Civiltà e declino, la lezione di Ibn Khaldûn per un mondo complesso

scritto da il 25 Aprile 2024

È difficile preservare la civiltà”.

– Ibn Khaldûn (2015).

Chi era Ibn Khaldûn?

Poco conosciuto sulla sponda nord del Mediterraneo, Ibn Khaldûn[1] fu un pensatore visionario del 1300.

Mentre l’Europa era ancora immersa nel Medioevo, anticipò idee, concetti e metodi delle scienze umane – elaborati secoli dopo da studiosi del calibro di Machiavelli, Vico, Montesquieu, Smith, Ricardo, Comte, Marx, Durkheim e Weber.

Visse un’epoca di sconvolgimenti, che gli ispirò una teoria ciclica della storia.

L’epoca d’oro [2] della civiltà arabo-musulmana era appena tramontata, lasciando un clima di stagnazione intellettuale, artistica e scientifica.

Nel XIV secolo il mondo era in subbuglio. Guerre, lotte dinastiche, carestie e pestilenze flagellavano il Mediterraneo e il mondo arabo-musulmano. Due potenze transcontinentali si stavano dando il cambio sulla scena geopolitica: il Califfato Abbaside [3] era crollato, l’Impero Ottomano [4] iniziava la sua ascesa.

Nel Maghreb (“Occidente” in Arabo, l’Africa settentrionale ad ovest dell’Egitto), il Califfato Almohade [5] era caduto da decenni, frammentando la regione in regni rivali[6]. Nella penisola iberica, la Riconquista cristiana dei regni moreschi spingeva i musulmani verso il sud di al-Andalus, ormai ridotto al Sultanato di Granada.

Il Mashrek (“Oriente”, l’area del “Levante”), non ancora ripresosi dalle invasioni mongole del secolo precedente, era preda di un’ulteriore campagna di conquista – guidata dal guerriero-imperatore Timur Lang (Tamerlano) – le cui ripercussioni portavano caos e instabilità anche in Nord Africa.

Ibn Khaldûn rilevò in questi sviluppi un’ “andamento circolare nel tempo” e maturò una teoria ciclica della storia, simile a quella elaborata da Vico quasi quattro secoli dopo.

Un intellettuale di potere

Nato a Tunisi nel 1332 da una nobile famiglia sivigliana di origine araba[7], Ibn Khaldûn ricevette un’educazione completa e raffinata – che spaziava dalla filosofia alla matematica, dall’astronomia alla linguistica, dal diritto alla logica. Studioso di al-Biruni, Avicenna, Averroè e al-Tusi[2], si dedicò con passione sia alla politica che all’accademia.

Ibn khaldun

Statua di Ibn Khaldûn a Tunisi

Le sue capacità gli consentirono di entrare nelle cerchie ristrette dei sovrani marocchini, tunisini, algerini e granadini. Nelle corti più prestigiose del Mediterraneo islamico poté osservare da vicino il ricorrere delle dinamiche del potere. La sua carriera fu costellata di successi e incarichi di rilievo, ma anche di momenti turbolenti, esili e incarcerazioni.

Ricevette, all’età di cinquant’anni, una cattedra all’Università di al-Azhar al Cairo e divenne, per un breve periodo, il capo qadi (giudice) dell’Egitto. Tenuto in grande considerazione dal sultano mamelucco d’Egitto e Siria, fu inviato a incontrare Tamerlano, che ambiva alla conquista della Siria. I due si incontrarono fuori dalle mura di Damasco e il loro colloquio durò ben quaranta giorni.

Morì al Cairo nel 1406.

Opera monumentale, metodo innovativo e interdisciplinare

L’opera più celebre è la Muqaddimah (“Introduzione”, di circa millecinquecento pagine) della sua storia del mondo: il Kitāb al-’Ibar, un dizionario enciclopedico in sette volumi. In essa, Ibn Khaldûn spazia dalla storia alla filosofia, dalla politica all’economia, dalla sociologia all’antropologia.

