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Mobilità elettrica: perché l’Italia insegue Olanda, Francia e Belgio?


Post di Armando Fiumara, Italy Country Manager di Driveco –
Nel 2024 l’Italia ha superato quota 64.000 punti di ricarica pubblici, con una crescita del 27% rispetto al 2023. È un risultato importante, che ci colloca tra i primi Paesi europei per numero assoluto di infrastrutture. Eppure, la quota di mercato dei veicoli elettrici a batteria (BEV) nel nostro Paese si ferma al 5% del totale immatricolato. Un dato ancora lontano da quello dell’Olanda (35%), Belgio (32%) e della Francia (17%). Questa discrepanza racconta molto della nostra transizione energetica: l’infrastruttura è necessaria, ma da sola non basta.
Mobilità elettrica, cosa fanno meglio Olanda, Belgio e Francia
Nella maggior parte dei Paesi europei la decarbonizzazione dei trasporti è stata chiaramente indirizzata dai governi che, oltre a introdurre vantaggi economici e fiscali a favore dell’acquisto dei veicoli elettrici, hanno guidato l’infrastrutturazione dei Paesi incoraggiando gli investimenti privati e lavorando attivamente sullo snellimento della burocrazia e l’adeguamento delle tariffe. Hanno in sostanza adottato un approccio più integrato, puntando sulla capillarità della rete, sulla potenza delle colonnine e su politiche coerenti che coinvolgono industria, fiscalità e urbanistica.
Ma ciò che colpisce di più è la visione: la mobilità elettrica non è trattata come un settore emergente, bensì come una componente stabile dell’economia urbana e industriale. Le città pianificano aree a basse emissioni dotate di ricarica obbligatoria, i parcheggi pubblici sono progettati per integrare l’elettrico fin dalla fase di sviluppo e gli incentivi seguono regole chiare e prevedibili nel tempo. Politiche stabili e un quadro economico e regolatorio chiaro hanno certamente contribuito a convincere i consumatori della convenienza della tecnologia e, di conseguenza, incoraggiato investitori e imprenditori a contribuire attivamente.
Perché l’Italia è indietro, nonostante le colonnine
In Italia l’elettrico fa ancora fatica a decollare. I motivi sono diversi, e noti a chi lavora ogni giorno sul campo. Il primo è certamente legato alla convenienza della tecnologia, o quanto meno alla sua percezione da parte dei consumatori. Negli ultimi anni i produttori di veicoli hanno fatto fatica a offrire in Italia prodotti che fossero competitivi, a causa proprio delle politiche fiscali e dell’assenza di incentivi. Fino a qualche anno fa il prezzo di acquisto di una Tesla Model 3, che è una delle auto elettriche con il miglior rapporto prestazioni-prezzo, era pari a circa 60.000 Euro in Italia e 30.000 Euro in Olanda.
Volumi ridotti provocano anche l’assenza di un reale mercato dell’usato, cui tradizionalmente si rivolgono i consumatori che guardano all’auto puramente come un mezzo che risponda soprattutto a logiche di convenienza economica. Questa percezione è ulteriormente esacerbata dall’applicazione di prezzi per la ricarica pubblica nettamente più alti rispetto a quelli degli altri Paesi, causata dall’ancora atteso adeguamento delle tariffe di distribuzione dell’energia elettrica in media tensione, che risultano ancora largamente appesantite da oneri fissi che non tengono conto dell’attuale ridotto utilizzo dell’infrastruttura o che non sono direttamente legati al vettore energetico.
In Italia i privati hanno sostituito lo Stato
Il secondo problema è di natura politica e burocratica: politiche incentivanti incerte e instabili, autorizzazioni frammentate, tempistiche variabili, pratiche complesse e una comunicazione che mira a “politicizzare” la transizione attribuendola alla parte politica avversa. Questa instabilità rende molto complicato fare delle previsioni di medio e lungo periodo, generando così timore nei consumatori e sfiducia negli operatori, che necessitano di certezze per poter reperire capitali sufficienti a sostenere non solo gli investimenti infrastrutturali, ma anche le perdite determinate da una carenza di domanda.
