontra nell’85% dei casi per gli uomini contro il 63% delle donne.

L’importo stesso del reddito personale risulta più alto per gli uomini. In particolare, il 62,7% degli uomini del campione dichiara di percepire un reddito più alto del partner, cosa che avviene per il 21,1% delle donne del campione. Altro dato significativo riguarda il possesso di un conto corrente personale: il 91,3% degli uomini ne possiede uno, mentre per le donne si scende al 79%.

Naturalmente questi dati sono strettamente legati alla maggiore disoccupazione femminile: non lavorando, non si ha a disposizione uno stipendio da versare su un conto corrente, o per contribuire all’economia familiare. Il report sottolinea poi che gli uomini, oltre ad avere redditi più alti, hanno un interesse e maggiore conoscenza dei temi economici, una maggiore capacità di risparmio, nonché una maggiore propensione all’investimento. Questo si verifica meno nelle donne, sebbene il loro atteggiamento riguardo alla gestione del denaro venga molto influenzato da aspetti anagrafici e socio-culturali. Ad esempio, il target delle giovani laureate mostra avere maggiore propensione al risparmio e all’investimento, maggiore confidenza con i temi economici (conoscenza e aggiornamento) e maggiore interesse alla formazione in ambito economico.

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Consapevolezza e sostegno alla lotta contro la violenza
Nei giorni scorsi la Ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti, ha presentato il Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023. Il Piano si fonda su quattro pilastri: prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, punizione dei colpevoli e assistenza e promozione. Un punto riguarda proprio il contrasto alla violenza economica attraverso l’educazione finanziaria delle donne con tirocini retribuiti e norme per favorire l’inserimento lavorativo per assicurare un maggior empowerment femminile. Per quanto riguarda i dati sulla violenza, essenziali per conoscere il fenomeno, è prevista la creazione di un sistema informativo integrato per rafforzare la collaborazione con l’Istat, contribuendo alla condivisione dei dati. Altra priorità del Piano è l’aumento del livello di consapevolezza nella pubblica opinione nonché nel sistema educativo e formativo sulle fondamenta strutturali, sulle cause e sulle conseguenze della violenza sulle donne, promuovendo l’abolizione degli stereotipi di genere.

In questo contesto in cui le donne risultano deboli, poco informate e vulnerabili, i percorsi di educazione finanziaria risulterebbero un valido strumento tanto per prevenire quanto per combattere la violenza economica. È fondamentale avere la consapevolezza dei propri diritti, delle proprie capacità e di quanto sia indispensabile avere una propria autonomia: ecco perché occorre agire non solo a livello economico, ma anche formativo per aumentare le competenze. Questo obiettivo in un certo senso si inserisce anche nella Strategia nazionale per la parità di genere 2021/2026 presentata dalla stessa Ministra nei mesi scorsi, che individua tra le aree di interesse (lavoro, reddito, tempo inteso come spartizione dei carichi familiari e potere) l’area delle competenze, in cui si pone tra gli obiettivi quello di incrementare la percentuale di studentesse che si iscrivono ai corsi di laurea in discipline STEM.

Queste competenze possono rappresentare un alleato efficace nel prevenire la violenza economica, avvicinando le donne a tematiche da sempre viste come prettamente maschili. La prevenzione, lo sviluppo di competenze economico-finanziarie di base e l’abbattimento degli stereotipi di genere sono fondamentali per contrastare eventuali abusi economici. Sono uno strumento necessario alle donne per diventare più consapevoli delle loro capacità e per far fronte a potenziali situazioni di violenza.

Twitter @CasatiCarlotta