Considerazioni (inattuali) in merito al gas, al potere di Gazprom e noi

scritto da il 09 Settembre 2022

Post di Giovanni di Corato*, Amministratore Delegato Amundi RE Italia SGR –

È evidente che la crisi russo-ucraina e il connesso conflitto abbia posto sotto i riflettori i mercati delle materie prime energetiche e dell’energia stessa a livello globale. Alla luce della sostenuta crescita dei prezzi di questi beni e della estrema volatilità registrata stanno diffondendosi riflessioni di numerosi commentatori (1) alquanto articolate e non scontate, in particolare, riguardo alla dinamica del prezzo del gas.

Tali letture sono orientate a stigmatizzare la natura “finanziaria” e non “reale” dell’impennata dei prezzi. La presenza di mercati a termine standardizzati, più o meno regolamentati, dove è normale, come per tutte le commodity, si scambino controvalori di contratti futures decisamente superiori alle effettive compravendite di sottostante ha dato il là a spiegazioni che, alla fine, tendono ad identificare in una non meglio specificata “speculazione” e non, come secondo alcuni sarebbe opportuno, nella dinamica dell’incrocio di domanda e offerta “a pronti” il driver principale dell’impennata dei prezzi. Incamminandosi lungo una simile linea argomentativa il passo successivo è quello quantomeno di alimentare il sospetto che il rialzo dei prezzi del gas in Europa ha ben poco a che vedere con il rarefarsi, attuale o prospettico, effettivo o solo temuto, dell’offerta del bene, indotta da scelte della Russia, indipendentemente dal fatto che esse siano, tatticamente, volontarie o semplicemente obbligate per effetto dell’evento bellico e delle connesse sanzioni, bensì con i “maligni” interessi di non meglio specificati operatori, siano essi, più o meno grandi, investitori o operatori industriali dell’oil e dell’energy, che transano contratti future.

Il prezzo di un bene, però, è sempre il frutto di un’aspettativa sia esso “a pronti” o “a termine” e il fatto che effettivamente i prezzi “a pronti” e quelli “a termine”, quelli dei contratti future, sottendano due distinte ben distinte modalità di consegna dello stesso bene, non implica che il primo sia un prezzo per così dire “reale”, mentre il secondo sia un prezzo, sempre per così dire, “finanziario”.

Ciò premesso, senza dubbio, quanto occorso in questi mesi sul fronte del prezzo del gas segnala che il TTF, il mercato a termine del gas europeo basato ad Amsterdam, esprime dei limiti in quanto a profondità e liquidità e probabilmente di una carente regolazione sul fronte del suo funzionamento (2). In sostanza è un mercato agito soltanto da un numero molto limitato di operatori e neanche lontanamente paragonabile in termini di concreta accessibilità a quanto succede negli Stati Uniti con il contratto future sul gas dell’Henry Hub scambiato al Chicago Mercantile Exchange. Per esempio un qualunque piccolo investitore, anche attraverso un’ampia gamma di prodotti d’investimento tipo ETF o ETC indicizzati al future, può prendere posizioni lunghe o corte sul gas statunitense, cosa che invece non può, oggettivamente, fare sul gas europeo. Un mercato poco liquido e poco profondo, in particolare in fasi di profonda tensione, è fisiologico che produca una grandissima volatilità e che possa incorporare nei prezzi aspettative “distorte”. Pertanto qualora ci si fermasse a questo livello di analisi verrebbe da dire che in Europa, riguardo al mercato del gas, ci vorrebbe non meno, bensì più “finanza”.

Il tema della profonda volatilità dei prezzi del gas e della loro recente straordinaria impennata, soprattutto in Europa, non è però liquidabile con una battuta. Il tema forse dovrebbe essere quello di domandarsi se il gas naturale sia un bene effettivamente adeguato al fine di fungere da sottostante a un contratto future e quindi ad essere oggetto di una sorta di “finanziarizzazione” intesa come la sua trasformazione in un contratto che ne faciliti lo scambio, moltiplicandone la liquidità. La risposta a un simile quesito probabilmente è negativa. Alla fine il gas è un bene molto scarsamente “arbitraggiabile”, indipendentemente dalle tempistiche della sua consegna, perché straordinariamente dipendente dalle modalità del suo trasporto, sia esso legato ai gasdotti o alle navi gasiere e ai rigassificatori. In fondo il differenziale positivo di prezzo fra il gas europeo e quello statunitense, ormai posizionato su livelli un tempo impensabili, ci dice esattamente questo. Cosa ben diversa da ciò che, per esempio, succede nel caso del petrolio dove il Brent e il WTI e le altre tipologie di greggio le cui quotazioni, a pronti e a termine, si mantengono, anche nell’attuale crisi, sempre in rapporti sostanzialmente equilibrati.

Questo tipo di riflessione, peraltro, apre la strada a ragionamenti sul fatto che la “partita” del gas non possa essere pensata e tantomeno giocata indipendentemente dalle modalità del suo trasporto. Gazprom, il monopolista russo del gas naturale quotato in borsa e contestualmente controllato dal governo di Mosca e che costituisce la chiave di volta del potere dominante oggi esercitato dalla Russia in campo energetico, questa “partita” della piena integrazione fra estrazione e distribuzione se l’è giocata storicamente benissimo.

Gazprom non solo può vantare la proprietà di praticamente di tutti i giacimenti di gas naturale presenti sul territorio russo, ma anche di tutta la rete dei gasdotti che collegano la Russia con l’Europa Occidentale in diversi casi anche al di fuori dei confini russi. Tema quello della proprietà della rete distributiva che, invece, non sembra avere assillato più di tanto gli Europei nei decenni passati.