Infatti questo processo di infrastrutturazione nel nostro Paese è interamente guidato dall’iniziativa di gruppi privati che hanno dovuto sostituirsi allo Stato. Infine, manca una narrazione concreta e accessibile della mobilità elettrica. In Belgio e Francia l’informazione è integrata nei servizi pubblici: i siti dei Comuni spiegano dove e come ricaricare, le applicazioni per la mobilità includono anche la localizzazione delle colonnine. In Italia, al contrario, spesso i vantaggi dell’avere un’auto elettrica non sono accompagnati da adeguate campagne di informazione.
Una strategia sistemica per accelerare la transizione elettrica in Italia
Per superare il gap con gli altri Paesi, l’Italia deve innanzitutto comprendere l’impatto positivo che una filiera italiana dell’elettrico può generare in termini di attrazione di investimenti e creazione di nuovi posti di lavoro. La filiera non comprende solo i produttori di colonnine e gli erogatori del servizio di ricarica, ma anche e soprattutto i produttori e rivenditori di automobili, gli operatori energetici, i fornitori di servizi di assistenza, gli operatori logistici. Bisogna in sostanza agire su più fronti con una visione sistemica.

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È essenziale proseguire nella digitalizzazione e centralizzazione delle autorizzazioni, semplificando così richieste, pareri e concessioni con i Comuni. Occorre poi rendere più prevedibile e certo l’iter di connessione alla rete elettrica, distribuendo dati sulla disponibilità di potenza e garantendo i tempi di allacciamento. Come fatto per la bassa tensione, deve essere introdotta una tariffa di distribuzione interamente variabile anche per la media tensione, così da favorire ulteriori investimenti nella rete di ricarica ultraveloce e un’armonizzazione dei prezzi tale da produrre una convenienza economica concreta rispetto ai carburanti fossili.
Gli incentivi, spesso intermittenti e di breve durata, devono diventare stabili e duraturi, non solo per l’acquisto di veicoli elettrici, ma anche per chi investe in infrastrutture private e aziendali, considerando che le flotte aziendali sono un motore cruciale per il mercato BEV. Infine, serve una comunicazione neutrale e concreta: i cittadini hanno bisogno di informazioni chiare su ricarica, costi, consumi e manutenzione, con dati e confronti accessibili anche per chi non è un pioniere della mobilità elettrica.
Mobilità elettrica, una transizione alla portata dell’Italia
L’Italia ha tutte le carte in regola non solo per colmare il divario, ma anche di mettere in piedi una filiera d’eccellenza come in altri settori ha dimostrato di saper fare. Già attualmente risiede a Bolzano il principale produttore europeo di caricatori in corrente continua. Abbiamo alcune tra le migliori aziende energetiche al mondo, con le quali collaborano professionisti ai più alti livelli. La rete di distribuzione è solida e supportata da procedure ben collaudate e strutturate.
Un volano per l’elettrificazione del parco circolante
L’ecosistema di start-up sta generando idee imprenditoriali e attraendo investitori esteri. Gli operatori del settore stanno facendo rete attraverso MOTUS-E, spingendo dal basso la crescita dell’intera filiera. La domanda esiste, e cresce anche grazie a una tecnologia ormai collaudata (ad esempio le batterie sono mediamente garantite per 8 anni) e alla progressiva riduzione dei prezzi delle auto in commercio. Ora serve continuità: nelle regole, nei messaggi, negli incentivi.
Se la mobilità elettrica diventa una politica stabile e integrata, anche il nostro Paese può trasformare la buona infrastruttura che ha già realizzato in un volano reale per l’elettrificazione del parco circolante, ponendosi alla guida di questa transizione anziché in coda. I benefici per la società sarebbero molteplici: quanto potrebbe essere piacevole godere delle bellezze dei nostri territori nella quiete e respirando aria pulita? Non è una sfida teorica: è una questione di metodo.