Airbnb, affitti brevi e Partite Iva: vantaggi e svantaggi del ribaltone

scritto da il 20 Novembre 2023

Post di Gianluca Tirri, co-fondatore e Managing Director di Quickfisco – 

Si è parlato molto negli anni recenti di economia della condivisione, un modello basato sullo scambio di beni più che sul possesso, che negli ultimi tempi ha aperto svariate opportunità di monetizzazione per le persone, ma che ha al contempo posto diversi quesiti in merito alla sua regolamentazione, tutt’oggi non pienamente definita, a seconda che si tratti di piccoli proprietari o aziende o di colossi globali come Airbnb.

In particolare, c’è un aspetto che ha suscitato un acceso dibattito sul tema: la distinzione tra attività svolta a livello non professionale e professionale, da cui deriva la necessità o meno per chi mette a disposizione un proprio bene o servizio di aprire la Partita IVA, poiché questa condivisione genera un reddito. In Italia non esiste ancora una specifica norma che definisca questi aspetti e per essere in regola bisogna allinearsi a quanto previsto in materia di lavoro autonomo. La distinzione, a questo punto, riguarda la frequenza e la modalità con cui si svolge tale attività: se è continuativa e svolta in maniera organizzata, quindi professionale, scatterà l’obbligo di aprire una Partita IVA, in regime forfettario o semplificato a seconda del caso.

Naturalmente, però, ogni settore ha le proprie specificità e regolamentazioni, per cui diventa fondamentale avere chiaro il quadro della situazione per comprendere il destino di questi settori economici emergenti e le dinamiche normative a livello nazionale e internazionale.

Airbnb, dalla rivoluzione dell’hospitality alle nuove regolamentazioni

Il caso di Airbnb è rappresentativo dell’impatto della regolamentazione sul settore degli affitti: quando è nata, la piattaforma ha infatti rivoluzionato il concetto di ospitalità, creandosi una fetta di mercato sempre più consistente e posizionandosi come alternativa al tradizionale, e spesso più costoso, soggiorno in hotel. Una crescita derivata in gran parte dalla mancanza di una normativa che regolamentasse in modo stringente gli affitti tra privati.

Nata in California nel 2008 da un’idea di Brian Chesky e Joe Gebbia come risposta a un bisogno personale, la difficoltà nel pagare l’affitto, Airbnb ha vissuto sin da subito una crescita importante, superando il milione di prenotazioni nel 2011 nelle 8000 città nel mondo in cui la piattaforma si era già espansa. Airbnb raggiunge il culmine del suo successo nel 2020, quando viene quotata 100 miliardi di dollari, abbandonando definitivamente la definizione di startup e diventando un gigante dell’hospitality a tutti gli effetti[1].

Le città turistiche in rivolta contro Airbnb

Nel corso del 2023, però, la popolare piattaforma di home-sharing finisce nell’occhio del ciclone dopo che alcune delle principali città turistiche del mondo hanno cominciato a muoversi concretamente per limitare gli affitti brevi che, secondo i sostenitori di questa posizione, contribuirebbero all’esponenziale aumento dei prezzi e inasprirebbero una situazione immobiliare già molto precaria.

airbnb

Le principali motivazioni dietro alla scelta di normare realtà come Airbnb sono due: da un lato il problema della carenza di appartamenti e stanze per gli abitanti della città, in favore di svariate proposte per turisti e visitatori, dall’altro l’incremento dei prezzi per chi vorrebbe acquistare o affittare una casa in località considerate attrattive per il turismo[2]. Questi aspetti hanno trovato riscontro in alcune ricerche sul tema: secondo uno studio di Harvard Business Review, l’aumento dell’1% del prezzo di listino di una piattaforma come Airbnb corrisponde a una crescita dello 0,018% degli affitti residenziali e dello 0,026% del costo delle case[3].

Un potente giro di vite che inizia da New York

La prima città a puntare su un regolamento molto restrittivo di Airbnb è stata New York, dopo l’introduzione a settembre della Local Low 18. In particolare, la nuova regolamentazione prevede che l’host si registri con la città per poter affittare sotto i 30 giorni e che questa registrazione venga approvata dalle piattaforme per verificarne la legittimità. Infatti, oggi il numero di affitti registrati è molto minore rispetto a quelli presenti sulla piattaforme ed è per questo che in futuro gli host saranno obbligati a mostrare il codice di registrazione sull’annuncio. L’affittuario dovrà poi essere presente durante il periodo di permanenza degli ospiti, condividendo con questi le aree comuni dell’immobile. Infine, non sarà concesso l’affitto a più di due persone per volta.

Questa mossa, che avrà come conseguenza la rimozione di numerose strutture dalle liste, è l’ultimo e più radicale passo di una querelle che va avanti da anni tra le destinazioni turistiche e le compagnie di home-sharing.