In primis, però, definisce il metodo di lavoro, distinguendo due tipi di scienza: quella rivelata, basata sulla religione e attinente alla sfera morale, e quella razionale, fondata sulla ragione e libera da dogmi e profezie, che si avvale di logica, fisica e matematica.

La scienza razionale, secondo Ibn Khaldûn, è il pilastro portante dell’osservazione empirica, della sperimentazione scientifica e della verifica delle ipotesi. L’enfasi posta sull’importanza del dubbio critico e sulla ricerca di leggi universali anticipa di quasi cinquecento anni l’emergere del positivismo in Europa.

Rivoluzionando la prassi dei tempi, Ibn Khaldûn rifiuta la visione della storia come mera narrazione di eventi passati, spesso intrisa di miti e celebrazioni eroiche. Anticipando la storiografia moderna, propone un approccio rigoroso, basato sull’analisi delle fonti e sulla verifica dei fatti. La storia è una scienza da studiare con obiettività e realismo politico, con l’obiettivo di “capire le cause ultime degli eventi”.

In altre parole, Ibn Khaldûn propone una teoria socio-antropologica e ciclica dei processi sociali, segnando il passaggio da una visione statica e provvidenziale a un’analisi dinamica e razionale.

Senso di appartenenza e coesione sociale: le fondamenta della civiltà

Secondo Ibn Khaldûn, la cultura e la religione svolgono un ruolo fondamentale per la nascita e lo sviluppo di una civiltà, perché contribuiscono a generare un forte “senso di appartenenza” (asabiyah) tra gli individui, elemento essenziale per la coesione sociale.

Un forte senso di appartenenza crea anche la concordia minima necessaria per le imprese di gruppo – in particolare la guerra e la conquista del potere – ed è dunque un elemento essenziale per la prosperità.

Dopo aver analizzato la storia delle civiltà, Ibn Khaldûn distingue due categorie sociologiche principali e ne fornisce dettagliate descrizioni antropologiche:

1. Le Civiltà nomadi, formate da “tribù del deserto e della steppa”. Queste comunità conducono una vita dura, caratterizzata da privazioni e da un ambiente ostile. Per sopravvivere, i nomadi sono costretti a cooperare tra loro, con strutture di leadership e controllo sociale basate su legami di comunità e parentela e su tradizioni e costumi condivisi; e

2. Le Civiltà sedentarie, composte dai “raffinati artisti e mercanti della città”. Queste società si caratterizzano per un elevato livello di comfort materiale, un’ampia gamma di attività economiche, strutture sociali complesse e stratificate e un crescente individualismo (Ibn Khaldûn, 2015).

Ibn Khaldûn sottolinea che il senso di appartenenza è più forte e rimane più solido nel tempo nelle civiltà “nomadi” che nelle civiltà sedentarie (le “città”).

La teoria del declino in tre generazioni: un ciclo inevitabile?

Secondo Ibn Khaldûn, dinastie e civiltà seguono cicli di ascesa, apogeo e declino, determinati da fattori economici, sociali e politici. In particolare, egli sostiene che le tribù nomadi, grazie al loro stile di vita austero e rigoroso, siano predisposte a conquistare le città, insediarsi come nuovi governanti e dare vita a nuove dinastie. Tuttavia, questo ciclo di prosperità è destinato a esaurirsi nel corso di tre generazioni.

Prima generazione: vigore e conquista. La prima generazione di nomadi, insediatasi nella città conquistata, conserva ancora forte il senso di appartenenza e le virtù che avevano permesso loro la conquista. I nuovi governanti sono vigorosi, laboriosi e capaci di guidare la società verso la stabilità e la prosperità. La città è in grado di difendersi dalle incursioni delle tribù nomadi rivali.

