Rinnovabili: sono l’energia del futuro o la speculazione del secolo?

scritto da il 19 Gennaio 2022

L’autore del post è Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito economico ed energetico. Founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG). Autore di “La decarbonizzazione felice” 

Dalle indiscrezioni comparse sui media, il governo si appresta a varare un nuovo pacchetto di normative destinato a far calare il sipario su questa annosa polemica. Secondo i lanci dell’agenzia ANSA, infatti, l’esecutivo si appresterebbe a tassare gli extra-profitti delle fonti rinnovabili.

Che vuol dire?

Facciamo un esempio pratico.

Attualmente, a causa del prezzo del gas, le quotazioni dell’elettricità all’ingrosso in Europa oscillano mediamente tra 150 e 250 euro/MWh.

schermata-2022-01-19-alle-09-49-29

Fonte: EnergyLive

Ma gli impianti eolici e fotovoltaici non consumano gas per produrre elettricità quindi i loro costi di produzione rimangono sempre 60/100 euro/MWh. Eppure, vendono comunque al prezzo di mercato: 180/220 euro/MWh. E perciò, negli ultimi mesi, i gestori realizzano profitti stellari.

Come ho provato a spiegare nell’ultima analisi pubblicata su Econopoly, questo è possibile per via del meccanismo con cui si forma il prezzo dell’elettricità sul mercato europeo.

In poche parole, il prezzo dell’elettricità lo decide la fonte energetica di cui la rete non può fare a meno in quel momento. Dato che le fonti rinnovabili sono per loro natura intermittenti e non programmabili – vanno e vengono a loro piacimento, insomma – tutte le reti europee sono concepite per poter funzionare anche senza rinnovabili. Di conseguenza l’energia rinnovabile non è mai quella di cui la rete non può fare a meno e quindi non decide (quasi) mai il prezzo dell’elettricità.

In Spagna, per esempio, il gas decide il prezzo dell’elettricità all’ingrosso per 6.800 ore l’anno

(clicca sull'immagine per ingrandire)

(clicca sull’immagine per ingrandire)

Fonte: NEON

Proprio per questa ragione, la “tassa sugli extra-profitti” rischia di diventare il proverbiale granello di sabbia negli ingranaggi della transizione ecologica.

Vediamo il caso spagnolo, che è esemplare.

A gennaio dell’anno scorso vengono messi a gara in Spagna 3 GW di potenza rinnovabile, 2 di solare e 1 di eolico.

Nelle aste rinnovabili spagnole chi si aggiudica i diritti per costruire gli impianti deve accettare un regime di remunerazione a tariffa fissa per 7/12 anni prima di poter vendere ai prezzi di mercato (teniamo bene a mente che un impianto fotovoltaico funziona per 25/30 anni e una pala eolica può arrivare anche a 40).

La tariffa fissa viene determinata impianto per impianto con un’asta al ribasso: gli operatori presentano offerte in busta chiusa che rappresentano il prezzo minimo a cui sono disposti a vendere l’elettricità per i primi 7/12 anni. Alla chiusura dell’asta il gestore inizia ad accettare le offerte partendo dalla più bassa a salire e si ferma quando raggiunge il totale della potenza messa a gara.

L’asta di gennaio è un successo clamoroso e finisce sulle prime pagine di tutti i quotidiani internazionali: i 2 GW di potenza fotovoltaica sono assegnati a un prezzo medio di 24 euro per MWh (tra un terzo e la metà del prezzo standard dell’elettricità all’ingrosso, quasi un decimo del prezzo attuale), l’offerta più bassa sfiora addirittura 14 euro per MWh.

A giugno, però, il governo spagnolo annuncia un provvedimento analogo a quello allo studio del governo italiano.

Madrid dichiara di voler tassare gli extra-profitti delle centrali nucleari, di quelle idroelettriche e solo del 5% degli impianti eolici (quelli realizzati prima del 2006) quindi, almeno in teoria, la misura ha un impatto irrisorio sull’industria delle rinnovabili.

