Stati Uniti in ritirata? Consigli per sopravvivere in un mondo acefalo

scritto da il 09 Maggio 2025

Sede vacante. Gli Stati Uniti si fanno da parte — per calcolo, non per viltà: un retrenchment per contenere il declino. Ma in geopolitica il vuoto non dura: lo riempie la forza, non la ragione. E senza legami stabili, anche l’economia vacilla.

Gestire il tramonto per sopravvivere

«How did you go bankrupt?» «Two ways. Gradually, then suddenly». Così scriveva Hemingway nel 1926. Così cadono gli imperi: prima si sfalda la coesione, poi svanisce la credibilità, infine — di colpo — collassa la struttura.

Roma non cadde in un giorno: fu corrosa da élite ingorde e istituzioni estrattive, incapaci di adattarsi a un mondo che cambiava (Acemoğlu e Robinson, 2012). Alla fine dell’Ottocento, l’Impero Ottomano — ormai guscio vuoto — trascinò la propria irrilevanza per decenni; fu la Prima guerra mondiale a decretarne la fine. L’Unione Sovietica implose nel 1991, più per logoramento interno che per shock esterni.

Gli Stati Uniti non fanno eccezione, e cercano la quadra. Il declino non nasce con Trump, ma con Trump diventa manifesto — e assume i tratti brutali di una liquidazione aziendale. La logica è contabile: il costo dell’egemonia ha superato il suo rendimento. Come un’impresa in crisi, Washington taglia i rami secchi per proteggere il core business.

Un ritiro strategico, non una resa

Washington non abdica, riconfigura la mappa del potere.

Dismette asset geopolitici divenuti zavorra. L’Asia viene lasciata alla Cina, l’Europa alla Russia, il Medio Oriente a Israele (con il sostegno degli Emirati), l’Africa alla penetrazione logistica cinese.

stati Uniti

Il costo dell’egemonia ha superato il suo rendimento. Come un’impresa in crisi, Washington taglia i rami secchi per proteggere il core business (Immagine generata con ChatGPT 4o)

Le Americhe — Nord (Canada e Groenlandia per le risorse), Centro (Panama per il canale) e Sud (Brasile per le materie prime) — tornano centro di gravità strategico, sotto l’egida USA.

È la Dottrina Monroe 2.0: non più difesa dell’ordine mondiale, ma presidio del continente e delle supply chains. L’egemonia si trasforma in amministrazione selettiva degli interessi.

Trono senza re: nessuno impone più regole comuni

Il momento è critico. Il diritto internazionale è diventato facoltativo.

Le violazioni si moltiplicano — spesso da parte di chi si proclama garante dell’ordine globale: i crimini a Gaza, la guerra in Ucraina, le repressioni universitarie da Hong Kong agli USA, il disprezzo per le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia, le tariffe di Trump imposte in violazione del WTO.

Le regole sono svuotate. Senza un’autorità legittimata a farle valere, si riducono a enunciati morali. Ma in geopolitica, la morale scivola in arbitrio.

In questo vuoto normativo, l’Europa è schiacciata tra disimpegno statunitense, assertività russa e ambiguità cinese.

L’economia globale paga il prezzo della frammentazione

L’anarchia normativa ha un prezzo: i mercati diventano campi minati.

L’intelligenza artificiale accelera la de-globalizzazione: il capitale non ha più bisogno di inseguire manodopera nei Sud del mondo, perché ora la genera in casa. È il ritorno del lavoro a basso costo — ma algoritmico, non umano.

Il decoupling — la separazione forzata di economie precedentemente integrate — aumenta i costi. Tariffe, export controls e reshoring riscrivono le catene del valore. Le restrizioni USA sui chip Nvidia hanno generato circuiti paralleli via hub come Johor (Malaysia), dove — tramite data center offshore — le imprese cinesi aggirano le sanzioni.

L’interdipendenza non scompare: si opacizza nell’ombra, diventa non tracciabile. L’efficienza crolla, i costi aumentano, l’innovazione rallenta.

Le stime di crescita globale vengono riviste al ribasso, tra tensioni geopolitiche, protezionismi nazionalistici e politiche industriali incompatibili (IMF, 2025).

Fine del monopolio monetario

Anche il dollaro perde centralità. La fiducia nel sistema USA — giustizia, Federal Reserve, stabilità di bilancio — non basta più. Il declino era in corso, ma oggi accelera (Rogoff, 2025).

Le riserve globali in dollari sono scese sotto il 59% (Blustein, 2025). Nelle transazioni internazionali cresce l’uso di valute locali: yuan, rupie, real, rubli. Anche l’euro comincia a guadagnare terreno.

I segni di debolezza sono chiari. Quando Trump impose le tariffe unilaterali, i mercati reagirono come davanti a un’economia emergente: vendettero dollari. Il biglietto verde si deprezzò, i tassi salirono. Per la prima volta, gli Stati Uniti vennero percepiti come fragili.

E mentre Bruxelles dibatte di euro digitale, Pechino ha già lanciato il digital yuan: blockchain pubblica, transazioni istantanee, bypass totale di SWIFT. Non è solo una valuta: è un’infrastruttura geopolitica implicita.

Sopravvivere senza centro: architetture per l’interdipendenza

L’ordine globale non va difeso. Va rifondato. Le crisi — pandemie, guerre, clima — non sono solo economiche: impongono scelte morali.

Lo Stato-nazione è anacronistico, da solo non basta. Ma nemmeno i vecchi multilateralismi reggono più. Non ci sono più centri, solo nodi. Conta chi connette, non chi comanda.

Serve un nuovo formato: un G-30 esteso, vincolante, funzionale. Un patto tra economie avanzate ed emergenti per fissare un minimo regolatorio comune, frenare il rent-seeking, tassare i paradisi fiscali, investire in beni pubblici digitali — cloud, cybersicurezza, valute digitali sovrane (Rogoff, 2025). Non per restaurare l’unipolarismo USA, né per contenere la Cina. Per evitare il peggio.

Coerenza normativa in un un mondo acefalo

L’Europa può guidare. Non solo aumentando la spesa militare per compensare l’inadeguatezza storica della NATO, ma usando leve più potenti: mercato, norme, credibilità. Le ha già usate con il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), imponendo standard ambientali ai partner commerciali. Può farlo ancora, subordinando l’accesso ai propri mercati a regole comuni — legali, fiscali, climatiche.

In un mondo acefalo, la coerenza normativa dissuade più della forza. Governare l’instabilità non è ambizione. È necessità. O si costruiscono architetture che reggano il peso dell’interdipendenza, o prevarrà la regola del più cinico.

Perché se le regole valgono solo per alcuni, presto non varranno più per nessuno.

 

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BIBLIOGRAFIA