Seconda generazione: agio e declino. La seconda generazione, nata e cresciuta nella città conquistata, vive in un contesto di agio e ricchezza. Il lusso e l’ozio gradualmente erodono le virtù che avevano caratterizzato la generazione precedente. I cittadini si dedicano sempre più a piaceri effimeri, trascurando il lavoro e la cura del bene comune. Aumenta la spesa pubblica, anche per finanziare attività non necessarie, mentre il risparmio diminuisce, indebolendo l’economia. La dinastia regnante – ormai lontana dalle esigenze del popolo e abituata al lusso e alla raffinatezza – perde la capacità di governare con saggezza e giustizia. Per mantenere livelli di spesa sempre più elevati, i governanti impongono tasse sempre più onerose ai sudditi, alimentando il malcontento e la disaffezione. Inevitabilmente, la vita sedentaria erode il senso di appartenenza.

Terza generazione: decadenza e crollo. Nella terza generazione, il processo di decadenza accelera. I governanti e i governati “diventano molli e depravati”, la coesione sociale si sgretola e conflitti interni minano la stabilità del regno. L’oppressione fiscale soffoca la società, le entrate statali diminuiscono drasticamente e il deficit aumenta. Il senso di appartenenza svanisce, lasciando spazio a individualismo e apatia. La società ormai fragile e demoralizzata non è più in grado di difendersi dalle nuove incursioni dei nomadi provenienti dal deserto. Questi, sfruttando la debolezza del regno, conquistano la città, rovesciano la dinastia decadente e danno vita a un nuovo ciclo di ascesa e declino.

Precursore di modernità con idee innovative

Le intuizioni di Ibn Khaldûn – e la metodologia scientifica da lui applicata allo studio della società e della storia – lo elevano a figura di primo piano tra i fondatori della storiografia, della sociologia e dell’economia.

La sua teoria ciclica della storia, pur risentendo del contesto storico e culturale in cui visse, si basa su un’analisi rigorosa di casi di studio provenienti da diverse regioni del mondo allora conosciuto.

Secondo Ibn Khaldûn, l’evoluzione degli eventi storici – più che dipendere dall’interferenza di forze divine o dall’azione di eroi individuali – è il risultato di complesse interazioni tra fattori antropologici, economici e politici.

Anticipando concetti chiave, sottolinea l’importanza fondamentale dell’agricoltura, del commercio e della produzione industriale nello sviluppo e nella crescita delle civiltà. Non da meno, riconosce l’influenza dei cambiamenti climatici sulle migrazioni e sulle conquiste.

Precursore del pensiero economico: anticipazioni di teorie classiche e moderne

Le idee di Ibn Khaldûn su temi economici come la teoria del valore, la divisione del lavoro, la crescita economica, la tassazione e la scarsità delle risorse anticipano di secoli concetti sviluppati da economisti classici e moderni.

Valore e lavoro. Ibn Khaldûn sosteneva che il valore di un bene derivasse dal lavoro necessario per produrlo, anticipando il pensiero di economisti quali Smith, Ricardo e Keynes. Inoltre, riteneva che la prosperità di una civiltà dipendesse dalla produttività e dall’impegno dei cittadini, spinti dal proprio interesse e dalla ricerca del profitto – un’idea non lontana dalla “mano invisibile” di Adam Smith.

Ibn Khaldûn comprese anche la soggettività del valore, precorrendo gli economisti austriaci, per esempio Ludwig von Mises and Friedrich von Hayek. Descrisse in dettaglio il gioco di domanda e offerta che determina il prezzo di un bene, sottolineando come questo variasse in base alle condizioni del mercato. Ad esempio, osservò che il prezzo del grano aumentava quando la domanda era alta (durante una carestia) e diminuiva quando la domanda era bassa (dopo un raccolto abbondante).

