PMI, micro fusioni e private equity: un’alleanza strategica

scritto da il 27 Maggio 2025

Post di Nicolò M. Joswig, AD & Co-Founder Startex AI –

La stagione delle fusioni e acquisizioni (M&A) in Italia ha vissuto un 2024 da “record”, con KPMG che rileva 1.369 deal conclusi (+8% sul 2023) per un controvalore totale di circa 73 miliardi di euro (+91%). Nonostante l’attenzione mediatica sia spesso catturata dai mega-deal miliardari (15 operazioni oltre il miliardo nel 2024, inclusa la rete TIM ceduta a KKR per 14,2 miliardi), un trend emergente “silenzioso” sta ridisegnando il panorama: il micro M&A. Le piccole operazioni, tipicamente sotto i 50 milioni di euro, stanno infatti diventando un motore cruciale del mercato, alimentando aggregazioni tra PMI e acquisizioni “tra pari” che permettono alle aziende di scalare, strutturarsi e restare competitive anche in uno scenario globale instabile.

Questo fenomeno si intreccia con due dinamiche chiave del tessuto economico italiano: da un lato il crescente interesse dei fondi di private equity verso le piccole e medie imprese (PMI), dall’altro la necessità di affrontare il passaggio generazionale in migliaia di aziende familiari guidate da imprenditori ormai anziani.

Un 2024 da record per fusioni e acquisizioni

Il 2024 si è chiuso come un anno eccezionale per l’M&A in Italia. Secondo KPMG, si è raggiunto il massimo storico di operazioni (oltre 1.360) e un valore complessivo più che raddoppiato rispetto all’anno precedente. Tuttavia, al di là dei grandi numeri, va sottolineato il fermento nell’M&A di fascia media e piccola. Il mercato domestico (operazioni tra aziende italiane) ha superato i 700 deal nel 2024, per un valore totale di circa 9,8 miliardi, sempre secondo KPMG, una cifra modesta in proporzione al numero, indice di dimensioni contenute delle transazioni medie.

Come commenta Maximilian Fiani di KPMG, il mid-market italiano è vivace soprattutto nei comparti tipici del Made in Italy (consumer e industrial), mirati a creare o consolidare filiere produttive mantenendo la leadership in settori di nicchia, grazie anche al lavoro “capillare” degli operatori di private capital impegnati in strategie di consolidamento. Inoltre, va tenuto presente che una quota rilevante delle operazioni di piccolo taglio sfugge alle rilevazioni ufficiali, svolgendosi attraverso canali più informali e opachi.

Il boom del micro M&A: piccoli deal, grande fermento

Il tessuto produttivo italiano, infatti, si caratterizza per una miriade di piccole imprese. Oltre il 99% delle aziende attive sono PMI, e di queste ben il 95% sono microimprese con meno di 10 addetti. Questa frammentazione, se da un lato rappresenta un punto di forza del Made in Italy, dall’altro limita la capacità di competere su scala globale. Ecco perché negli ultimi tempi si assiste a una crescita delle operazioni di micro M&A.

In un tessuto produttivo frammentato come quello italiano – fatto di piccole e medie imprese – le operazioni sotto i 50 milioni stanno diventando il principale strumento di reazione sistemica. Si moltiplicano aggregazioni tra PMI, fusioni tra pari e incorporazioni guidate da fondi specializzati, che permettono alle imprese di accrescere la scala e la struttura mantenendo le proprie nicchie di eccellenza.

PMI

Sono due le dinamiche chiave del tessuto economico italiano: da un lato il crescente interesse dei fondi di private equity verso le piccole e medie imprese (PMI), dall’altro la necessità di affrontare il passaggio generazionale in migliaia di aziende familiari (Designed by Freepik)

Un ambito dove questo trend è visibile è il settore tecnologico e startup. Nel 2024 si sono registrate 34 exit di startup tramite acquisizione in Italia (leggermente meno delle 43 del 2023), ma parallelamente il micro-M&A ha guadagnato terreno con tante piccole realtà tech che si sono unite per affrontare mercati più competitivi e globali. Settori come fintech, healthtech e deeptech hanno visto numerose mini-operazioni, spesso sostenute da investitori di venture capital o corporate interessate a talenti e innovazione. Questo fermento nei deal di piccola taglia, pur meno visibile delle grandi fusioni, sta contribuendo a ridisegnare intere filiere: ad esempio, nel tessile/moda alcuni poli come Gruppo Florence e Holding Moda hanno acquisito una serie di laboratori artigianali per creare piattaforme integrate nella filiera lusso.

