Se il disagio non dipende dal lavoro. Ecco i 5 disturbi più comuni

scritto da il 26 Luglio 2023

Post di Martina Migliore, psicoterapeuta e Direttrice Formazione e Sviluppo di Serenis – 

Quante volte, negli ultimi anni, abbiamo sentito parlare di burnout? Quante volte ci siamo lamentati del nostro lavoro, dello stress a esso correlato, delle conseguenze negative che un ambiente competitivo e ostile possono avere sul benessere mentale delle persone? E quante persone, negli ultimi anni, hanno scelto di lasciare il proprio posto di lavoro per cercarne uno migliore, più appagante e meno viziato, più affine alle proprie necessità e capace di rispondere a bisogni e desideri rinnovati? Solo nei primi mesi del 2022, secondo il Ministero del Lavoro, si sono registrate 1,6 milioni di dimissioni, oltre il 20% in più rispetto all’anno precedente.

Scoprire la vera fonte del proprio disagio

Senza voler in alcun modo sminuire l’impatto negativo che un ambiente di lavoro tossico e una professione poco appagante, che costringe a orari impensabili e a forzature indesiderate, possono avere sulla psiche delle persone, è altrettanto importante saper individuare con esattezza, o almeno cercare un aiuto per farlo, la fonte del proprio disagio, che non sempre è da ricercarsi solo nel proprio mestiere – che certo occupa uno spazio non indifferente della vita quotidiana – ma che a volte può avere origine altrove ed essere solo più difficile da scovare.

Lavoro

Si pensi, ad esempio, che da un’indagine interna condotta su oltre 3000 pazienti, è emerso che solo il 20% di coloro che iniziano un percorso di psicoterapia denunciando problemi legati al mondo del lavoro riceve una diagnosi correlata. In particolare, dall’analisi risulta che, di quel 20%, le donne rappresentano il gruppo più consistente, il 67%; la fascia di età compresa tra i 25 e i 35 anni, che coinvolge il 46% del campione, è la più compromessa; infine, la categoria degli individui di oltre 45 anni si presenta come la meno coinvolta, dato che solo il 9% manifesta disturbi in questo ambito.

Quanto dipende dal lavoro e quanto da noi

Sul lavoro trascorriamo la maggior parte del nostro tempo, circa 60.000 ore della nostra vita in media, e spesso ci sottopone alle pressioni maggiori: è naturale quindi che faccia da trigger per altre difficoltà psicologiche.

Dallo studio emerge inoltre che, delle persone che si rivolgono ai nostri psicoterapeuti dichiarando di soffrire di difficoltà legate al lavoro, il 37% ha un disturbo di ansia, il 22% intraprende un percorso legato alla crescita personale e il 19% alla mancanza di autostima, il 17% vive problemi relazionali, l’8% fa un percorso legato allo stress, il 7% ha crisi esistenziali, il 6% lavora sull’assertività, il 5% ha problemi di coppia, il 4% ha un disturbo depressivo, il 3% inizia un percorso legato alla gestione dei conflitti e la restante parte manifesta disagi legati a lutto, traumi, disturbi dell’umore, attacchi di panico, comportamento alimentare e sonno.

Confusione negli obiettivi e nelle prospettive

In terapia, di solito, si indagano le difficoltà che la sfera professionale genera nel comportamento quotidiano: non a caso, la capacità di portare avanti una vita lavorativa autonoma è uno dei parametri anche psichiatrici per la salute mentale. Il mondo del lavoro, però, sta cambiando rapidamente e spesso non è in linea con la preparazione accademica dei nostri pazienti. Questo può risultare in una confusione negli obiettivi e nelle prospettive, se si tiene conto anche del peso delle aspettative della famiglia, con le quali viene a crearsi inevitabilmente un gap molto ampio.

Cinque disturbi che possono pesare sul posto di lavoro

Ma come mai, allora, tendiamo a identificare nel lavoro la causa del nostro malessere? Essendo il lavoro uno degli ambiti al quale dedichiamo più tempo nella nostra vita, è facile che dietro ad esso possa nascondersi un altro tipo di disagio. In particolare alcuni disturbi potrebbero acuire le difficoltà lavoro correlate. Ne abbiamo individuate 5:

Disturbi ossessivo-compulsivi:

portano le persone a sovrastimare il proprio carico di responsabilità e a temere le conseguenze che deriverebbero da un eventuale fallimento, percepite come catastrofiche. Il lavoro presuppone capacità organizzative e decisionali e questi fattori colludono con la sintomatologia dei disturbi in questione.

Perfezionismo patologico:

spinge i professionisti a fissare standard altissimi e a legare tutto il proprio valore ai successi in termini di performance. Tutti affrontano giornate più o meno produttive, e questo, per i perfezionisti patologici, diventa un problema insormontabile dal momento che il valore personale per loro dipende da un singolo risultato o da un feedback negativo.

Depressione:

causa una demotivazione e una stanchezza cronica, tra le altre cose. I ritmi lavorativi, per queste persone, possono diventare facilmente insostenibili, anche se basici, e questo non fa che aumentare la loro percezione di non essere abbastanza e la sfiducia in se stessi.

Fobia sociale:

fa temere il confronto con l’altro, percepito come pericoloso e sempre pronto a dare un giudizio negativo. Nel lavoro siamo chiamati al dialogo con i colleghi e con i superiori, situazione che può creare un disagio insostenibile da parte di chi percepisce il minimo cambiamento nelle proprie reazioni corporee e nei segnali dell’altro, che interpreta come altamente giudicante.

Disturbo da deficit di attenzione:

spesso sottovalutato nell’adulto, l’ADHD causa un ventaglio di sintomi molto difficili da gestire e riconoscere, soprattutto se in assenza di una diagnosi e di un percorso psicoterapico infantili. Il lavoro implica organizzazione e rispetto delle scadenze e dell’opinione altrui: tenere a mente tutto e frenare l’impulsività che spinge ad agire senza controllo può diventare complicato.

Quando non dipende da noi: i campanalli d’allarme al lavoro

Concludo sottolineando che, tuttavia, esistono dei campanelli d’allarme che inequivocabilmente afferiscono a problematiche lavorative: per primi, tutti i casi di molestie e pressioni, ma anche l’esistenza di un contesto lavorativo malsano. In buona sostanza, il problema esiste ed è anche corposo: il lavoro e l’iperproduttività costituiscono una fonte di pressione non indifferente, tanto che, a volte, inneggiare al rallentamento, al valore della noia e allo staccare fa sentire ancora più inadeguato chi è abituato a vedersi sempre in corsa.

In questi casi, il primo passo da compiere a tutela del nostro benessere mentale è cercare un consulto con uno specialista. Esistono, infatti, professionisti esperti anche di disturbi e patologie legate alla sfera professionale, capaci di fornire supporto, diagnosi e trattamenti ad hoc somministrati nell’ambito di un percorso di scoperta dell’origine del nostro malessere.