Domanda aggregata e consumo. Ibn Khaldûn comprese l’importanza del consumo, degli investimenti e della spesa pubblica per la ricchezza di una nazione, anticipando il concetto di domanda aggregata. In altre parole, sostenne che un flusso di spesa pubblica adeguato stimolasse la produzione, in consumi e la crescita economica, precorrendo John Maynard Keynes (Acemoğlu and Robinson, 2012).

Economia dell’offerta e curva di Laffer. Ibn Khaldûn preconizzò anche i principi chiave dell’economia dell’offerta (conosciuta in inglese come supply-side economics) e della curva di Laffer. Era infatti convinto che una riduzione delle tasse, una minore regolamentazione e il libero scambio favorissero la crescita economica. Inoltre, osservò che livelli di tassazione eccessivi potevano portare:

1. a una diminuzione delle entrate fiscali[8], idee che saranno poi formalizzate da Arthur Laffer, che secoli dopo asserì la relazione non lineare tra aliquote fiscali e gettito erariale; e

2. al declino di una civiltà, perché disincentivano l’attività economica, diminuendo le entrate fiscali e indebolendo lo Stato. Questa idea è da lui supportata con esempi storici, quali la caduta degli Abbassidi[3] e dei Fatimidi[9].

Etica del lavoro e austerità. Come Lutero e Calvino, Ibn Khaldûn credeva che il duro lavoro e la frugalità fossero essenziali per il successo individuale e la prosperità collettiva. Considerava l’austerità una virtù e la padronanza dei mestieri un’espressione del favore divino, concetti che ricordano l’etica del lavoro protestante analizzata da Max Weber (1905).

Pioniere della sociologia moderna: paralleli con i grandi pensatori

Anticipando di secoli il lavoro dei sociologi moderni, Ibn Khaldûn pose le basi per la creazione di una scienza specifica dedicata allo studio della società umana. Aspirava a una disciplina autonoma e basata su un approccio comparativo standardizzato, simile a quella che Marx, Weber e Durkheim avrebbero poi sviluppato.

Attraverso l’analisi di diverse società, Ibn Khaldûn si prefiggeva di identificare fenomeni comuni a tutte le realtà umane, preannunciando il lavoro di Talcott Parsons (1983) sulla ricerca di modelli universali di organizzazione sociale (Martinelli and Smelser, 1992).

Analizzò il rapporto tra politica, economia e sviluppo. Era convinto dell’esistenza di un ordine sottostante al corso della storia, di un filo conduttore che collega tra loro le civiltà e i loro cicli di ascesa e declino. Riteneva dunque che lo studio della storia potesse rivelare i migliori approcci politici e sociali per favorire il progresso di una società, anticipando in parte le teorie della modernizzazione, che individuano la chiave del progresso in modelli strutturati di sviluppo (Habermas, 1990; Inglehart and Welzel, 2005; Martinelli, 2005).

Riconobbe la necessità di uno Stato forte per garantire l’ordine e limitare le ingiustizie all’interno della società. Tuttavia, Ibn Khaldûn non mancò di sottolineare il paradosso inerente al potere statale: per raggiungere i suoi obiettivi, lo Stato stesso è costretto a ricorrere alla forza. Questo dilemma richiama alla mente le riflessioni di Hobbes, Machiavelli (1531) e Weber (1947) sulla natura del potere[10]. Con acume, Ibn Khaldûn definì il governo come “un’istituzione che previene l’ingiustizia, salvo quella che commette essa stessa” (Ibn Khaldûn, 2015).

Le sue analisi sull’importanza dell’appartenenza a un gruppo e dell’identità collettiva come strumenti di controllo sociale e di conquista anticipano le riflessioni di Marx ed Engels sul ruolo dell’ideologia e della classe sociale (Marx and Engels, 1848), così come l’analisi di de La Boétie (1576) sulla sottomissione volontaria al potere.