Private equity e PMI: un interesse reciproco in crescita

Parallelamente, il private equity ha intensificato la sua presenza nel mercato italiano, strizzando l’occhio sempre di più alle PMI e ai ticket di taglio minore. I dati mostrano un cambio di passo significativo: nel 2024 i fondi di private equity hanno investito complessivamente 56,4 miliardi di euro in 496 operazioni, più del doppio rispetto all’anno precedente, secondo il report di Pwc ripreso da Arenes Partners.

Quasi la metà di tutte le transazioni M&A (44%) ha visto coinvolto un fondo di PE, per un valore di 30,4 miliardi. L’Italia si è distinta come il paese europeo a più alta crescita nell’M&A sostenuto da private capital in questo periodo. Questo dinamismo riflette un cambiamento culturale: sempre più imprenditori italiani vedono nei fondi un partner strategico per crescere, non più solo un compratore estraneo.

Secondo lo stesso report PwC, due imprese su tre oggi si dichiarano disponibili a valutare l’ingresso di un investitore finanziario nel capitale, mentre fino a pochi anni fa prevaleva il rifiuto di “cedere il controllo”. Inoltre, il 55% degli imprenditori vede il fondo non solo come fonte di capitali, ma come portatore di competenze manageriali e visione strategica condivisa.

Aziende promettenti, ecco il fenomeno dei club deal

Secondo il report PEM 2024, nel 2024 il 70% delle operazioni di private equity ha coinvolto imprese private e familiari, segno di un crescente collaborazione tra PMI italiane e investitori nel costruire percorsi di crescita condivisa. Per i fondi, l’Italia rappresenta una terra fertile di aziende familiari eccellenti ma sottocapitalizzate: spesso “piccoli campioni nascosti” leader in nicchie di mercato, con forti potenzialità di crescita se adeguatamente strutturati.

Non sorprende dunque che numerosi operatori esteri abbiano aperto uffici a Milano per intercettare opportunità nel mid-market italiano, come analizzato da Reuters. Allo stesso tempo, sta emergendo il fenomeno dei club deal, ovvero cordate di investitori privati (spesso imprenditori o family office) che uniscono risorse per rilevare quote di PMI promettenti. Un esempio? La milanese QCapital – focalizzata su aziende fino 40 milioni di fatturato – in pochi mesi dal lancio ha valutato oltre 120 imprese in cerca di capitali.

Questa vivacità di nuovi attori testimonia sia la domanda di capitale da parte delle PMI, sia l’attrattività di queste ultime come target di investimento. I fondi, attraverso operazioni di buy-and-build, spesso acquisiscono una piccola azienda e poi ne aggiungono altre similari per costituire gruppi più grandi.

Si può dire che private equity e PMI italiane hanno scoperto un interesse reciproco: le imprese ottengono risorse e know-how per crescere, i fondi accedono a un universo di aziende redditizie ma con margini di miglioramento, creando valore per entrambe le parti. I numeri record del 2024 confermano questa tendenza, destinata a proseguire.

La grande sfida per le PMI: garantire la continuità aziendale

L’altra faccia di questo boom di operazioni è legata al fattore anagrafico. L’Italia è un paese di imprese familiari “anziane”: secondo l’Osservatorio AUB (AidAF-UniCredit-Bocconi), entro cinque anni un’azienda familiare su cinque dovrà affrontare il passaggio generazionale. In generale, secondo uno studio di Reuters, quasi un terzo di tutte le imprese familiari è guidato da un imprenditore over-70, una quota più alta che in altri paesi (in Francia, ad esempio, è il 23%). Inoltre, le aziende a proprietà familiare costituiscono il 70% circa delle 148 mila PMI italiane censite: insomma “siamo piccoli e siamo vecchi”, come sintetizza Francesco Casoli, presidente di AIDAF.

