Metaversity: perché le Università dovrebbero investire nel Metaverso

scritto da il 21 Ottobre 2022

Post di Michela Cobelli, Head of International Mobility di Università di Pavia e corsista EMBA Ticinensis – 

In mancanza dell’almanacco sportivo di Ritorno al Futuro 2, chi è abituato ad analizzare cosa succede nel mondo sa che prima di capire cosa ci sarà nel dopo, bisogna vedere cosa c’è stato nel prima.

E per vedere quale sarà l’impatto di medio e lungo periodo della pandemia bisogna capire perché ci si era organizzati in un determinato modo per portare avanti i processi produttivi del passato.

Prendiamo il settore dell’Educazione Superiore ad esempio. Settore che ha avuto un altissimo sviluppo nell’800, che ha subito una serie infinita di riforme (chi se la ricorda la Gelmini?), ma che sostanzialmente ha funzionato sempre nello stesso modo.

Per secoli il sistema si era basato sulla residenzialità della comunità accademica.

Una volta finito il percorso di scuola secondaria con un diploma, uno High School Certificate, un Esabac o un Gaokao, la scelta obbligata per chi era intenzionato a continuare la propria formazione superiore era quella di iscriversi fisicamente presso un Ateneo ed il percorso delineato era quello, secondo il principio del “vado all’università (magari la faccio fuorisede), frequento le classi, sostengo gli esami, faccio i tirocini, mi laureo e poi cerco lavoro”.

Residenzialità che però non significava immobilità del sistema o scarsa innovazione.

Dalla fine della seconda guerra mondiale si è assistito a un aumento esponenziale di mobilità internazionale e abbiamo visto nascere dei veri e propri flussi migratori universitari. Flussi che muovevano migliaia di persone per raggiungere le migliori sedi universitarie mondiali, che hanno seguito rotte influenzate da vicende storiche, sociali, politici, economici e culturali. Basti pensare, ad esempio, alla crescente richiesta di immatricolazione internazionale all’interno del sistema universitario americano[1].

Metaversity international students in the Usa

Quindi, chi voleva perseguire una educazione di qualità necessitava di prendere la valigia e trasferirsi in un altro luogo per accedere alla migliore docenza, per frequentare strutture di ricerca all’avanguardia, usufruire di servizi e facilities efficienti e di un sistema di network diretto con il mercato del lavoro.

Per non parlare del successo di programmi di scambio studentesco come l’Erasmus[2] nato con l’obiettivo di sperimentare un periodo di studio o tirocinio presso un partner straniero poi legalmente riconosciuto dalla propria sede di origine. Programma che a tutt’oggi muove migliaia di studenti e che ne periodo finanziario 2021-27 ha avuto un raddoppio di budget europeo.

Fino al 2020 il campus fatto di buildings, aule, laboratori, biblioteche era rimasto il centro in cui si sviluppava il percorso del discente, tant’è che tantissimi atenei sono così radicati nel proprio territorio da prendere il nome dalla città in cui sono ubicate.

Fino al 2020 la DAD (termine francamente orrendo) era qualcosa da evitare come la peste, di quanto più lontano da quell’immaginario collettivo che ci vede camminare nei parchi di Oxford o del MIT e avere una chiara visione del percorso che prenderanno le nostre vite future grazie a quei viali.

La DAD nella storia

Le prime esperienze di formazione a distanza risalgono alla metà dell’800, con l’Istituzione di servizi postali che distribuivano materiale formativo cartaceo in aree regionali periferiche.

La prima università virtuale risale agli anni ’60 del ‘900, con la fondazione della Open University in UK. Open University nasceva dal governo laburista di Woodrow Wilson con lo specifico obiettivo di rendere accessibile l’educazione superiore attraverso la televisione (tant’è che la BBC, rete dove venivano mandate le videolezioni, fu definita “TeleUniversity”). Le università a distanza si sono poi adeguate allo sviluppo delle tecnologie: dalla TeleUniversity si è passati alla VhSversity, CDversity, fino all’arrivo dello streaming e delle università telematiche dei primi anni 2000.

Ovviamente la maggioranza di queste esperienze venivano erogate da Enti privati e, fino agli inizi degli anni 2020, i problemi principali di questo tipo di istituti di formazione riguardava l’accreditamento formale, il valore legale (questo soprattutto in Italia) e la Quality Assurance.

In Europa, la prima legge che ha tentato di disciplinare l’E-learning risale al luglio 2001 in cui i Ministri dell’Unione Europea si impegnavano a “perseverare negli sforzi concernenti l’effettiva integrazione delle TIC quale elemento importante dell’evoluzione dei sistemi di istruzione e formazione”[3].