Eppure, Big Renewables alza le barricate sui media e in Parlamento.

Ufficialmente, le proteste riguardano i PPA, Power Purchase Agreements. I PPA sono contratti a medio/lungo termine in cui il venditore e l’acquirente si mettono d’accordo su un prezzo fisso, che quindi è slegato dalle fluttuazioni delle quotazioni di mercato dell’elettricità.

Oggettivamente, una rimostranza fondata.

Madrid corregge il tiro e i PPA vengono esclusi dalla tassazione degli extra-profitti.

Nonostante le richieste della lobby delle rinnovabili siano state accolte, quando a ottobre va in scena un nuovo round delle aste nessuno dei grandi operatori solari ed eolici presenta offerte. Paradossalmente, il gestore di rete riesce a piazzare tutta la potenza messa a gara proprio grazie agli operatori, piccoli e medi, specializzati in PPA.

Evidentemente la misura sugli extra-profitti, pur non intaccando la redditività degli impianti eolici e fotovoltaici, è stata percepita come un pericoloso precedente.

Ma se a gennaio dello stesso anno, quando il prezzo dell’elettricità all’ingrosso in Spagna era 60 euro/MWh, i gestori dichiaravano di riuscire a produrre energia fotovoltaica a partire da 14 euro/MWh, che cosa cambia se, a fronte di prezzi superiori ai 200 euro/MWh, fossero chiamati a rinunciare a 10 o 20 euro/MWh di margine?

La quota di profitti prelevata nello schema di tassazione spagnolo è tutt’altro che punitiva

schermata-2022-01-19-alle-10-14-50

Fonte: Watson Farley & Williams

A questo punto viene il dubbio che le offerte di gennaio fossero in perdita e che il vero obbiettivo degli operatori fossero proprio i corposi extra-profitti che li aspettano alla fine del periodo di incentivazione, quando potranno finalmente vendere ai prezzi di mercato (che a quel punto saranno stabilmente oltre 150 euro per MWh, a causa della transizione energetica). Tra l’altro, il mercato spagnolo è tra i meno interconnessi d’Europa, quindi è particolarmente esposto alla volatilità delle quotazioni dell’elettricità.

Più in generale, sorge il sospetto che, per qualcuno almeno, l’obiettivo della transizione ecologica fosse proprio la crisi energetica che stiamo vivendo. E dietro a un disegno del genere ci possono essere interessi economici tanto quanto interessi strategici o geopolitici.

Da una parte, infatti, la politica climatica comunitaria stabilisce per legge che solare ed eolico dovranno diventare le fonti (quantomeno) prevalenti del mix energetico europeo, azzerando la concorrenza.

Dall’altra, in ottemperanza ai trattati internazionali siglati negli ultimi anni su iniziativa dell’Unione Europea, i governi e/o i tribunali di mezzo mondo stanno limitando le attività estrattive dell’industria petrolifera, facendo salire il prezzo del gas.

Fino a che non compariranno sul mercato batterie di nuova generazione, però, il gas continuerà a decidere il prezzo dell’elettricità, perché è la fonte energetica più elastica e quindi quella di cui la rete non può quasi mai fare a meno. E il prezzo fissato dal gas è lo stesso prezzo con cui poi vengono remunerate anche le rinnovabili, che però hanno costi di produzione fissi.

A pensar male sembra una manovra a tenaglia a spese di famiglie e imprese o, più in generale, della competitività e della stabilità sociopolitica delle economie avanzate.

Anche perché, dopo cinquant’anni di sviluppo e migliaia di miliardi di incentivi, le rinnovabili ancora non funzionano.

Tutte quelle risorse, infatti, dovevano servire a far diventare pale e pannelli così competitivi da mettere fuori gioco l’energia fossile in maniera naturale.

Ebbene, non solo siamo ancora lontani da questo obiettivo ma, anzi, ci abbiamo messo proprio una pietra sopra: ogni volta che sentiamo parlare di carbon tax dobbiamo avere la lucidità di capire che ci si riferisce a uno strumento concepito appositamente per far aumentare in maniera strutturale il prezzo dell’energia fossile, così da rendere competitiva quella rinnovabile.

