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2025, dominio del dollaro in crisi: opportunità per l’Europa?


L’agenzia di rating Moody’s ha abbassato il rating del debito sovrano Usa (36.000 miliardi di dollari) da Aaa a Aa1. Per dare un’idea l’Italia ha Baa3, la Germania Aaa, la Francia Aa2 e la Spagna Baa1.
Questa decisione si inquadra nella crisi del dollaro e della finanza americana: può essere un’opportunità per l’Europa? Forse, ma partiamo dall’analisi del presente. Gli Stati Uniti spendono più di quanto incassano in imposte, e hanno accumulato un debito di circa 36.000 miliardi di dollari. Nel 2024 secondo Reuters il 55% del debito era in mano a investitori statunitensi, il 25% a stranieri.
Nel 2024, il governo Usa ha messo a bilancio 6.750 miliardi di spesa pubblica, ma incassato solo 4.920 miliardi, con un deficit di 1.830 miliardi. Il mercato finanziario interno non è in grado di sostenere tutto questo deficit, che viene comprato (con i titoli di stato, i treasuries) anche da investitori stranieri, fra cui Cina e Giappone.
In questi mesi di turbolenza tariffaria centinaia di miliardi di investimenti in dollari sono defluiti dagli asset Usa verso porti ritenuti più sicuri, come i bund tedeschi e i franchi svizzeri. Ad aprile 2025 il tasso sugli swiss bonds era negativo: gli investitori preferiscono perdere sul valore nominale piuttosto che comprare treasury Usa decennali al 5%.
Il tasso di interesse sui treasury, passato in poche settimane da 4 a 4,4 (cioè un treasury che valeva 100 scende a 91) sta ora (19 maggio) al 5%. A vendere sono stati asset manager (Blackrock, Vanguard, Citadel), hedge funds e investitori stranieri come banche, fondi pensione, banche centrali.

Pile di banconote da cento dollari pronte per essere contate. REUTERS/Jo Yong-Hak
Comunque nei prossimi mesi, durante l’estate, gli spostamenti di allocazione più importanti, quelli delle assicurazioni e dei fondi pensione, ci diranno quanto è grande il danno per gli asset Usa, cioè quanto scenderà la loro quota in questi fondi, normalmente attorno al 70%. Questi spostamenti sono certi perché fondi pensione e assicurazioni hanno dei meccanismi di aggiustamento del portafoglio quasi automatici, e gli indicatori di queste settimane portano a un disinvestimento dagli asset Usa.
Non solo: la Cina ha circa il 50% delle proprie riserve in asset denominati in dollari, una percentuale che è scesa rispetto a più del 70% nel 2005 (Reuters). La Cina ha oggi circa 800 miliardi di treasury, ma ne aveva 1.300 miliardi nel 2013. Se la Cina comincia a vendere, il valore dei suoi asset diminuisce, i mercati reagirebbero vendendo a loro volta e infliggendo perdite patrimoniali alla Cina stessa. In altre parole gli asset sono un’arma a doppio taglio. Il Giappone invece ha fatto capire chiaramente che userà il suo portafoglio di treasuries (più di 1.000 miliardi di dollari) come arma nelle trattative tariffarie.
Enormi masse di denaro si stanno quindi spostando e si sposteranno nei prossimi mesi da asset denominati in dollari ad altri denominati in valute diverse. Questo flusso in fuga dagli Usa deve trovare sbocco da qualche parte, e la capacità di attrarlo dipenderà da tanti fattori, compreso l’effetto contrario dei maggiori tassi di interesse sul dollaro come contrappeso.
Nel complesso sembra aprirsi una opportunità per l’area dell’euro. È una opportunità che richiede una nuova “narrativa”, come direbbe Robert Shiller: riuscire a convincere gli investitori che l’investimento in euro è più “long” di quello in dollari. Una nuova narrativa che richiede coraggio politico e visione strategica. Ne abbiamo a sufficienza?