Manager pronti per l’IA? Il rischio di perdere un altro treno

scritto da il 24 Ottobre 2023

Post di Elia Bidut, Strategist in Talent Garden e fellow del think tank Tortuga – 

Da novembre 2022 nel mondo della tecnologia, ma più in generale in tutto il sistema economico, qualcosa è cambiato. Il 30 novembre OpenAI annunciava il lancio di ChatGPT, strumento che oggi non ha bisogno di presentazioni e che ha letteralmente aperto la corsa all’Intelligenza Artificiale (IA). Da quel momento la scena mediatica è stata completamente stravolta da notizie di nuovi record stabiliti dall’IA o dall’impatto atteso sul mercato del lavoro.

Ma tra il rilascio di una nuova tecnologia e la sua effettiva adozione da parte della maggioranza delle aziende passa sempre del tempo, visto che le imprese devono comprendere come sfruttare al meglio le nuove tecnologie. Anche se il tempo di adozione di nuove tecnologie negli ultimi 100 anni si è drasticamente ridotto secondo l’Harvard Business Review, ci sono comunque voluti 10-15 anni per una larga adozione di internet da parte delle imprese. Un fenomeno che nel caso italiano ha sicuramente richiesto più tempo, e che non possiamo ancora dire concluso se guardiamo al tasso di digitalizzazione delle imprese, soprattutto le più piccole.

Cosa potrebbe influire su tale dinamica nel caso dell’IA?

Una grande opportunità

In primis, occorre quantificare l’opportunità. Sebbene la tecnologia sia recente, ci sono già delle stime preliminari sull’impatto che l’IA potrebbe avere sull’economia grazie alla maggiore efficienza e alle nuove opportunità di business. Secondo McKinsey, i benefici potrebbero attestarsi tra i 2,6 trilioni di dollari a 4,4 trilioni di dollari all’anno, pari circa al Pil dell’intero Regno Unito (nel 2021 era di 3,1 trilioni di dollari). Anche per Goldman Sachs l’IA potrebbe portare a una crescita di circa il 7% del Pil globale, pari a circa 7 trilioni di dollari, una stima non troppo distante.

I settori che potrebbero beneficiare maggiormente dall’IA sono quelli dell’high-tech, bancario, farmaceutico, educativo e delle telecomunicazioni, secondo McKinsey, dove la disponibilità di grandi moli di dati è maggiore.

Ma a guardare bene, tali settori risultano essere anche quelli in cui l’Italia presenta una situazione più arretrata rispetto ad altre economie avanzate, complice anche la decrescita della produttività vissuta a partire dal 2000. Mentre le economie avanzate continuavano nella loro crescita, l’Italia è tornata indietro.

Una chiara evidenza della crisi italiana emerge dall’analisi della produttività multifattoriale, che esprime l’efficienza con cui il lavoro e la tecnologia vengono sfruttati per generare un prodotto o un servizio. Mentre le economie avanzate (Oecd average) registrano una – supper lieve – crescita, l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo ad arretrare. Una dinamica sconcertante, se pensiamo che dal 1995 al 2015 è avvenuta la rivoluzione di internet. L’Italia se l’è persa.

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Alla radice del problema

Infatti, numerosi studi sulla crescita italiana hanno evidenziato l’incapacità del Belpaese di sfruttare le potenzialità di internet e del digitale, proprio a partire dalla loro diffusione dal 2000. Altri hanno puntato alla mancanza di un sistema meritocratico e competenze nella governance delle imprese.

Qual è la radice del problema? è difficile individuare una singola causa, problemi complessi richiedono risposte complesse. Come sottolineato dall’Organizzazione per la Cooperazione Internazionale e lo Sviluppo (Oecd) in un suo recente studio sul caso italiano, sono 3 i fattori chiave alla base dell’arretratezza italiana:

1. L’insufficiente livello di competenze e skills dei lavoratori italiani.

2. Le scarse capacità e competenze dei manager .

3. Gli investimenti ridotti in asset immateriali, come la ricerca e lo sviluppo e le conoscenze interne.

Se l’Italia vuole veramente provare a cogliere oggi le potenzialità dell’IA, non deve commettere gli stessi errori del passato. E per farlo deve partire proprio dal capitale umano.

