Google vende il Pixel 6 con il geoblocking. Ma nessuno alza il ditino

scritto da il 04 Febbraio 2022

E così Google si è accorta che esiste l’Italia. E la Spagna, certo. Big G attraversa un buon momento. I conti vanno a gonfie vele, i ricavi della pubblicità che i giornali vedono con il contagocce, affluiscono copiosi nella casse del colosso di Mountain View. Il titolo viaggia verso i 3mila dollari e la capitalizzazione ha già toccato i 2 trilioni di dollari, prima di arretrare un po’. Alphabet, la parent company di Google, ha anche annunciato – in scia a Tesla Apple – uno stock split, un frazionamento azionario, 20 a 1, che darà agli azionisti 19 azioni per ogni azione in loro possesso, portando il prezzo a circa 138 dollari in base alla chiusura di martedì. La divisione delle azioni è un metodo utilizzato dalle aziende per acquisire investitori rendendole più convenienti. Non tutti gli analisti credono che questa operazione farà miracoli, visti i tempi sui mercati finanziari, ma tant’è.

Cosa c’entrano l’Italia e la Spagna? Questa settimana il Google Store ha reso disponibili in parte del Sud Europa i nuovi smartphone Pixel 6 e 6 Pro, che pare abbiano stabilito un record di vendite nel quarto trimestre (parola del ceo Sundar Pichai nella lettera agli azionisti di dicembre e nella call sui conti martedì scorso). Attenzione, pochi pezzi, imperversa ancora la penuria dei microchip che sta affliggendo anche l’Automotive. Il Google Store italiano avvisa: disponibilità limitata (anzi no, il pro è già esaurito!, ndr), ulteriori dispositivi saranno disponibili da maggio. Anche i colori sono limitati: uno solo, nero tempesta. Niente sole, corallo, schiuma marina. Nerogrigio. Punto. Accontentatevi.

Per la verità è un debutto a scoppio ritardato. I due Pixel 6 – rimandiamo le disquisizioni tecniche che dividono fan e detrattori ad altri articoli – sono sul mercato da fine ottobre. In Europa soltanto in Germania e in Francia. In India, per dire, non arriveranno mai (infatti c’è un blog tech, Piunikaweb, che sta togliendo la pelle da mesi a Google per i bug, i difetti e gli aggiornamenti).

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Voi direte, che male c’è se un fan sfegatato del Pixel vuole ignorare ogni avvertimento e provare di persona il nuovo smartphone con il sistema operativo di Mountain View allo stato puro, Android 12. Se vuole rischiare con il primo processore tutto suo, in stile Apple (e qui scendono in campo i supertecnici, non entro nel merito), progettato da Google (avevano sempre usato il dominatore indiscusso del settore, lo Snapdragon di Qualcomm) ma realizzato con Samsung e che pare non sia un esente da difetti (i telefoni scaldano un po’ e le batterie si caricano in fretta ma si scaricano anche piuttosto in fretta, sempre che un magico aggiornamento sistemi le cose o l’AI non studi le abitudini e riesca a correggere il problema), lo faccia liberamente. Se vuole misurarsi con il riconoscimento via impronta digitale e non del volto, sperimenti.

Il punto, però è un altro. Se vi foste azzardati ad acquistare il Pixel dagli Store tedesco e francese avreste impattato contro un muro. Residenza e carta di credito locali, soprattutto. Ho provato ad aggirare l’ostacolo utilizzando il servizio Mailboxde.com e pagando con Paypal. Sembrava fatta, ma dopo una prima email positiva, è arrivata una seconda comunicazione in cui si annullava l’ordine. Evidentemente il sistema ha smascherato ugualmente la mia carta italiana utilizzata da Paypal. I soldi sono stati trattenuti per tre giorni da Google e poi gentilmente (direbbe il sindaco di Milano) sbloccati sulla mia carta prepagata.

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Ho risolto ordinando da Fnac, la grande catena francese di informatica, libri e giochi. Non sapendo quando (perché non esisteva una data sicura) i Pixel sarebbe stati disponibili in Italia senza gli incredibili firewall di Big G. Non so perché i Pixel siano arrivati a Fnac, in effetti. O all’altra catena francese Darty (che però non spedisce in Italia). O in Italia al giovane e-commerce Phone2Go (i Pixel sono in stock a qualche decina di euro in meno del listino, fra l’altro). Di certo la catena francese non ha violato il regolamento 2018/302 dell’Unione europea, come ci ha confermato il professor Federico Casolari, professore associato di diritto comunitario & vicedirettore del dipartimento di studi legali presso l’Università di Bologna. Il regolamento, infatti, mira a evitare la “discriminazione basata sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti, anche attraverso i blocchi geografici ingiustificati (geoblocking, ndr), nell’ambito delle transazioni transfrontaliere tra un professionista e un cliente relative alla vendita di beni e alla fornitura di servizi all’interno dell’Unione”. Anche i metodi di pagamento non possono essere discriminati. Google non può decidere quale carta di credito gli piace, in questo caso a seconda della posizione geografica.

Casolari non ha dubbi: “Il regolamento è molto chiaro, questa è una discriminazione evidente. In questo caso gli Stati hanno l’obbligo di provvedere a impedire una forma di discriminazione che impedisce la libera circolazione delle merci” nel mercato interno dell’Unione. Capito? Non dovrebbe essere consentito impedire a un greco o a un olandese di acquistare un Pixel da un Google Store in Francia, Germania, Italia o Spagna. Il problema è che il regolamento al massimo parla di assistenza ai consumatori, non di sanzioni. E quindi un colosso del web può fare spallucce e imporre le sue regole su quelle dell’Unione europea.

Twitter @albe_