Secondo una ricerca condotta su 240 imprenditori di PMI da Startex AI, primo marketplace intelligente per le operazioni di micro M&A in PMI e startup, ben il 69% degli imprenditori del Nord Italia si dichiara disponibile a valutare la vendita dell’azienda a fronte di un’offerta equa. Un valore che supera il 74% tra gli over 60 senza ricambio generazionale certo.

Questa struttura proprietaria comporta una sfida enorme: garantire la continuità aziendale nel momento in cui il fondatore passa il testimone. Le statistiche purtroppo indicano che molti non ci riescono: solo il 30% delle imprese familiari sopravvive al passaggio alla seconda generazione, e appena il 10% arriva alla terza. Le cause sono diverse – dalla mancanza di preparazione dei successori ai conflitti in famiglia – ma l’effetto è spesso la perdita di valore o addirittura il fallimento dell’azienda se il ricambio non viene gestito per tempo. È qui che il mercato M&A offre una soluzione strategica. Micro acquisizioni e investimenti mirati possono assicurare la sopravvivenza di imprese altrimenti destinate a spegnersi insieme alla generazione uscente.

Fusioni e acquisizioni come ponte generazionale

Dopo la pandemia, operazioni rimaste nel cassetto per anni hanno improvvisamente preso slancio, con proprietari ultrasettantenni che hanno trovato il coraggio di “fare il passo” e coinvolgere nuovi soci. In molti casi, infatti, non si tratta di cessioni totali, ma di ingressi mirati nel capitale (minoranze qualificate) che permettono alla famiglia di mantenere il controllo lavorando però a fianco di un partner che porta competenze e risorse.

Così facendo, l’operazione di M&A diventa un “ponte generazionale”: l’azienda prosegue il suo cammino con nuova linfa manageriale e finanziaria, evitando quei vuoti di potere che spesso ne mettono a rischio l’esistenza. Dal punto di vista dei fondi e investitori, queste situazioni rappresentano opportunità di investimento in aziende sane ma “bloccate” dal tema successione: risolvendo il nodo gestionale, il valore può essere sbloccato.

Piattaforme digitali: l’M&A 2.0 per le microimprese

Un ultimo fattore che sta contribuendo alla diffusione del micro M&A è la digitalizzazione dei processi di acquisizione. Storicamente, fusioni e acquisizioni sono operazioni complesse, lunghe e costose, appannaggio quasi esclusivo di grandi aziende assistite da advisor internazionali. Oggi nuove piattaforme intelligenti stanno abbattendo queste barriere. Grazie all’intelligenza artificiale ed ai marketplace online dedicati, comprare o vendere una piccola impresa sta diventando più semplice, rapido e accessibile.

Algoritmi di matching analizzano in tempo reale profili di acquirenti e venditori, incrociando dati su settore, dimensione, performance e obiettivi strategici, così da far emergere opportunità di incontro ad alta compatibilità.

Negli Stati Uniti questo approccio si è già affermato con piattaforme come Acquire.com (ex MicroAcquire) o Flippa, specializzate nella compravendita di piccoli business online e asset digitali. I due marketplace, in particolare, si concentrano sulle SaaS, generando rispettivamente 7 e 70 milioni di dollari di fatturato annuo, con round di finanziamento sopra i 15 milioni per entrambe. In Europa e in Italia stanno emergendo varie startup innovative in questo spazio.

Un ecosistema più accessibile per le PMI. E interconnesso

Un esempio europeo di successo è sicuramente la spagnola Deale, la quale facilita operazioni di M&A per PMI tramite una piattaforma digitale. Ha raccolto circa 3 milioni di dollari in tre round, con investitori come Nortia Capital, Tekpolio e COREangels.

Questa evoluzione dell’M&A 2.0 apre le porte a un ecosistema più accessibile e interconnesso, dove anche le piccole imprese possono agganciarsi a reti digitali di crescita e trasformazione, contribuendo a ridisegnare il panorama imprenditoriale italiano nel segno dell’innovazione collaborativa, diventando una tematica centrale anche per il dibattito pubblico.