Asset allocation, nella sua versione classica è morta

scritto da il 14 Giugno 2022

Ormai lo ripeto da tempo, l’asset allocation classica è morta, o se non è morta è in fin di vita. Lo so, è un’affermazione forte, quindi cerco di spiegarmi meglio.
Innanzitutto lasciami definire che cosa intendo per asset allocation classica.

Sappiamo tutti che l’asset allocation è il processo con il quale si decide in che modo distribuire le risorse fra diversi i possibili investimenti.

2È un po’ come dividere la torta e decidere quale fetta dare alle azioni, quale alle obbligazioni, alle materie prime e quanta parte invece tenere liquida. In pratica l’asset allocation decide la composizione del nostro portafoglio finanziario e soprattutto decide le sorti del nostro investimento, sappiamo infatti che arriva a definire più dell’ottanta per cento del nostro rendimento finale.

Dal 1990 in poi, cioè da quando Markowitz ha vinto il premio nobel all’economia, per proteggersi dalla volatilità la teoria classica ci ha insegnato che diversificando opportunamente il portafoglio sia possibile minimizzare il rischio a parità di rendimento.

La storia degli ultimi crolli di mercato ha confermato, quello che già sapevamo, nei momenti in cui ci servirebbe maggiormente, viene a mancare.

A dire il vero, nel lungo periodo, una diversificazione classica è ancora in grado di dare dei vantaggi, purtroppo però, all’atto pratico, nessuno è in grado di sopportare un calo del 40% del proprio patrimonio pensando che comunque nel lungo periodo le cose andranno meglio.

3Come ci spiega la finanza comportamentale attraverso il concetto di “avversione alle perdite”, durante i periodi di crollo si tende ad essere meno razionali e a commettere una serie di errori che compromettono le performance di lungo periodo. La stessa finanza comportamentale, tramite uno studio di Kahneman, arriva a quantificare il dolore derivante dalle perdite, e la pone pari a 2,6 volte il piacere che arriva dal guadagno.

Il problema è che le tradizionali strategie di diversificazione statica tendono a funzionare peggio quando i mercati aumentano la turbolenza, quindi ci aiutano meno proprio nel momento in cui ne avremmo più bisogno.

In pratica affidarsi all’asset allocation classica è un po’ come avere un ombrello molto bello, che però non si apre proprio quando arriva un acquazzone.

Chi si è trovato in una situazione simile lo sa, non è affatto divertente.

4L’asset allocation classica quando sul mercato c’è il sole può essere ingombrante, funziona bene quando abbiamo un po’ di pioggia, magari leggera, ma diventa poco utile quando piove molto forte.

Per proteggerci dalla pioggia, o meglio dagli acquazzoni, sui mercati dovremmo adottare la stessa soluzione trovata, in un giorno di pioggia del 1965, da Leon Claude Duhamel che secondo la leggenda inventò il k-way seduto al tavolino del Café de la Paix.

Duhamel notò che gli ombrelli non erano la soluzione migliore per proteggersi dalla pioggia: erano troppo grandi o troppo piccoli, a volte si bloccavano o addirittura volavano via nel momento del bisogno, proprio come la diversificazione classica.

Il K-way invece era una giacca rivoluzionaria, comoda da portare quando c’è il sole e perfettamente impermeabile quando piove e soprattutto a prova di tempesta.

Ora la domanda è: esiste una asset allocation che sia come il k-way, ovvero che non ci faccia perdere rendimento quando sul mercato c’è il sole e ci protegga invece quando sui mercati si scatena un violento acquazzone come quello che stiamo vedendo in questi giorni?

5Ovviamente la soluzione ideale sui mercati non esiste, però ce ne sono alcune che ci si avvicinano molto.

Mi riferisco all’asset allocation dinamica e adattiva.

Due nuove frontiere di allocazione del patrimonio che stanno dimostrando di essere più resilienti nelle fasi di ribasso rimanendo performanti nelle fasi di rialzo.

Ti parlerò di questi due nuovi approcci più avanti, per oggi accontentiamoci di seppellire la teoria di asset allocation classica, poi presto ci dedicheremo alle possibili alternative.

Stay tuned.

Articolo a cura di Giorgio Carlino co-fondatore di Mas4-Institute for Personal Finance