Il Mercato della DAD

Secondo Eurostat nel 2020 il mercato europeo dell’educazione ammontava a € 671 milioni di dollari, ovvero il 5.0 % del GDP europeo. E, fino al 2020 non esisteva però un capitolo di bilancio pubblico dedicato all’educazione virtuale.

Fino all’inizio della pandemia, il mercato dell’educazione a distanza si segmentava principalmente in 2 sotto-settori:

Distance learning, termine con il quale ci si riferisce a interi programmi educativi erogati a distanza, a favore di discenti che proseguono la propria formazione presso Enti accreditati. Per citare qualche esempio, University College London, Columbia University, Johns Hopkins University erogavano già interi percorsi di laurea online prima della pandemia.

Online training, che incorpora programmi life-long learning organizzati per specifici target group, con l’obiettivo di portare avanti processi di upskilling o re-skilling individuali o aziendali (spesso per sviluppare competenze trasversali). In questo settore si comprendono, ad esempio, le academy aziendali, ma anche servizi digitali come Khan Academy, Udacity, Futurelearn, Linkedin Learning, Coursera, Duolinguo.

Nel 2020, la maggior parte delle Università tradizionali erano rimaste indietro sul digitale rispetto ad altri business e il mercato del distance learning era un mercato abbastanza stabile, ma di nicchia. Visto con sospetto dallo stesso mercato del lavoro che poco si fidava di capacità e competenze acquisite dai discenti specialmente in ambiti quali legale, medico, umanistico.

Con la chiusura di tutti gli atenei mondiali, la pandemia ha cambiato tutto.

220 milioni di studenti e 25.000 università sono state interessate dalle chiusure, con la conseguente corsa a trasferire per quanto possibile le attività didattiche e di ricerca online. E, con la fine dell’emergenza, molti atenei (e Governi) hanno deciso di non tornare al passato, di continuare a investire nell’educazione a distanza anche per dare valore agli investimenti fatti.

Vediamo i numeri del mercato nei prossimi anni.

Global Market insights [4] stima che, nel 2021, il mercato dell’e-learning mondiale ha fatturato 315 milioni di dollari e, tra il 2022 e il 2028, si assisterà a una crescita composta di fatturato pari al 20% con punte del 30% in India.

Metaverso India

Se guardiamo al mercato europeo, nel 2021 la Commissione Europea ha varato il “Digital Education Action Plan”, che definisce una serie di priorità (e fondi) tra cui “Migliorare l’infrastruttura digitale nel settore dell’istruzione e migliorare la qualità delle risorse per l’apprendimento online”.

Entro il 2027 il DEAP verrà implementato attraverso una serie di strumenti finanziari quali CEF Digital, Digital Europe, Recovery and Resiliance Facility, Horizon Europe, Erasmus+ e nel suo Work Programme annuale 2021-22[5] sono state stanziate risorse pari a 1383 milioni di euro per l‘educazione digitale.

Le stesse università stanno mettendo a frutto gli investimenti sostenuti durante il periodo emergenziale e si stanno dotando di “Digital University Strategies”. Un ottimo modello è quello, ad esempio, adottato dalla Technische Universitat Munchen[6], che si sta muovendo verso la seguente organizzazione in cui Didattica, Ricerca e Amministrazione che ruotano attorno alla Digital University.

Metaverso

 Nel digitale, la chiave è l’engagement

Qualcuno di voi si ricorderà del processo di Bologna iniziato nel 1999 che ha spinto quasi tutti gli atenei europei ad adottare approcci  di  “learner-centered Education“.

Di cosa si tratta?

Si tratta dal passare dalla centralità dell’insegnamento alla centralità dell’apprendimento che favorisca partecipazione attiva dello studente, promuovendo competenze trasferibili quali la capacità di risolvere i problemi, il pensiero critico e quello riflessivo. Non siamo noi che insegniamo bene, ma sono gli studenti che apprendono conoscenze e competenze in modo efficace. E se lo studente è il centro è fondamentale utilizzare metodologie che favoriscano il loro engagement.

Ma perché nel digitale l’engagement è ancora più importante?

Perché non basta mettere online lezioni in streaming per essere sicuri che il processo di apprendimento stia dando i suoi frutti. Pensate di seguire una lezione frontale di diritto privato dallo schermo di un pc: non basterebbero 100 caffè per sopravvivere!

E allora nel digitale bisogna cambiare la metodologia della didattica e tenere alta l’attenzione di chi ci ascolta dall’altra parte facendogli fare cose.

