Aziende, perché il candidato ideale si misura sulle competenze soft

scritto da il 17 Luglio 2023

Post di Gianmarco Pinto CEO e Co-founder di Game2Value – 

Gestire un processo di selezione del personale è da sempre, per tutte le aziende, estremamente complesso da governare e molto spesso non porta a un risultato soddisfacente. E, sarà una banalità, ma non c’è niente di più demotivante dell’assumere la persona sbagliata all’interno della propria azienda (sia per l’azienda che per la persona, che si troverà in un contesto non adatto a sé). Potrebbe sembrare un’affermazione molto forte, ma i dati parlano chiaro: quasi la metà dei processi di selezione (il 46% in un orizzonte temporale di 18 mesi) viene considerato fallimentare. Da una recente ricerca promossa da Linkedin, il 92% dei recruiter afferma che le soft skills sono più importanti delle hard skills, e l’89% afferma che le selezioni falliscono a causa di un mancato matching tra le soft skill del candidato o candidata e la cultura aziendale del nuovo posto di lavoro.

Tanti colloqui e tecnocrazia, per valutare le competenze hard

Il motivo alla base di questo fallimento di processo è principalmente uno: il processo di selezione aziendale è costruito per valutare bene le cosiddette hard skill, ovvero le competenze tecniche, ma non utilizza strumenti e parametri oggettivi per valutare un altro elemento che spesso viene sottovalutato ma è di fondamentale importanza: le inclinazioni, gli elementi culturali e valoriali dei candidati. In due parole: le soft skill.

Se l’abilità durante il colloquio non mostra le soft skills

In Italia, inoltre, il processo di selezione è fortemente improntato sul metodo del colloquio. Una persona che dimostri di essere brillante durante i colloqui, e che nella fase di testing sfoggia competenze tecniche di livello, verrà con tutta probabilità considerata un’ottima candidata. Ma ciò di cui ogni azienda non tiene conto è che l’abilità di mostrarsi al meglio in fase di colloquio non corrisponde necessariamente alle reali soft skills della persona. Perché quella risorsa verrà assunta per fare un determinato lavoro, probabilmente in team, non certo per fare dei colloqui.  Quello che non si sta misurando, insomma, è come poi questa risorsa riuscirà a inserirsi in azienda e quanto davvero le sue soft skill saranno adeguate all’ambiente aziendale dove si andrà a integrare.

Un sistema dispendioso per l’azienda e inutilmente stressante per la persona

Ad oggi, specialmente nel nostro Paese, i processi di selezione molto spesso si rifanno a vecchie logiche che mettono l’azienda nella condizione di spendere moltissime energie nella ricerca. Tipicamente, per selezionare il miglior candidato o candidata possibile per una posizione vacante, le aziende instaurano dei processi di selezione lunghi, a volte sfiancanti, composti da numerosi colloqui. Inoltre, testano candidati e candidate mettendoli sotto pressione, per valutare la reazione e cercare di capire il loro comportamento in una situazione di stress. Sicuramente questo può essere un metodo di valutazione, ma non è di sicuro l’unico né il migliore, e soprattutto non garantisce che poi la persona si troverà a suo agio in azienda né che l’azienda si troverà bene con questa persona.

Il lavoro è un posto dove lavorare o stare bene? O tutt’e due?

Tutto questo sta diventando sempre più chiaro negli ultimi anni, in cui le nuove generazioni sono sempre più convinte che il posto di lavoro debba essere un luogo dove stare bene e sono disposte a licenziarsi nel caso in cui non fosse così. Sappiamo tutto ormai del fenomeno della “Great Resignation”, l’ondata delle grandi dimissioni. Soprattutto dopo la pandemia, milioni di lavoratori in tutto il mondo hanno deciso di cambiare lavoro, ricercando non solo stipendi e condizioni migliori, ma soprattutto organizzazioni più in linea con le proprie aspirazioni valoriali, culturali e caratteriali. In Italia, tra il 2022 e il 2023, sono stati oltre 1,6 milioni i lavoratori che hanno deciso di cambiare lavoro e azienda alla ricerca di prospettive professionali migliori.

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Immagine di Mimi Thian per Unsplash

Le nuove competenze trasversali post-pandemia

Come noto, la pandemia ha impattato notevolmente sul mondo del lavoro e ha modificato non solo le priorità ma anche le attitudini delle persone. Paragonando i risultati degli assessment condotti prima della pandemia con quelli post-pandemia è emerso che le persone hanno sviluppato nuove competenze trasversali: molti lavoratori hanno infatti maturato una maggiore focalizzazione verso gli obiettivi personali e una maggiore capacità nell’affrontare le situazioni critiche, mantenendo alta la concentrazione sulle attività, e adottando un atteggiamento più deciso e risoluto. Ma rimane un problema di fondo: come possono le aziende intercettare queste nuove attitudini?

Rivoluzionare il modo di fare selezione è possibile, grazie alla tecnologia

La soluzione a questo dilemma esiste ed è offerta dagli innumerevoli strumenti che l’evoluzione tecnologica ci mette a disposizione. Oggi la tecnologia può venire in aiuto delle aziende e dei candidati per cambiare radicalmente la cultura della selezione del personale: da un lato, aiutando le aziende a ridurre in modo esponenziale i tempi e le energie necessarie per questo processo, e dall’altro, aiutando le persone candidate a esprimere le proprie competenze e soft skills in un contesto che li metta a loro agio e dia loro la possibilità di dare il meglio.

Come anche il gioco può misurare le competenze

Tutto questo si può fare attraverso lo strumento dei videogame: Game2Value, ad esempio, ha sviluppato dei brevi videogiochi a cui le persone possono giocare durante la fase di selezione e che nascono proprio con lo scopo di far emergere le loro soft skills. Attraverso una storia immersiva, i videogiochi consentono un’osservazione diretta del modo in cui le persone si comportano, interagiscono e applicano le proprie abilità all’interno di un ambiente, le cui variabili sono definite e uguali per tutti. Questo metodo genera un grado di analisi predittivo, sia in termini di comportamenti che di abilità applicate a situazioni molto simili a quelle lavorative. Tutto questo è misurabile perché il gioco restituisce all’azienda dei report individuali o aggregati.

La tecnologia non basta, serve la volontà delle aziende

Ricorrere alle nuove tecnologie permette alle aziende non solo di risparmiare tempo e denaro in fase di selezione, ma anche di ridurre quel margine di errore che potrebbe portare all’assunzione di una persona “sbagliata” rispetto alla cultura aziendale. Ed è un modo valido per cambiare l’approccio alla selezione e andare incontro alle nuove generazioni: permettendo loro di esprimersi in un contesto in cui non siano sotto stress ma a loro agio, concentrate e focalizzate per dare il meglio.

Va da sé che l’innovazione è il mezzo, ma per ottenere risultati differenti e migliori occorre la volontà delle aziende di ribaltare i tradizionali assunti che governano il processo di selezione del personale e di valorizzare realmente le persone con il fine di creare un ambiente in cui tutti si sentano a proprio agio e liberi di dimostrare il proprio valore, contribuendo così alla crescita aziendale.