Turismo e hotel, si investe di nuovo ma è ancora troppo poco. Ecco perché

scritto da il 13 Luglio 2022

Pubblichiamo un post di Raffaello Zanini, fondatore del portale Planethotel.net. Laureato in urbanistica, assiste gli investitori del settore turistico alberghiero con studi di fattibilità, consulenza ai progettisti, ricerca di soluzioni finanziarie –

Sono ripresi gli investimenti nel turismo.

A novembre 2011 organizzai un convegno su “Urban Design & Hotel Industry”. Dopo dieci anni i temi trattati in quel convegno sono ancora attuali. Allora Emilio Valdameri ed io fummo preveggenti a sollevare il tema del rinnovo della città turistica.

Essere preveggenti, con i politici che guardano alle elezioni della settimana prossima o del mese prossimo, è esercizio destinato al fallimento e chi lo fa non riceverà allori, semmai verrà bruciato come Giovanna D’Arco.

Veniamo ad oggi.

Si è tenuto l’Hospitality Forum di Scenari Immobiliari sul tema degli investimenti immobiliari in hotel, è stata coinvolta una ventina di protagonisti che hanno raccontato la loro “visione” su quanto è accaduto e sta accadendo in Italia, con intervento introduttivo del ministro Garavaglia.

Quel convegno è stata la conferma di quanto scrivevo qui sei mesi fa. In estrema sintesi:

a) gli investimenti maggiori si sono concentrati negli hotel 5 stelle e cinque stelle lusso delle prime 4 grandi città (Milano, Roma, Firenze, Venezia)

b) grande interesse hanno attirato i resort al mare (Sicilia, Sardegna e Puglia)

Secondo la ricerca presentata da Scenari Immobiliari i 110 miliardi di patrimonio immobiliare alberghiero italiano, per il 54% si trova al Nord Italia, il 26% al Centro e il 20% al Sud.

A mio parere questo rappresenta un’opportunità ed un rischio, come avevamo già evidenziato nel 2011: al Sud, nelle zone turistiche servono grandi investimenti per rendere accogliente il turismo meridionale. E questa è l’opportunità che anche il PNRR cerca di cogliere.

Però erogare denari pubblici senza una visione di medio-lungo periodo porta agli sprechi che conosciamo.

Se guardiamo a quello che si è fatto negli ultimi 10 anni lo stato (anche attraverso Invitalia e CDP) ha speso somme enormi, che però non hanno dato origine ad una offerta strutturata e coordinata, perché in quasi nessuna delle destinazioni turistiche italiane c’è un piano di sviluppo con una visione a 10-20 anni.

(Adobestock)

(Adobestock)

Nel 2021, anche a causa dei cambiamenti di abitudini di viaggio imposte dal Covid, alla grande liquidità, al deciso aumento della raccolta di fondi europei e americani, il rafforzamento del dollaro, il disinteresse per l’investimento in uffici, gli hotel hanno fatto la parte del leone degli investimenti esteri.

Il totale delle operazioni sviluppate nel 2021 in Italia ha superato i 2,1 miliardi di euro, con un incremento del 92% sull’anno precedente, rappresentando il 20% di tutti gli investimenti immobiliari dell’anno, quando gli investimenti in uffici sono crollati.

Va valutata molto positivamente la crescita delle transazioni di hotel e resort italiani, ma se allarghiamo lo sguardo alle transazioni immobiliari in Europa ci accorgiamo che l’Italia è ancora un mercato residuale, tenendo conto che 2,1 miliardi di euro su 16,8 miliardi di transazioni europee rappresentano “solo” il 12% delle transazioni europee.

Anche il grande interesse per i resort al mare che ha segnato l’attività 2021 conferma il trend evidenziato da tempo: i capitali per fare gli investimenti ci sono, mancano i prodotti. La responsabilità di questa situazione sta tutta nella incapacità dei piani urbanistici di prevedere con intelligenza l’evoluzione della città turistica.

I piani oggi non tengono conto delle esigenze della gestione alberghiera, o del modello di business dei tour operator, impongono vincoli e ostacoli alla trasformazione urbana, andando a traino degli albergatori locali, che per motivi finanziari, gestionali, o generazionali sono destinati a chiudere o cedere l’attività nell’arco di pochi anni.

Infatti l’Hospitality Forum ha mostrato come già oggi, rispetto a due anni fa, il 10% delle camere d’albergo siano chiuse, e un altro 15% è destinato ad uscire rapidamente dal mercato.

Ancora una volta si torna al tema del disegno della città turistica, che deve essere affrontato unitariamente: torniamo quindi ai temi sviluppati nel 2011.

Un altro tema nodale è quello del finanziamento dello sviluppo immobiliare alberghiero.

Quando dieci anni fa affrontammo il tema, ci era già chiaro che il mondo bancario non fosse in grado di valutare e sostenere il business turistico-alberghiero.

Oggi, grazie anche a cambiamenti normativi, si sono affacciati sul mercato Fondi di Private Equity in grado di valutare e investire in operazioni di sviluppo alberghiero, mentre la banca tradizionale è ancorata alla valutazione immobiliare. Capita così che il banchiere tradizionale investa nell’immobiliare ai massimi e disinvesta ai minimi, facendo esattamente il contrario di quello che fa l’investitore professionale.

In conclusione: possiamo essere soddisfatti della ripresa?

In parte sì, l’Italia è tornata ad essere interessante per chi investe in hotel.

No, invece, non possiamo essere soddisfatti se il metro di paragone è quanto fanno negli altri paesi.

Il turismo italiano è ancora arretrato perché le logiche dell’investimento immobiliare sono ancora quelle che hanno mosso gli interventi dei primi anni 2000, ed anche allora erano sbagliati e datati.

Le soluzioni ci sono, indicare una via innovativa è possibile.

Vediamo se il governo dimostrerà di volerlo fare.