Effetto Airbnb, come cambia la cedolare secca in Italia

Quello degli affitti brevi è un tema molto caldo anche in Italia, dove i prezzi degli immobili in vendita e affitto crescono costantemente e sono sempre più le soluzioni a breve termine e sempre meno quelle per residenti o fuorisede in cerca di un alloggio. Importanti novità dovrebbero essere introdotte con la Manovra di Bilancio 2024: in particolare, l’attuale testo prevede il mantenimento dell’aliquota della cedolare secca al 21% per la prima casa impiegata negli affitti brevi, e l’aumento al 26% sarebbe riservato alle locazioni di durata non superiore a 30 giorni, quando gli immobili destinati alla locazione breve siano due o più. L’attuale bozza di legge ha poi confermato l’introduzione del Codice Identificativo Nazionale (CIN), che consentirà di tracciare i proprietari e di ridurre l’evasione fiscale, imponendo la registrazione su una piattaforma telematica nazionale.

Evasione fiscale, il maxi sequestro per omessa dichiarazione fiscale

In parallelo alla diffusione della prima bozza della legge di Bilancio 2024, il colosso dell’hospitality Airbnb è stato condannato per evasione fiscale ed è stato disposto un maxi sequestro della Guardia di Finanza di oltre 779 milioni di euro. In particolare, si è contestato ad Airbnb di non aver versato, in qualità di sostituto d’imposta, la cedolare secca al 21% per il periodo compreso tra il 2017 e il 2021 e il reato di omessa dichiarazione fiscale. Airbnb Ireland fa sapere che da giugno 2023 sono in corso delle trattative con l’Agenzia delle Entrate per risolvere la questione e chiarisce di aver sempre agito nel rispetto delle normative fiscali.

La normativa ad oggi in vigore (art. 1 comma 595, della Legge n. 178/2020) prevede che superata la soglia di 4 immobili, oltre a venir meno la possibilità di godere della tassazione agevolata – che esonera i locatori dal pagamento dell’imposta di registro, dell’imposta di bollo e delle addizionali IRPEF – opera la presunzione di imprenditorialità e scatta l’obbligo di aprire la Partita IVA. A seconda delle modalità con cui il locatore gestisce l’attività, se in regime forfettario o ordinario, in società o individualmente, sorgono diversi adempimenti fiscali e amministrativi, che possono differire in base alla sede in cui è ubicato l’immobile: pertanto, occorre verificare sempre la normativa comunale di riferimento.

L’inizio di una nuova epoca nella sharing economy 

Alla luce delle recenti novità si può confermare che sia iniziata una nuova epoca di rivoluzione dell’economia della condivisione. Questo modello rimarrà e continuerà a svilupparsi, sia perché ormai è radicato nella società un mindset improntato alla condivisione più che al possesso, sia perché ha portato alla luce una serie di opportunità di rendita per i singoli, che nel tempo si sono regolamentati in maniera differente rispetto ai professionisti.

Questo, però, ha creato un problema di concorrenza sleale da un lato, poiché alcuni privati hanno cominciato a strutturarsi continuando a usufruire di benefici pensati per attività amatoriali, e dall’altro ha esacerbato una situazione immobiliare molto delicata. Questa situazione ha prodotto conseguenze a livello globale, come dimostrano i casi esemplari ma non isolati di New York e dell’Italia, che hanno aperto la strada a un ridimensionamento del modello economico in cui chi guadagna in maniera continuativa e quindi professionale sarà considerato un imprenditore.

Se è innegabile che la grande attrattività dalla sharing economy è sempre derivata proprio dalle diverse applicabilità e opportunità di introito, va anche considerato che un modello dal contorno normativo così offuscato rischia di porre alcuni seri problemi di legalità, concorrenza e sicurezza che finirebbero per danneggiare tutte le parti coinvolte.

Perché l’apertura della Partita IVA può essere conveniente

Non va poi dimenticato che, almeno in Italia, l’apertura della Partita IVA può in alcuni casi essere molto conveniente: per esempio, in presenza dei requisiti, se si opta per il regime forfettario, non è prevista l’applicazione dell’IVA e i compensi fino a 85.000 euro annui, sono assoggettati ad aliquota del 15% (del 5%, per i primi 5 anni, in caso di nuova attività). In regime forfettario, per questa specifica categoria è previsto un coefficiente di redditività del 40%, questo significa che l’aliquota del 15% o del 5% non si applicherà su tutti i ricavi conseguiti ma solo sul 40%, in quanto il legislatore considera il restante 60% dei costi sostenuti per l’esercizio dell’attività (ad esempio, vi rientrerebbero le commissioni applicate da Airbnb).

Per concludere, va detto che il turismo in Italia rappresenta una fonte indispensabile per il prosperare dell’economia, ragion per cui è necessario trovare soluzioni che più che limitare e impedire abbiano lo scopo di migliorare, definendo una linea normativa a beneficio di chi ha saputo portare valore alle località turistiche.

NOTE

[1] A Journey Through Time: The Fascinating History Of Airbnb

[2] New York Crackdown On Airbnb Is Starting: Here Is What To Expect

[3] Is There an Airbnb Housing Crisis? And Is A Crash Coming?