Accanto alle piattaforme tecnologiche (piattaforme streaming come Zoom, Webex, Bluejeans, ma anche Learning management systems come Moodle, Blackboard, Adobe Connect, Google workspace, Teams), i professori che lavorano soprattutto nel digitale hanno adottato strategie didattiche attive come la flipped classroom, l’apprendimento collaborativo, il digital storytelling, la peer education e la gamification.

Come afferma Susan Fourtané, giornalista di Europa Science LTD, “nel mondo virtuale si è creato un ecosistema in 2D” dove la trasmissione della conoscenza passa dal docente che adotta metodologie innovative per l’apprendimento veicolate dalle piattaforme digitali”.

La METAVERSITY: dalla DAD al MetaLearning, ovvero imparo quello che mi serve, quando mi serve, con chi voglio (e il dove e il tempo diventano irrilevanti)

Lo abbiamo visto tutti, anche utilizzando le migliori metodologie, la DAD funziona male. Non è un caso che appena si è potuto, le università sono state subito riaperte perché chiunque di noi diffida ancora di un medico che ha preso la laurea per corrispondenza.

Ma oggi abbiamo una opportunità per non perdere quei lati positivi che avevamo trovato nelle attività didattiche online (ad esempio, chi scrive sta frequentando un EMBA erogato 100% online, molto soddisfatta del percorso didattico finora svolto e dalla possibilità di seguire le lezioni in pigiama).

E qui entra in gioco il Metaverso, ovvero quello che Susan Fourtané definisce “un network di mondi 3D focalizzati sulla connessione sociale”[7].

Se il Metaverso è questo, è ragionevole pensare che lo si potrà utilizzare per erogare Metaformazione grazie all’istituzione di Metaversities.

Fourtané definisce la Metaversity come “un ambiente universitario immersivo che combina le tecnologie di realtà virtuale e realtà aumentata; un Digital Twin di un campus fisico dove studenti e docenti possono interagire tra loro tramite il loro Digital Twin, una rappresentazione digitale di sé stessi”.

Metaverso per forme innovative di ricerca

Nel mondo del Metaverso possono essere ricostruiti spazi dove studenti e docenti si ritrovano in un comune ambiente simile a quello reale, ma dove si possono sperimentare forme innovative di didattica e di ricerca. Attraverso l’utilizzo di Oculus, smart glasses e wearable device si possono, ad esempio, insegnare tecniche chirurgiche allenando la memoria sensoriale del futuro medico. Così come smontare pezzo per pezzo una Ferrari o ricostruire l’uccisione di Francesco Ferdinando o, perché no, il big bang.

La start-Up americana VictoryXR sta supportando la creazione di veri e propri campus virtuali utilizzando una combinazione di tecnologie VR e AR in cui sono riprodotti buildings, laboratori, biblioteche, caffetterie, dove vengono organizzati lezioni, esami, tirocini, eventi studenteschi, cerimonie di laurea, conferenze e open days. Steven Grubbs, il CEO di VictoryXR, ha le idee chiare sulla Metaversity: “Anche nel suo giorno migliore, un’università tradizionale non può fornire quel livello di immersione e apprendimento esperienziale della Metaversity.”.

Ci sono già delle esperienze attive: ad esempio Invact Metaversity, la start-up indiana fondata nel 2021 dall’ex-dipendente Twitter Manish Maheshwari e dall’ex-dipendente Microsoft Tanay Pratap,  ha lanciato il primo “10-week Finance Equity Research program for aspiring finance professionals” iniziato il 15 agosto 2022 con 300 studenti. Un programma altamente customizzato incentrato su metodologie di peer-learning e un curriculum strutturato per sviluppare competenze orientate al lavoro insieme a meccanismi di feedback personalizzati basati sull’AI.

Analytics Insight stila già un ranking delle 10 migliori università mondiali che operano nel Metaverso[8]: tra queste troviamo Atenei quali University of Tokyo, Nanyang Technological University, Stanford e University College London che nel mondo fisico sono nelle prime posizioni  in rankings mondiali come QS o Times Higher Education. E 10 Università americane hanno ottenuto un finanziamento pari a 150 milioni di dollari per sviluppare il “Meta Immersive Learning project” per formare la prossima generazione di Meta learning content creators e sperimentare esperienze immersive di alta qualità.

Si potrebbe quindi pensare di affiancare Metaversities ai campus residenziali.

Ma quali potrebbero essere i benefici di una Metaversity? Ce ne sono alcuni di rilievo.