Tuttavia, la riflessione teorica sulla transizione ecologica continua a non voler fare i conti con le conseguenze di un drastico aumento strutturale dei costi dell’energia, perciò quando il ministro parla di “bagno di sangue” si solleva un coro di disapprovazione.

Oltretutto, il disegno “rinnovabilista” si è rivelato di una sconcertante ingenuità perché non ha mai tenuto in conto che, per un Paese ricco di carbone ma povero di industrie tecnologiche, l’energia rinnovabile non potrà mai essere più competitiva di quella fossile. Un binomio che accomuna tre quarti dell’umanità.

Non solo. Nel 2021, per la prima volta da 10 anni, il prezzo dei pannelli è aumentato sensibilmente. E IHS Markit avverte che aumenterà anche nel 2022 e nel 2023, a causa del costo delle materie prime (chi legge Econopoly era a conoscenza di questa dinamica già da giugno dell’anno scorso).

schermata-2022-01-19-alle-09-49-55

Contemporaneamente, dalla BCE avvisano che l’aumento delle quotazioni dei materiali alla base della transizione verde (la cosiddetta greenflation) non sarà transitorio. Perciò non si capisce per quale ragione logica dovremmo sperare che, a fronte di una domanda di pale e pannelli in crescita esponenziale, dal 2024 i costi riprendano a diminuire invece che aumentare ancora.

I primi ad accorgersi di questa dinamica sono gli operatori di settore, nonostante continuino ad alimentare una retorica miracolistica su queste tecnologie.

Secondo le previsioni degli analisti più quotati, infatti, il 2021 doveva essere un anno di record. E invece, per la prima volta da trent’anni, la capacità installata rinnovabile è stata inferiore all’anno precedente.

Fonte: IEA

Fonte: IEA

Ma magari questi sono cattivi pensieri e l’energia fotovoltaica costa realmente 14 euro al MWh. In tal caso, il settore non ha nulla da temere dall’approvazione della “tassa sugli extra-profitti”. Anche perché, parallelamente, il governo ha varato misure che snelliscono l’iter burocratico per l’approvazione dei progetti eolici e fotovoltaici.

Siamo arrivati allo showdown, come si direbbe nel poker. Si scoprono le carte e si vede chi stava bluffando.

Se le rinnovabili sono quello che ci hanno raccontato per anni, decisioni di questo genere sono del tutto ininfluenti sulla traiettoria di sviluppo del settore.

Se, invece, sono la speculazione meglio congegnata dell’ultimo secolo, piccole correzioni come queste sono in grado di far naufragare rovinosamente la transizione verso pale e pannelli.

Mettiamoci comodi.

Nel frattempo, il 2021 si è chiuso con una serie di anomalie termiche da far tremare le vene ai polsi: a Oklahoma City, una città nel cuore degli USA dove in inverno di norma la minima scende abbondantemente sotto -10, a Natale c’erano 25 gradi. E il 2022 si è aperto all’insegna dei record: 51° in Australia, 45° in Uruguay mentre il caffè al bar passa a un euro e mezzo perché le piantagioni brasiliane sono state devastate dalla siccità (in termini assoluti chiaramente è poco ma in termini relativi è +50%).

schermata-2022-01-19-alle-09-50-15

Fonte: Tropical Tidbits

Forse vale la pena chiedersi se non sia il momento di smettere di giocare, illudendosi di poter mondare l’economia mondiale dal peccato delle emissioni, concentrando piuttosto gli sforzi nello sviluppo di un’industria climatica che metta a disposizione dell’umanità strumenti diretti per intervenire sul clima. Prima che la situazione ci sfugga definitivamente di mano.

La tecnologia non manca. Manca la capacità di spiegare all’opinione pubblica perché oramai è necessario un cambio di passo nella strategia di contrasto al cambiamento climatico.

Twitter @enricomariutti