ESG e lotta alla corruzione nobili obiettivi, ma quali rischi per le aziende?

scritto da il 16 Febbraio 2022

Post di Francesca Rolla, partner dello studio legale Hogan Lovells in Italia e Alessandro Borrello, senior associate dello studio legale Hogan Lovells in Italia –

Il 2022 è atteso come un anno cruciale per la lotta alla corruzione, soprattutto dopo due anni in cui le attività di enforcement contro il fenomeno corruttivo, specie a livello internazionale, hanno subito un rallentamento inevitabilmente connesso alle difficoltà del contesto pandemico

Sebbene il nostro paese abbia registrato un significativo miglioramento nella classifica 2021 dell’indice di percezione della corruzione di Transparency International (attestandosi al 42esimo posto, mentre lo scorso anno era al 52esimo), l’attenzione alla lotta alla corruzione resta altissima, soprattutto ora che – con l’arrivo di circa 200 miliardi per il Recovery Plan e l’avvio degli appalti – si intensifica il rischio di attività corruttive.

L'Italia ha guadagnato posizioni nella classifica di Transparency International

L’Italia ha guadagnato posizioni nella classifica di Transparency International

Oltre che nelle aree storicamente colpite dal fenomeno della corruzione, l’attenzione è rivolta ai settori emergenti che, date le loro peculiarità, rischiano di creare spazi per innovative forme di condotte illecite. Si pensi, per esempio all’abuso criminale di mezzi di pagamento come le criptovalute, su cui si stanno concentrando le attività investigative delle autorità di enforcement in Europa e negli Stati Uniti (è del 10 febbraio 2022 la notizia dell’arresto della rapper americana Razzlekhan, che secondo la procura statunitense sarebbe coinvolta in una frode in criptovalute per un valore di 3,6 miliardi di dollari). Anche in quest’ottica deve leggersi il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze – di cui è prevista l’imminente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – che istituisce una regolamentazione per operatori che si occupano di criptovalute.

Nella stessa prospettiva, le connessioni tra la corruzione (e la lotta alla corruzione) e gli innovativi temi di ESG sono sempre più evidenti, in particolare dal punto di vista della compliance aziendale.

Le politiche e le pratiche di anticorruzione sono infatti parte sempre più integrante della sostenibilità sociale, ambientale e di governance. Tali aree, comunemente note come ESG, sono divenute imperativo (e motivo di orgoglio) per un numero crescente di imprese, nel mondo e in Italia. Si consideri il recente lancio in Borsa Italiana del MIB ESG, il primo indice che mira a indentificare i grandi emittenti italiani dotati delle migliori pratiche ESG e che conta, a oggi, circa 40 società.

Del resto, come molti osservano, la cultura della legalità (e quindi della lotta alle pratiche corruttive) è un presupposto fondamentale per lo sviluppo sostenibile, ispirato ai valori in cui può declinarsi l’ESG: rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, inclusione sociale, trasparenza e via dicendo.

La cura aziendale dei valori ESG corrisponde a una crescente attenzione politica per questi temi, come dimostra la recentissima modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione Italiana, definitivamente approvata l’8 febbraio 2022, che ha introdotto il rispetto e la tutela dell’ambiente tra i principi fondamentali della Repubblica.

Allo stesso modo, molti legislatori europei si stanno orientando verso l’implementazione di nuove regole di compliance, evidentemente ispirate alla tutela dell’ambiente e dei diritti umani.

La Francia, con un approccio che è considerato tra i più rigorosi a livello europeo, nel 2017 ha adottato la legge sul Devoir de vigilance che introduce un nuovo profilo di responsabilità civile per le grandi società che non implementano procedure tese a controllare che l’attività dei soggetti con cui esse operano (es. controllate, fornitori) sia svolta nel rispetto dei diritti umani.

Altri paesi stanno seguendo l’esempio transalpino: nel giugno 2021 il parlamento tedesco ha introdotto una legge che per la prima volta impone alle aziende specifici obblighi di due diligence e di segnalazione rispetto ai rischi di illeciti ambientali e di violazioni di diritti umani riscontrabili nella loro catena di produzione.

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E ancora: la Svizzera, la Finlandia e la Norvegia, hanno tutte recentemente fatto dei passi in avanti per introdurre analoghi obblighi di due diligence o reporting riguardanti presunte violazioni di diritti umani.

In questo contesto si inserisce il tanto atteso progetto di legge della Commissione Europea che dovrebbe introdurre obblighi di due diligence in materia di diritti umani e ambiente per le imprese europee, anche al fine di garantire l’effettiva adesione delle aziende ai principi ESG. In verità, non è ancora del tutto chiaro se il progetto di Direttiva (che, a seguito di vari ritardi, dovrebbe essere finalmente presentato nelle prossime settimane) prevederà innovativi profili di responsabilità per le imprese in caso di violazione degli obblighi della nuova legislazione (es. la responsabilità civile contemplata dal Devoir de vigilance) o se sarà piuttosto il rispetto di tali obblighi a livello di compliance aziendale a esimere l’impresa da eventuali responsabilità (al pari delle “adequate procedures” nel Bribery Act britannico o i modelli organizzativi previsti dal D. Lgs. 231/2001).

Se è vero che il mosaico di leggi che va componendosi ha il nobile obiettivo di promuovere la tutela di temi di fondamentale importanza, è altrettanto vero che esso rischia di causare rilevanti incertezze per le aziende rispetto ai loro obblighi, soprattutto se si considera il coacervo di norme e vincoli in cui le imprese già devono operare. Proprio qui entrano in gioco le strategie e i programmi di compliance anti-corruzione esistenti perché possono rappresentare un utile strumento per aiutare le imprese ad adattarsi a questa mutevole area del diritto. Un’azienda che – nel quadro delle proprie politiche anticorruzione – ha già implementato solide procedure di controllo nei confronti dei terzi e della supply chain dovrebbe infatti essere in grado di adattare prontamente i propri programmi per affrontare i rischi di violazione di principi ESG.

Così, strumenti già esistenti come i canali interni per le segnalazioni, fondamentali nella lotta alla corruzione, potrebbero essere efficacemente usati per identificare le lacune in materia di diritti umani e ambientali. Ciò vale in particolare per le imprese di medio-grandi dimensioni e per i gruppi societari, specie se si considera la recente direttiva whistleblowing (a oggi non ancora implementata dall’Italia nonostante la scadenza del dicembre 2021) e l‘interpretazione estensiva della Commissione Europea. Secondo l’istituzione di Bruxelles una società con almeno cinquanta dipendenti dovrà dotarsi di un canale interno di whistleblowing e ciò a prescindere dalla sua eventuale appartenenza a un più ampio gruppo societario che abbia già implementato un canale centralizzato per le segnalazioni.