Immersività dell’esperienza formativa. Immaginiamo sempre il nostro futuro medico: abbiamo detto che nel Metaverso (quanti ce ne saranno?) si potrebbero organizzare interventi chirurgici e apprendere metodologie diagnostiche in un luogo dove non si possono fare danni a pazienti. Oppure, si potrebbero organizzare visite e training virtuali presso scavi archeologici in territori politicamente instabili o, ancora, simulare la tenuta di edifici progettati in casi di terremoti; suonare con orchestre di tutto il mondo, avere accesso a volumi rarissimi, assistere a contenziosi nei tribunali dall’altra parte del mondo, effettuare esperimenti chimici alto tasso di rischio  o visitare riserve naturalistiche inaccessibili. Una specie di dimensione specchio come raccontato nella fase 5 dei blockbuster Marvel. Così come sviluppare partnerships con aziende e Enti già presenti nel Metaverso per che potrebbero offrire MetaTirocini e allargare il bacino delle career partnerships.

Maggiore interattività rispetto alla DAD. Siamo nello stesso luogo, insieme, e possiamo muoverci in ampi spazi. Studenti e docenti potranno interagire in modo simultaneo parlando, ad esempio, con più persone nello stesso momento, e allontanarsi dai digital twins per portare avanti conversazioni private. Il microfono chiuso o aperto a caso di Zoom diventerebbe un lontano ricordo.

Azzeramento della distanza fisica. Il Metaverso potrebbe essere un elemento dirompente nello sviluppo dell’internazionalizzazione delle Università. Basti pensare a come potrebbe essere facile invitare guest lectures, organizzare dei Virtual classes e labs congiunti con colleghi di tutto il mondo azzerando costi e problemi di spostamento. O aumentare le classi internazionali senza che gli studenti debbano affrontare costi di trasferimento all’estero. Con le Metaclasses si potrebbero evitare problematiche migratorie, di Visti di ingresso e risparmiare in termini di Carbon footprint.

E attuare le doppie lauree recentemente sdoganate nel sistema accademico italiano.

La Metaversity potrebbe anche rivelarsi un utile strumento per salvaguardare la libertà accademica (forse, per questo servirà una riflessione approfondita sulla censura digitale); così come potremmo superare le barriere linguistiche attraverso l’utilizzo di sistemi di traduzione simultanea basati sull’intelligenza artificiale.

Disponibilità di un Menù di alta formazione “à la carte”. In un mondo in cui la conoscenza può già essere recuperata digitando 3 parole chiave su Google, si potrebbe pensare di sviluppare sistemi di autodiagnostica dei propri bisogni formativi e puntare sullo sviluppo di specifiche competenze con tempistiche velocissime. Se nel Metaverso la distanza fisica può essere superata, il discente potrebbe decidere autonomamente come costruire il proprio percorso formativo, ad esempio, cumulando pacchetti di Micro-credenziali[9] da un “menù” infinito, saltellando da un’offerta formativa all’altra con un battito di ciglia[10]. Un’occasione imperdibile per, ad esempio, attuare veramente il life-long Learning o per supportare processi di upskilling aziendale.

Disponibilità di un sacco di dati per verificare l’efficacia della didattica. Che bisogni formativi hanno gli studenti? Quali sono le loro lacune? La qualità della didattica può essere migliorata? O il tasso di laureati? E l’occupabilità? Con l’enorme mole di dati immessa nella Metaversity, l’analisi degli indicatori di performance degli atenei potrebbe essere migliorata[11]. O potrebbero essere definiti indicatori più efficaci ed efficienti per migliorare la qualità della formazione universitaria.

Risparmio di consumo del suolo e ottimizzazione del building management. Si stima che nel 2030 avremo 380 milioni di studenti universitari al mondo con una crescita del 75% rispetto al 2016[12]. Dove metterli tutti? Per accogliere questa crescente domanda avremo bisogno di impegnare tanto spazio per costruire nuove classi, laboratori, biblioteche, residenze, mense, uffici e spazi ricreativi. Affiancare esperienze di Metaversities al campus tradizionale potrebbe aiutarci a limitare il consumo di suolo necessario a portare avanti una educazione di qualità.

Potenziamento delle capacità di marketing e recruitment. Con sistemi di realtà aumentata o di realtà virtuale, le Università potrebbero organizzare veri e propri virtual campus tour[13], incontri di orientamento con studenti e famiglie, open days per promuovere la propria offerta formativa. E, grazie all’utilizzo di tecnologie vicine alla generazione Z, avvicinare i giovani all’educazione superiore con strumenti che saranno ormai di uso comune come lo sono ora gli smartphone.

Corsi di Laurea o Dottorati su come si opera nel Metaverso?

