PNRR, temporary e fractional management per aiutare le PMI

scritto da il 27 Luglio 2022

Post di Maurizio Quarta, Temporary Management & Capital Advisors – 

Una recente indagine di Unioncamere, basata sulle elaborazioni del Centro studi Guglielmo Tagliacarne, segnala come solamente un’impresa su tre sia pronta a tradurre in progetti concreti  le opportunità offerte dalle risorse finanziarie che il PNRR destina al sistema produttivo. Ciò significa che oltre il 70% delle imprese non farà uso dei fondi messi a disposizione: il problema riguarda soprattutto quelle più piccole se, come dicono i numeri, l’80% di esse non ha a piano di utilizzare le risorse allocate, a fronte del 50% delle aziende medio-grandi.

Scarsa informazione e sensibilizzazione delle imprese sul tema? Sicuramente sì.

Esiste però anche una motivazione di tipo più strutturale: la carenza di competenze manageriali e la sottomanagerializzazione delle nostre PMI.

Il tema del rafforzamento delle competenze manageriali è stato frequentemente ripreso e sottolineato nel passato biennio in varie declinazioni: incentivazione del reskilling manageriale, incremento del capitale intellettuale, aggiornamento delle competenze, capacità di fare in modi nuovi, transizione dell’imprenditore dal fare al gestire. Tutte con un denominatore comune: servono competenze di alto livello, ma in tempi brevi e soprattutto capaci di agire ed incidere velocemente sul tessuto delle PMI. A maggior ragione in epoca post pandemica: una recente analisi di McKinsey evidenzia come l’importanza della costruzione di nuove capacità per una crescita sostenibile nel lungo termine sia passata dal 59% pre-COVID, all’attuale 78%.

Senza infine dimenticare come siano tante le aree su cui le PMI dovrebbero essere in condizioni di operare con efficacia: digitalizzazione, economia circolare, ottimizzazione della gestione finanziaria, internazionalizzazione, gestione del capitale umano.

In questo contesto, il temporary management (di seguito TM) viene sempre più apprezzato dalle PMI come uno  strumento per certi versi ottimale per portare in casa competenze di alto livello che siano immediatamente operative e in più capaci di operare in contesti straordinari.

La conoscenza che le PMI hanno del TM è cresciuta nel tempo ed è oggi ad un buon livello: circa il 60% delle aziende più piccole (sotto i 20 milioni di fatturato) lo conosce, con un utilizzo che si assesta intorno al 10-12% a seconda delle classi di fatturato.

Dato che vale anche per aziende molto piccole: nella fascia tra 2 e 5 milioni di euro di fatturato, infatti, la conoscenza dello strumento è pari al 63% con un utilizzo pari all’8%,  soprattutto per progetti di lunga durata (es. 24 mesi), ma gestiti a tempo parziale.

Nella quasi totalità dei casi, la PMI “comprando” temporary management, “comprano” competenze  di alto livello non altrimenti disponibili, a costi accessibili, con il risultato di accrescere le capacità delle persone già operanti in azienda, che alla fine di un intervento/progetto saranno in grado di fare le stesse cose meglio di prima oppure di farne di nuove.

(vege - Fotolia)

(vege – Fotolia)

Parlando di aree di intervento in azienda, rileviamo che l’imprenditore tende a vedere e a privilegiare quelle con un più immediato impatto sul conto economico (es. supply chain, produzione, area commerciale, internazionalizzazione), trascurando almeno in parte le aree finanza e risorse umane, in cui sarebbe peraltro possibile generare rilevanti risparmi e ritorni di efficienza con interventi a tempo parziale e mirati su specifici obiettivi e attività. Su queste aree, è tuttora necessario un grande lavoro di stimolo nei confronti dell’imprenditore: sulla finanza, per fargli superare l’ostacolo, soprattutto psicologico, legato al fatto di dare accesso ai propri conti (e non tocchiamo il tasto delicato del rapporti con gli altri professionisti presenti in azienda), e sulle risorse umane per fargli  comprendere il valore economico di una loro gestione in chiave professionale.

Anche le imprese molto piccole (es. sotto i 5 milioni di fatturato) riescono in misura crescente ad attingere al bacino di competenze manageriali disponibili attraverso progetti gestiti in modalità fractional/part time: si tratta di una particolare declinazione del TM nata proprio sulla spinta della domanda da parte di queste organizzazioni, per le quali il classico temporary manager full time potrebbe risultare ridondante, sia in funzione dei tempi che dei costi.

In questo modo, è anche possibile dispiegare sul campo team di temporary manager e veri e propri CdA virtuali, come già in uso da anni nei mercati stranieri (es. negli USA).

Sono molti oggi i manager disponibili sul mercato (e si prospetta che altri ne arriveranno nei prossimi mesi) e le competenze manageriali teoricamente disponibili, ma esiste ancora un disallineamento qualitativo tra le competenze necessarie per lavorare con le PMI e quelle rintracciabili nei molti manager che provengono soprattutto da grandi gruppi, anche internazionali. A questo si abbina un disallineamento ideologico tra chi porta avanti un discorso, totalmente legittimo peraltro, di ricollocamento di dirigenti in mobilità e di status dirigenziale e imprese, specie PMI, che hanno bisogno di competenze manageriali, flessibilità e possibilità di operare più che mai a costi variabili.

Sul tema della convivenza virtuosa tra manager e imprenditore, si è di recente espresso Matteo Manzardo (Vice Presidente Vicario Confimi Industria Gruppo Giovani), secondo il qualeda un lato le PMI devono prendere coscienza dell’importanza di essere affiancati da manager competenti, d’altro lato la classe manageriale deve uscire dalle teorie dei grandi manuali e calarsi nel modo sartoriale, diventare a misura di PMI” (cose che scriveva qualche anno fa Vincenzo Boccia nella prefazione di un mio libro).

Per moltissime PMI resta caldissimo il tema del passaggio generazionale: sempre da Confimi, arrivano interessanti e, per certi versi inattese, evidenze.

Dall’indagine emerge infatti che “un giovane imprenditore su tre (il 33,9%) ha pensato di vendere o cedere l’attività, 1 su 4 lo farebbe se fosse l’unico titolare. C’è poi quasi un 40% (37,3%) che avrebbe effettuato una fusione. C’è poi chi (28% degli intervistati) ispirato a innovativi modelli di relazioni industriali ha pensato di creare una compartecipazione societaria con i collaboratori attualmente dipendenti”.

Le aree critiche sono più o meno sempre le stesse: il riconoscimento della leadership da parte dei collaboratori, l’assenza di deleghe da parte dei predecessori e, su tutte, la mancanza di autonomia decisionale su quelle tematiche dove la cultura è maggiore rispetto ai familiari, come può essere il caso della tecnologia.

L’indagine evidenzia un punto molto particolare e molto “sottile”: 9 giovani imprenditori su 10 ritengono infatti  che il passaggio generazionale sia da affrontare anche tra i dipendenti.

In conclusione, l’auspicio è che con il PNRR non accada quanto purtroppo già si è visto con l’utilizzo dei fondi europei: siamo il paese con il più basso tasso di utilizzo (circa il 40%), ciò che significa che il restante 60% non utilizzato torna in Europa per essere redistribuito ad altri. Interessante in tal senso l’iniziativa della Regione Lombardia di organizzare incontri mensili sul territorio tra imprenditori ed esperti europrogettisti per far sì che questa volta i numeri citati anche in inizio articolo vengano smentiti dai fatti.

Per approfondimenti www.temporary-management.com