Conclusioni: l’eredità di Ibn Khaldûn

Nonostante il suo valore intellettuale, il pensiero di Ibn Khaldûn rimane ancora poco conosciuto e studiato al di fuori del mondo arabo. La sua eredità teorica non ha ancora ricevuto il pieno riconoscimento che merita.

Ibn Khaldûn fu un pensatore universale di eccezionale levatura, in grado di trascendere i confini della sua epoca. Le sue idee innovative e il suo metodo scientifico rigoroso lo resero un precursore della sociologia, dell’economia e della storiografia moderne.

La sua teoria ciclica della storia, che descrive l’ascesa e la caduta delle civiltà, può essere applicata a diverse epoche e contesti, e anticipa le teorie di pensatori come Vico, Montesquieu e Spengler, offrendo una visione dinamica e complessa del progresso umano.

La sua analisi del rapporto tra religione e società getta luce su questioni dibattute ancor oggi, precorrendo le riflessioni di studiosi come Weber e Durkheim. La sua enfasi sul ruolo cruciale della coesione sociale nello sviluppo delle civiltà ha anticipato le teorie di Parsons e Merton, sottolineando l’importanza della solidarietà e della cooperazione per il benessere collettivo.

La sua disamina del ruolo dell’economia e del potere nelle dinamiche delle civiltà anticipa le opere di economisti come Smith, Ricardo e Marx, offrendo una prospettiva olistica sulle forze che plasmano il corso della storia. La sua analisi del legame tra lusso, tasse, crisi economica e declino delle civiltà offre spunti di riflessione per comprendere le sfide del mondo contemporaneo.

Ibn Khaldun

Ibn Khaldun, illustrazione

La visione universale di Ibn Khaldûn è risorsa preziosa per il dialogo interculturale, offrendo un ponte tra diverse tradizioni di pensiero. Il suo lavoro assume particolare importanza in due contesti specifici:

I. Società non occidentali: Ibn Khaldûn fornisce una lente preziosa attraverso cui decostruire le narrazioni eurocentriche della storia, offrendo alle società non occidentali una voce e una prospettiva autonoma per comprendere il proprio passato e presente (Said, 1978; Williamson, 2008).

II. Dinamiche di potere odierne: L’analisi del potere e delle relazioni tra le civiltà (Ibn Khaldûn, 2015; Foucault, 2007) offre spunti cruciali per comprendere le complesse sfide globali del XXI secolo, caratterizzato da tensioni geopolitiche in continua evoluzione.

Recuperare e approfondire il pensiero di Ibn Khaldûn non solo arricchirebbe la comprensione del passato, ma fornirebbe anche strumenti preziosi per affrontare le sfide del presente.

Su X: @AMagnoliBocchi

Su LinkedIn: Alessandro Magnoli Bocchi

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NOTE

[1] All’anagrafe Walī al-Dīn Abū Zayd ‘Abd al-Raḥmān ibn Muḥammad ibn Muḥammad ibn Abī Bakr Muḥammad ibn al-Ḥasan ibn Khaldûn al-Ḥaḍramî.

[2] Tra l’VIII e il XIII secolo, il mondo islamico visse una fioritura culturale e scientifica conosciuta come “epoca d’oro”. In un clima di apertura intellettuale, la religione incoraggiava la ricerca in ogni campo. Baghdad, Cordova, Il Cairo e Samarcanda divennero centri di cultura che attiravano studiosi da tutto il mondo. La diffusione del sapere fu facilitata dall’invenzione della carta e dalla fondazione di biblioteche. In questo contesto si affermarono Mohammed bin Musa al-Khawarizmi (770-840), il matematico che introdusse il concetto di algoritmo e fondò l’algebra; Abu Raihan al-Biruni (973-1048), considerato il padre della scienza moderna, Abu Ali ibn Abdillah ibn Sina (Avicenna) (981-1037), medico, filosofo, matematico e astronomo; Abul Walid ibn Rushd (Averroè) (1128-1198), filosofo, medico e giurista; e Nasser al-Din al-Tusi (1201-1274), matematico, astronomo e teologo, uno dei più grandi scienziati musulmani. Tradotte in latino e studiate in Europa, le loro opere in svariate discipline influenzarono il pensiero di Galileo Galilei, Isaac Newton e Roger Bacon, gettando le basi per il progresso scientifico occidentale. L’eredità dell’epoca d’oro islamica è a tutt’oggi fondamentale per comprendere la storia della conoscenza e per costruire un futuro di dialogo interculturale.

