La legge sul nuovo processo civile: vera riforma o alibi comunitario?

scritto da il 01 Marzo 2023

Post di Valeria Mazzoletti e Paolo Pototschnig, partner presso Orsingher Ortu, Avvocati Associati – 

Eccoci alle prese con l’ennesima riforma del processo civile, entrata in vigore il 28 febbraio 2023 e mossa, come sempre, dalle migliori intenzioni, questa volta influenzate dagli impegni comunitari  legati al PNRR. L’obbiettivo è sempre il medesimo, finora mai raggiunto: mitigare l’inefficienza del nostro sistema giudiziario. Non sono certo bastati a mascherare gli insuccessi i dati sulla durata dei processi che, grazie all’assemblamento di riferimenti temporali disomogenei, prospettano un miglioramento solo apparente agli occhi degli addetti ai lavori.

Il cuore della riforma

Con quali interventi si vorrebbe continuare ad inseguire l’obbiettivo dell’efficienza? Senza scendere in tecnicismi procedurali, il cuore della riforma è rappresentato dalle modifiche del processo ordinario di primo grado che dovrebbero consentire di giungere alla prima udienza con la materia del contendere pienamente dipanata e digerita anche dal giudice in modo da richiedere, eventualmente, solo l’assunzione dei mezzi di prova prima della fase finale della decisione.

Si tratta di un modello che evoca lo schema del processo societario sperimentato nel 2003 e dopo pochi anni mandato in soffitta, con grande sollievo degli operatori, per l’inutile dispiego di attività che lo stesso comportava, a tutto discapito dei tempi e dei costi per cittadini e imprese. Altro intervento cardine dovrebbe essere rappresentato dalla valorizzazione di un rito semplificato alternativo, il fin qui poco utilizzato processo sommario di cognizione, caratterizzato da forme più snelle e da una gestione affidata ad un’ampia discrezionalità del giudice.

riforma

Cambiare le regole del gioco non è una panacea

Si insiste nel cambiare le regole del gioco come se questo modo di procedere fosse una panacea. Ma sono chiare a tutti, o almeno a coloro che guardano al problema con onestà intellettuale, la costante inutilità di simili interventi e la necessità di porre invece l’attenzione sull’organizzazione giudiziaria, senza dimenticare che sono i magistrati e gli avvocati che devono “far funzionare la macchina”, come dimostrano alcune, ma troppo poche, situazioni virtuose. Questo criticabile modo di legiferare non è senza prezzo per cittadini e imprese perché si comprimono le facoltà processuali e si generano difficoltà interpretative, non solo quelle fisiologiche che ogni riforma porta con sé, ma anche quelle dettate da difetti di scrittura e coordinamento delle norme alle quali un legislatore spesso poco attento e frettoloso ci ha ormai abituato. Il tutto a discapito sia dell’efficienza che si vorrebbe perseguire, sia del valore della certezza della funzione giurisdizionale.

È un prezzo che merita di essere pagato? Un certo pessimismo è più che lecito nonostante quella novità rappresentata dall’Ufficio del processo che dovrebbe agevolare l’attività dei magistrati nello studio delle cause e nelle decisioni, venendo incontro alle difficoltà di organico e ai carichi di lavoro.

Vera riforma o attivismo legislativo ad uso comunitario?

Pur non mancando altri interventi più apprezzabili, si fa strada la sensazione che questa ennesima riforma sia stata influenzata, anche nei tempi della sua realizzazione, dall’esigenza di mostrare un attivismo legislativo in ambito comunitario. Attivismo che potrebbe però, in tempi rapidi, risultare un ulteriore insuccesso agli occhi di chi, in quella sede, ripone legittime aspettative in un miglioramento del nostro sistema giudiziario civile. In gioco non è solo la capacità attrattiva degli investimenti stranieri, quasi un refrain che purtroppo esprime ormai rassegnazione, ma anche la tutela delle relazioni interne, sociali ed economiche, spesso fortemente penalizzate dalle difficoltà del nostro sistema giustizia.