PA, cloud e piattaforme, urge un cambiamento culturale prima che tech

scritto da il 07 Aprile 2022

Post di Massimiliano Cipolletta, ceo Gruppo Scai, presidente Fondazione Torino Wireless –

La migrazione dei dati dai server interni delle amministrazioni locali verso l’ambiente cloud costituisce una delle sfide basilari per riformare in chiave tecnologica il sistema della PA in Italia. D’altra parte il processo della migrazione cloud ha già mosso i primi passi e mostrato i primi risultati.

Per esempio, in Piemonte 400 comuni, anche i più piccoli e sprovvisti di infrastrutture abilitanti, stanno concretizzando la trasformazione digitale dei propri servizi, grazie a un cloud pubblico, completamente Open Source, messo in campo già da tempo dal CSI  (Consorzio di Enti pubblici che dal 1977 opera nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione).È stato implementato un modello efficiente basato su best practice replicabili sul territorio extra piemontese, come sottolinea Pietro Pacini, Direttore Generale del CSI Piemonte e Vicepresidente con delega al PNRR di Assinter Italia, l’associazione delle società in house ICT italiane: “Abbiamo compiuto un percorso straordinario che ha visto in questi ultimi due anni un numero sempre maggiore di Enti, anche non piemontesi, scegliere il Consorzio come partner tecnologico”.

foto da Unsplash

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Siamo di fronte a un modello di partenariato pubblico e privato, che rappresenta uno snodo operativo virtuoso non solo per la PA, ma anche per le imprese e i cittadini, nell’ottica di colmare il gap tra i grandi centri metropolitani e i piccoli comuni, tra Nord e Sud.

Con queste infrastrutture Ict è possibile avviare da subito il processo di trasformazione delle realtà della Pubblica Amministrazione Locale utilizzando i fondi del PNRR.

Secondo i dati del CSI, l’84% dei Comuni italiani cui è indirizzata l’iniziativa dei voucher (il programma messo in campo dal MITD di supporto e incentivo per migrare sistemi, dati e applicazioni delle PA locali verso servizi cloud qualificati), non ha un settore IT interno in grado di guidare una trasformazione digitale con progettualità dedicate, soprattutto se si tratta di contesti dove la popolazione è inferiore a 10000 abitanti.

Una migrazione al cloud non comporta, infatti, solo un passaggio tecnologico ma anche un cambio organizzativo perché si evolvono le logiche di lavoro e, soprattutto, l’approccio culturale richiesto.

Anche il tema della formazione del personale interno è parte fondamentale del processo di trasformazione: la reingegnerizzazione dei processi non può basarsi solo su competenze tecniche ma deve anche integrare sensibilità con un approccio olistico.

Risulta necessario, inoltre, “fare rete” basandoci su un modello di governance in cui tutti i soggetti (pubblici e privati) contribuiscano alla trasformazione digitale. Un tale processo di trasformazione trova una sua collocazione ottimale nel modello consortile per il mercato locale, nazionale e internazionale, con l’obiettivo di realizzare progetti strategici, in coerenza con il PNRR.

Tanto è vero che i nuovi consorzi, ovvero la Città Metropolitana di Milano, il Comune di Milano, l’ente nazionale INDIRE, l’Autorità dei Trasporti e la Città Metropolitana di Roma Capitale, costituiscono esempi di inclusione digitale avanzata.

Su questo tema, ricordo che l’Associazione delle Società Pubbliche per l’Innovazione Tecnologica che operano a livello Centrale, Regionale e Locale (Assinter) supporta oltre 4.000 Amministrazioni Pubbliche, con 8.300 risorse impiegate e un fatturato complessivo di oltre un miliardo di euro. I servizi infrastrutturali erogati da Assinter si suddividono in 33% rete, 30% Data Center, 10% cloud, 10% end user device, 7% sicurezza, 10% altro.

foto da Unsplash

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A fronte di tali trasformazioni digitali in atto, con la peculiarità di essere disruptive, sono dell’idea che vada individuata una via italiana al cloud per mettere in sicurezza i dati sensibili di cittadini e imprese, e garantire l’indipendenza del nostro Paese rispetto alle risorse di calcolo e storage.

È indispensabile una scelta PaaS (Platform-as-a-Service), vale a dire un servizio di cloud computing in cui l’hardware e la piattaforma software applicativa vengono forniti da terze parti.  Non avendo effettuato, fino ad oggi, investimenti in grandi sistemi (‘sunk cost fallacy‘, spese non redditizie), le PA possono ricorrere agilmente a società IT capaci di fornire, chiavi in mano, piattaforme specialistiche pronte e complete in-cloud in modo che qualsiasi funzione IT possa essere trasformata in un servizio per il consumo aziendale. Il servizio viene pagato secondo un modello di consumo flessibile piuttosto che come acquisto anticipato o licenza.

Una piattaforma SaaS consente di risparmiare alle aziende ben oltre il 70% rispetto al caso on-premise.

Crediamo, a fronte di quanto delineato, nella necessità di valorizzare le risorse della PA attraverso formazione e reskilling, introducendo figure di alto profilo tecnico e spingendo ancora di più su smart working e smart living. In cloud le nuove esigenze aumentano ogni giorno ancor più con l’ascesa del lavoro flessibile e la digitalizzazione delle PA.

 

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