[3] Califfato Abbaside (750-1258). Uno degli imperi più vasti di sempre, esteso dall’Algeria al Pakistan, erede del Califfato Omayyade. Circa 500 anni di dominio, segnati da splendore culturale e scientifico, ma anche da fragilità interna e invasioni esterne. La caduta di Baghdad, la capitale, sotto i colpi dei Mongoli di Hulagu Khan (nipote di Gengis), ne decretò la fine nel 1258.

[4] Impero Ottomano (fine XIII secolo-1922). Sorto dalla fine del XIII secolo in Anatolia, l’Impero Ottomano si impose come potenza egemone nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Ereditò vasti territori dal Califfato Abbaside, conquistando anche l’Impero Bizantino con la celebre presa di Costantinopoli. Dopo sei secoli di storia, la Prima Guerra Mondiale ne segnò il crollo definitivo nel 1922.

[5] Califfato Almohade (1147-1269). Dinastia berbera che governò su parte del Maghreb e sulla Spagna musulmana, influenzando la cultura dell’epoca nei campi della filosofia, dell’architettura, dell’astronomia e della medicina. Figura di spicco fu Averroè (nome arabo: Abul Walid ibn Rushd) – medico di corte e giudice supremo a Cordova – conosciuto nell’Europa medioevale in quanto commentatore di Aristotele. Le sue opere, tradotte in latino, influenzarono il pensiero filosofico europeo, per esempio Tommaso d’Aquino. Città come Marrakech e Siviglia sono testimonianze tangibili dell’eredità culturale dell’epoca.

[6] I Merinidi in Marocco, gli Hafsidi in Tunisia e le città-stato di Tlemcen, Bougie e Costantina in Algeria, che basavano le loro ricchezze sul commercio dell’oro e dell’avorio proveniente dal Sudan.

[7] Famiglia di alto lignaggio – di letterati, giuristi, alti funzionari governativi e politici – emigrata dall’Andalusia in Tunisia durante la Riconquista, dopo la caduta di Siviglia del 1248.

[8]Quando i cittadini confrontano spese e tasse con il loro reddito e vedono il poco profitto che fanno, perdono speranza. Pertanto, molti di loro si astengono da qualsiasi attività. Il risultato è che il gettito fiscale totale diminuisce (… e …) continua a diminuire, mentre gli importi delle singole imposte e valutazioni continuano ad aumentare. Infine, la civiltà viene distrutta perché l’incentivo all’attività è scomparso” (Ibn Khaldûn, 2015, pp. 90-91).

[9] Califfato Fatimide (909-1171). Potenza islamica del Mediterraneo e Nord Africa, esteso dall’Algeria al Mar Rosso, ebbe nell’Egitto il suo centro. Tra il 973 e il 1056 raggiunse il suo apogeo, caratterizzato da splendore culturale, sviluppo architettonico – per esempio, la Moschea di al-Azhar e il Palazzo al-Mu’izz al Cairo – e tolleranza religiosa. Lotte interne, invasioni esterne da parte dei Crociati in Terra Santa e dei Selgiuchi in Siria, una progressiva frammentazione in regni più piccoli e la conquista del Cairo da parte di Saladino nel 1171 ne decretarono la fine.

[10] Secondo la famosa massima di Weber, “lo Stato è quell’organizzazione che detiene il monopolio sull’uso legittimo della violenza” (Weber, 1947, p. 156).