La migrazione e il mercato del lavoro: gli errori da evitare

scritto da il 28 Novembre 2022

Post di Mariano Carrella per Accademia Politica – 

È un dibattito recente e molto spesso riaperto quello riguardante la quantità ottimale dei flussi migratori. Sono effettivamente troppi i migranti che sbarcano in Italia? Abbiamo condizioni di mercato capaci di integrare tutti gli stranieri? Le attuali politiche migratorie sono inefficienti? Ci sono in effetti più migranti clandestini che regolari?

I numeri della migrazione sono in realtà peculiari e quasi inaspettati. Oggigiorno ci sono apparentemente meno migranti nel mondo non solo relativamente alla popolazione, ma anche rispetto ai numeri assoluti della storia. Come dimostrano i dati forniti dall’OCSE, i migranti ad oggi ammontano al 3.5% della popolazione mondiale, nonostante i salari reali tra paesi avanzati ed in via di sviluppo (a parità di potere d’acquisto e produttività) si differenzino finanche di un fattore 10 in grandezza. Inoltre, se comparati a livello storico e in termini assoluti, i dati della migrazione dei tempi moderni appaiono molto ridotti. Basti solo tener conto del flusso di circa 60 milioni di europei verso il nuovo continente tra il 1820 ed il 1940. Negli Stati Uniti, ad esempio, come vediamo dai dati riportati di seguito, la percentuale di immigrati rispetto a periodo storico e popolazione intera è abbastanza modesta.

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Immigrazione negli USA, 1820-2017. Fonte: U.S. Office of Immigration Statistics (2019)

Migrazione e Italia, una situazione delicata

Tuttavia, recentemente l’Italia ha assistito ad un fenomeno migratorio decisamente significativo. I numeri sono stati molto più alti rispetto agli altri paesi, seppur non rappresentando i massimi in termini storici. Si stima infatti che tra il 1876 e il 1976 partirono dal Belpaese oltre 24 milioni di persone.

Nell’ultimo periodo, un anno particolarmente importante è stato il 2013: il censimento ha registrato per la prima volta più di un milione di stranieri residenti in Italia e le elezioni politiche sono state dominate dal tema dell’immigrazione, che da quel momento è diventato centrale nel dibattito pubblico.

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Fonte: Ministero dell’Interno

A cosa si deve il lento declino del numero di migranti nel mondo oggi?

La risposta può esser facilmente ricondotta alle politiche sempre più restrittive o meno accoglienti sui flussi internazionali di migrazione, e cioè a barriere sulla mobilità internazionale e a procedure di integrazione e ammissione decisamente lunghe. Vediamo di seguito, infatti, che tutti i paesi d’Europa, ad eccezione solo della Grecia, hanno implementato politiche sempre più restrittive negli anni a partire dal 1990 (a seguito, non è ovviamente un caso, della caduta del muro di Berlino).

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Fonte: Fondazione Rodolfo DeBenedetti (2009), Inventario delle politiche di migrazione (1990-2005) database (cliccare sull’immagine per ingrandire)

Migrazione, quanto è efficiente implementare politiche restrittive?

La teoria economica suggerisce tuttavia che irrigidire l’afflusso di migranti e i controlli alla frontiera è in realtà una misura inefficiente, fintanto che rallenta i miglioramenti in termini di allocazione ottimale del lavoro. Restringere l’accesso ai migranti può sicuramente mitigare la riduzione del salario comunemente associata ad un maggior afflusso di persone in entrata (e quindi ad un aumento nell’offerta di lavoro) e rendere graduale il flusso interno di modo da assorbire e integrare più facilmente i migranti nel mercato del lavoro. Tuttavia, implica spese e costi di controllo alle frontiere non sicuramente irrilevanti e può aumentare in misura considerevole il numero di immigrati clandestini nel paese di destinazione, clandestini che non contribuiscono ai fondi pensionistici (una risorsa fondamentale specialmente in un paese come l’Italia) e allargano il mercato nero.

Il valore aggiunto della migrazione nell’economia

La maggior efficienza del mercato del lavoro garantita dall’immigrazione deriva dall’eliminazione delle opportunità di arbitraggio che nascono da differenze nella produttività e nella disoccupazione tra paesi e regioni, e dalla maggiore facilità con cui i migranti regolari riescono a ricoprire posizioni lavorative vacanti a salari competitivi e ad aumentare almeno nel breve periodo il surplus fiscale.