Infine, con lo sviluppo del Metaverso sarà necessario organizzare percorsi formativi per imparare a gestirlo. Se oggi vediamo un’esplosione di corsi di laurea in AI, blockchain, Data Science, perché non portarsi avanti e istituire Corsi di Laurea o Dottorati su come si opera nel Metaverso? Non credete che vi sarà bisogno, ad esempio, di laureati in giurisprudenza che abbiano conoscenze approfondite del Metaverso per dirimere potenziali controversie? O di ingegneri che ne progettino gli spazi? O di esperti di grafica che lo rendano più accattivante? O marketer che promuovano le attività produttive? E come si comunicherà all’interno? Avremo bisogno del Meta media manager? O di psicologi o laureati in scienze motorie che ci facciano fare metafitness? O di chi ci aiuti a gestire i flussi finanziari all’interno?

Ovviamente vi sono anche elementi critici che dovranno essere tenuti in considerazione, alcuni dei quali si concentrano sulla diminuzione dell’interazione fisica tra essere umani, su possibili costi economici e sociali (per fare degli esempi accesso del 5G nelle periferie, storage, protezione dei minori, aumento delle disuguaglianze globali), sulla quality assurance, su possibili frodi, falsificazioni e diploma mills[14], così come su effetti psicologici, protezione dei dati, liability, privacy, cybersicurezza e proprietà intellettuale. Ad esempio, bisognerà lavorare su NFT[15] per evitare una Metagiungla di titoli illegali.

Troppo futuristico? Se guardiamo a qualche decennio fa, strumenti come l’Anatomage[16] sembravano cose uscite da Matrix. Ed ora molte scuole di Medicina ne fanno un uso comune con risultati didattici straordinari.

Metaverso

Come dichiarato da David Whelan, CEO di EngageXR, la VR platform di Meta: “I computer sono nati nelle case come intrattenimento, poi abbiamo iniziato a utilizzarli a scuola, poi come oggetti di uso quotidiano e al lavoro. La realtà virtuale potrebbe seguire la stessa strada”.

Staremo a vedere se nei prossimi anni la Metaversity diventerà una realtà (virtuale, ma vera).

Pur non avendo in mano l’almanacco di Biff, chi scrive è ragionevolmente certa che sarà così, magari grazie all’impegno di futuri studenti di architettura ricreino il meta-campus residenziali con Roblox.

NOTE

[1] Si vedano i dati pubblicati da Open Doors. Come si vede, dagli anni ‘50 ad oggi la domanda è incrementalmente cresciuta fino a deflettersi nel 2019-20 causa inizio pandemia.

[2] Dal 1987 ad oggi, Erasmus ha mosso 11,7 milioni di studenti in Europa.

[3] Il Consiglio dell’Unione europea sull’e-learning 

[4] E-learning Market Size

[5] Digital Europe, Work Programme 2021-2022

[6] Integra TUM Directory Service

[7] Si veda l’articolo di Fierce education: “Metaverse: The University Becomes the Metaversity” 

[8] Dati acquisiti da Analyticsinsighs: TOP 10 UNIVERSITIES OFFERING METAVERSE RELATED RESEARCH, COURSES & MORE

[9] Le micro-credenziali sono “qualifiche che attestano risultati acquisiti a seguito di un breve corso o modulo valutato in maniera trasparente e seguito in presenza, a distanza, o in formato misto”. Su questo si veda il recente “A European approach to micro-credentials

[10] Su questo, l’introduzione della “doppia laurea” avvenuta a luglio del 2022 in Italia potrebbe aprire le porte a una maggiore mobilità digitale degli studenti.

[11] Si vedano, ad esempio, gli indicatori di performance definiti da ANVUR per la valutazione delle università italiane:

[12] Study projects dramatic growth for global higher education through 2040

[13] Un esempio di campus tour navigabile tramite Oculus è stato sviluppato dalla King Abdullah University of Science and Technology, Arabia Saudita

[14] Diploma Mill, che cos’è

[15] Su questo è utile ricordare come l’Italia sia leader nel campo. Siamo stati infatti il primo Paese a utilizzare la tecnologia blockchain applicata all’ambito del riconoscimento dei titoli di studio. Si veda il progetto Diplome del Cimea

[16] La tavola Anatomage è il sistema di visualizzazione anatomica 3D grazie al quale si ricrea un tavolo operatorio combinato con un potente software radiologico. Gli utilizzatori sono in grado di visualizzare l’anatomia umana esattamente come se si trattasse di un cadavere reale. Le singole strutture del corpo sono ricostruite in 3D, con un livello di accuratezza e precisione pari all’anatomia reale e senza precedenti, e possono essere sezionate in 3D.