Che cosa dicono i dati

Il DESI – Digital Economy and Societal Index – è un indice elaborato dall’Ue che riassume le prestazioni digitali dell’Europa e tiene traccia dei progressi compiuti dai paesi. Il DESI è costruito aggregando la performance di ogni nazione su indicatori raggruppati in 4 categorie chiave: capitale umano, connettività, integrazione delle tecnologie digitali, e servizi pubblici digitali. Nell’ultimo rapporto disponibile, l’Italia si posizionava al 18esimo posto nella classifica generale tra i 27 paesi europei. Eppure l’Italia nel 2022 era comunque la terza economia europea per dimensione. è stato proprio lo scarso punteggio raggiunto nella valutazione del capitale umano ad aver contribuito particolarmente a questo risultato.

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Focalizzandosi sugli indicatori DESI dedicati al capitale umano emergono importanti evidenze. In primis, c’è ancora un’ampia fetta di popolazione che non gode di competenze digitali nemmeno di base, con 9 punti percentuali di distacco rispetto alla media europea. E anche la quota di individui con competenze digitali avanzate è sotto alla media. Scontiamo anche un ridotto numero di specialisti delle tecnologie informatiche (TIC), e un ridotto numero di laureati nel settore. Ma è la formazione nelle tecnologie digitali a rappresentare un enorme problema: non solo è del 25% inferiore alla media europea, ma l’Italia ha peggiorato sensibilmente la propria performance dal 2020.

Agire ora

Da dove partire? L’Oecd evidenza che la qualità manageriale è fondamentale per sostenere la crescita della produttività a livello aziendale. I manager hanno infatti un ruolo chiave nella scelte delle strategie, nell’allocazione delle risorse, e nella formazione formale e informale dei dipendenti.

Ma in Italia i manager sono meno formati rispetto agli altri paesi europei, essendo contraddistinti prevalentemente da un titolo di istruzione secondario. Quasi il 40% dei manager nell’economia italiana sono contraddistinti da un titolo di istruzione primario, mentre solo meno del 20% da un titolo terziario (quindi una laurea).

E la dimensione aziendale gioca un ruolo determinante. Le microimprese o PMI, che rappresentano oltre il 90% delle imprese italiane evidenziano un ampio divario nella formazione del proprio management. Chi è piccolo ha infatti maggiore difficoltà ad attrarre personale qualificato, o investire tempo e risorse in attività di formazione.

Ma perché la formazione è così importante per la performance aziendale? Secondo l’OCSE, le aziende con manager più qualificati hanno maggiori probabilità di adottare nuove tecnologie, e con risultati migliori. I manager più formati portano infatti le aziende ad adottare strategie più complesse, con investimenti più ingenti. Ma l’influenza dei manager non finisce qui: le imprese con manager più formati riescono a sfruttare le complementarietà tra conoscenze e tecnologie, abilitando un circolo virtuoso.

Minori sono le competenze, maggiori le difficoltà nel comprendere le evoluzioni dello scenario competitivo e nel realizzare le nuove necessità tecnologiche dell’impresa o di formazione della propria forza lavoro. Per dirla in breve: si smette di stare al passo coi tempi, e non ci si rende conto tempestivamente dei cambiamenti che devono essere attuati.

Che cosa si aspettano le imprese

Come viene percepita l’IA nelle aziende? Quali sono le aspettative dei manager su questa nuova tecnologia? Una recente indagine di McKinsey a livello mondiale, evidenzia come le imprese si aspettano di dover modificare profondamente la struttura della propria forza lavoro.

Oltre il 43% degli intervistati si aspetta una decrescita di almeno del 10% della forza lavoro nei prossimi 3 anni. Al contempo, emerge la forte esigenza di formare i dipendenti: oltre il 38% degli intervistati ritiene che almeno il 20% della workforce dovrà sostenere programmi di formazione.

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L’intelligenza artificiale richiederà quindi enormi investimenti in competenze, soprattutto in settori critici come quello dei dati, dello sviluppo software e della data analysis, e una riconversione di funzioni aziendali tradizionali (come le vendite, il marketing, le Risorse umane) per poter sfruttare al meglio le potenzialità dell’IA.

Occorre muoversi ora per non perdere anche questa volta il treno del futuro.