Conseguenze delle differenze in termini di istruzione

La complementarietà dei lavori ad alta e bassa intensità di competenza è un fattore che gioca a favore di politiche accoglienti, almeno nella misura in cui l’immigrazione su larga scala consiste specialmente di giovani lavoratori a bassa intensità. Questo, infatti, non solo porterebbe il popolo nativo ad incrementare il proprio livello di istruzione e i propri risultati accademici ma aumenterebbe anche i salari dei lavoratori ad alta intensità di competenza.

In realtà, se si considera che le differenze di abilità e competenze tra nativi e stranieri non sono neppure così marcate e che il flusso di immigrati di competenza pari a quella dei nativi non genera nessun effetto sull’andamento dei salari, il problema è anche più lieve di quanto si possa credere. Ad esempio, la popolazione straniera residente in Italia ha un livello di istruzione simile a quello della popolazione italiana. Fonti Istat e Banca d’Italia riportano come il 39,4% della popolazione italiana abbia un diploma di scuola media superiore a fronte del 38,9% della popolazione straniera. Gli italiani in possesso di laurea invece si attestano intorno al 12,5% contro il 10,2% degli stranieri.

Più immigrati significano meno posti di lavoro?

L’immigrazione non porta necessariamente ad un aumento della disoccupazione e, sebbene ci sia una forte variabilità dipesa specialmente dall’offerta più o meno elastica di lavoro, è in generale un errato luogo comune che l’aumento del numero di lavoratori (che siano immigrati o “non-pensionati”) porti via posti di lavoro ad altri. A riguardo è rilevante lo studio di David Card che, seppur molto dibattuto, nel 1990 ha comparato il mercato del lavoro a Miami con quello ad Atlanta, Los Angeles, Houston, e Tampa a seguito della liberalizzazione della emigrazione da parte di Fidel Castro a favore dei cubani. In effetti, con 125,000 cubani in partenza (di cui 60,000 solo a Miami), la disoccupazione è in realtà diminuita di circa 1 punto percentuale sia per i lavoratori neri che per i bianchi.

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Fonte: David Card, The Impact of the Mariel Boatlift on the Miami Labor Market (cliccare sull’immagine per ingrandire)

Percezione dei migranti nel paese di accoglienza

A questo punto si può, a buon diritto, giungere alla conclusione che sia la percezione errata relativa ai flussi migratori rispetto alla realtà, uno dei fattori più determinanti di misure di accoglienza più rigide. Questa assunzione prende ancor più sostanza se si tengono in conto sia gli studi di Tito Boeri che suggeriscono che i migranti clandestini sono una minima frazione della popolazione dei migranti, che quelli della Commissione Europa relativi alla percentuale di migranti percepiti nel proprio paese. In Italia, per esempio, la popolazione di migranti percepita è quasi tre volte più alta di quella reale. Peraltro, oltre la metà della popolazione italiana percepisce l’immigrazione come un tema problematico e circa un terzo vede nell’immigrazione un problema grave:

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Fonte: Statista

Circa le percezioni negative sui migranti, è doveroso sottolineare anche l’impressione sbagliata che molti nativi hanno nei confronti della ricerca di lavoro da parte degli immigrati, credendo di fatto che le politiche di agevolazioni fiscali e contributi economici per case, disoccupazione o assistenza sociale nuocciano alla ricerca attiva di lavoro. In verità, i dati mostrano che la partecipazione al lavoro degli immigrati sia più alta di quella dei nativi in quasi tutti i paesi, compresa l’Italia.

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Fonte: OECD; Eurostat; uffici statistici nazionali di USA e Canada (cliccare sull’immagine per ingrandire)

Ci sono poi considerazioni di carattere etico che non possono prescindere da un senso di giustezza ed equità verso popoli colpiti da guerre, carestie o situazioni economiche disastrose.

Migrazione, focus sulle regioni italiane

Ad oggi, infine, possiamo vedere come sia presente una forte disparità fra le regioni in termini di accoglienza e soprattutto integrazione dei migranti e questo non sembra giovare ad un mercato del lavoro efficiente.  

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Fonte: Statista (cliccare sull’immagine per ingrandire)

Per concludere, l’immigrazione può essere una grande risorsa per mercati del lavoro più efficienti, più produttivi e più competitivi. Se gestita con gradualità e cognizione di criteri economici a seconda della struttura, delle caratteristiche e della rigidità dell’offerta domestica di lavoro, può essere la soluzione a molte crisi fiscali nazionali così come ad incrementi sostanziali del prodotto interno lordo.