Per esempio nel caso di Nordstream (3), il gasdotto che collega direttamente la Russia e la Germania, attraverso il Baltico, e che alimenta due ulteriori gasdotti, NEL (4) e Opal (5), funzionali a permettere la distribuzione in territorio tedesco, integralmente localizzati in Germania, la proprietà dell’articolata rete rimanda molto più alla Russia che alla Germania. Nordstream è pienamente posseduto da Gazprom, OPAL e NEL invece sono di proprietà di una JV fra la stessa Gazprom e un operatore tedesco (6) controllato da BASF ma con un’importante partecipazione di minoranza di un soggetto espressione di un magnate russo (7).

La sala di controllo di Gazprom a Bovanenkovo, il giacimento della penisola artica di Yamal

La sala di controllo di Gazprom a Bovanenkovo, il giacimento della penisola artica di Yamal

YAMAL (8), altra importante infrastruttura distributiva del gas russo in Europa e che attraversa la Bielorussia per arrivare in Polonia è caratterizzato da un assetto proprietario in cui Gazprom controlla integralmente oltre al tratto russo, quello bielorusso (9) ed al 50% quello polacco (10).

Lo scarso interesse per la proprietà dei gasdotti degli utilizzatori finali europei del gas naturale lo si registra anche in contesti geopolitici in cui Russia e Gazprom non sono coinvolti. Per esempio tutta la complessa rete di gasdotti che collega l’Azerbaijan all’Italia attraverso tre diverse infrastrutture – la South Caucasus Pipeline
(11) , il TANAP (12) e il TAP (13) – , pensata, anche a livello UE, come una rilevante forma di diversificazione dal gas russo nella logica della cosiddetta indipendenza / sicurezza energetica, prevede un importante coinvolgimento proprietario di SOCAR che è l’equivalente azero di Gazprom oltre che una, a suo modo originale, cointeressenza proprietaria, sebbene minore, della russa Lukoil e dell’Iraniana NaftIran Intertrade. Merita, peraltro, segnalare che il regime politico azero, formalmente democratico, non risulta caratterizzato da un “tasso di autocrazia” molto diverso da quello russo, ferma restando, a Baku, l’indisponibilità di armi atomiche.

Prevedere la dinamica e le tempistiche del conflitto russo ucraino non è semplice, ciononostante è ragionevole pensare che, prima o poi, una seria trattativa fra le parti direttamente e indirettamente coinvolte si attiverà. In tale eventualità nella logica di tutelare la posizione e gli interessi europei, al di là delle questioni di principio, del rispetto dei confini ucraini antecedenti al 20 febbraio o addirittura all’annessione della Crimea, forse varrebbe la pena puntare su un sostanziale depotenziamento del potere esercitato dalla Russia attraverso il “modello Gazprom” e ragionare sul fatto che ciò potrebbe essere un prezzo adeguato da far pagare alla Russia a fronte di eventuali concessioni territoriali. L’unbundling delle attività di Gazprom, separando l’estrazione dalla distribuzione, e il conseguente trasferimento della seconda nella sua interezza, inteso dal giacimento all’utilizzatore finale, ad un soggetto pubblico equamente partecipato dagli stati coinvolti nella compravendita potrebbe essere un obiettivo negoziale importante per l’Europa e peraltro l’inizio di una seria riflessione su una governance equa, volta a limitare le posizioni dominanti dei fornitori dei beni, delle reti distributive laddove queste si dipanino in un contesto transnazionale.

*Le opinioni qui espresse sono di esclusiva responsabilità dell’autore

NOTE

1. Fra queste, per esempio, “L’energia e le ombre di troppo (con illustri precedenti)” di Federico Rampini sul Corriere della Sera dell’1 settembre 2022 o “Dallo scandalo Enron al crac Amaranth: così la finanza derivata scatena crisi che sconvolgono il prezzo dell’energia. La lezione vale anche oggi” di Andrea Di Stefano su Il Fatto Quotidiano dell’11 luglio 2022.

2. Per esempio non prevede la possibilità di sospendere le negoziazioni per eccesso di rialzo.

3. Gasdotto lungo 1.222 Km e con una portata massima di 55 mld mc / anno.

4. Gasdotto lungo 440 Km e con una portata massima di 20 mld mc / anno.

5. Gasdotto lungo 470 Km e con una portata massima di 35 mld mc / anno.

6. Wintershall DEA GmbH.

7. LetterOne il cui beneficial owner è Mikhail Friedman.

8. Gasdotto lungo 4.107 km e con una portata massima di 33 mld mc / anno.

9. Attraverso la controllata Gazprom Transgaz Belarus.

10. Attraverso EuroPol Gaz S.A., una JV fra Gazprom e la polacca PGNiG.

11 Gasdotto lungo 692 km con portata massima di 25 mld mc / anno controllato da South Caucasus Pipeline Company la cui proprietà e per il 28.8% di BP, il 19% di TPAO, il 16.7% di SOCAR, il 15.5% di Petronas, il 10% ciascuno di Lukoil e di Naftiran Intertrade.

12 Gasdotto lungo 1.841 km con portata di 16 mld di mc / anno, tutto localizzato in Turchia, la cui proprietà è per il 58% di SOCAR, il 30% di BOTAŞ e il 12% di BP.

13. Gasdotto lungo 878 km con portata massima di 20 mld di mc / anno che connette Grecia, Albania e Italia la cui proprietà è per il 20% ciascuno di SOCAR, BP e SNAM e per il restante 40% di soci minori.