Lavoro: il problema non è chi cerca, ma chi non sa attrarre

scritto da il 20 Giugno 2025

Post di Mirco Tonin. professore di Politica economica, Libera Università di Bolzano, e FBK-IRVAPP, Trento – 

Tradizionalmente, le politiche attive del lavoro si concentrano su strumenti per aumentare l’occupabilità dei disoccupati: corsi di riqualificazione tecnica o sulle cosiddette “soft skills”, servizi di orientamento, incentivi alle assunzioni tramite sgravi contributivi o bonus occupazionali. Si tratta di misure pensate per contesti in cui l’offerta di lavoro eccede la domanda. Ma oggi, in molte aree del Paese e per diversi profili professionali, il problema è opposto: le imprese faticano a trovare personale, qualificato e no.

Le cause sono molteplici. Il calo demografico e l’emigrazione giovanile riducono la forza lavoro disponibile. La mobilità interna è limitata da vincoli abitativi e infrastrutturali, alimentando la coesistenza di aree con disoccupazione elevata e altre con carenza di manodopera. A questo si aggiunge il persistente mismatch tra domanda e offerta di competenze: le imprese cercano profili che non corrispondono alle caratteristiche di chi cerca lavoro.

Lavoro

Obiettivo: attrarre forze lavoro oggi sottoutilizzate. E un foglio bianco per rappresentare un’offerta di lavoro vuota di contenuti interessanti. (Designed by Freepik)

Andare incontro alle aspettative dei lavoratori, ma…

In questo scenario, appare necessario ripensare l’approccio alle politiche attive del lavoro. Se in passato la necessità era riqualificare chi cercava un’occupazione, oggi diventa centrale rendere più attrattive le posizioni vacanti. Ciò significa anche intervenire sul lato dell’offerta di lavoro da parte delle imprese, in particolare le più piccole, promuovendo soluzioni organizzative capaci di andare incontro alle aspettative dei lavoratori, senza sacrificare la competitività aziendale.

Il lavoro da remoto è un esempio emblematico. Introdotto su larga scala durante la pandemia, ha mostrato benefici potenziali in termini di produttività e soddisfazione. Tuttavia, perché funzioni strutturalmente richiede un cambio di paradigma nella gestione: meno controllo sul tempo, più attenzione ai risultati. Un ostacolo non trascurabile per molte PMI italiane, dove le competenze manageriali restano limitate. Eppure, anche su questo fronte i numeri parlano chiaro: uno studio recente ha rilevato un aumento della produttività tra il 12% e il 20% per operatori impegnati nella registrazione di chiamate (di emergenza e non) alla polizia, grazie a minori distrazioni nel contesto domestico.

Problema: le aziende familiari offrono stipendi più bassi e carriere più lente

Altri interventi riguardano la conciliazione vita-lavoro o il rafforzamento del significato attribuito al proprio impiego. Un esperimento condotto su circa 3.000 dipendenti di una multinazionale ha testato il programma Discover Your Purpose (“Scopri il tuo scopo”), volto a favorire la riflessione individuale sulla coerenza tra motivazioni personali e ruolo professionale. Un intervento – basato su letture, video, esercizi guidati e un workshop di un giorno – che si potrebbe definire leggero, ma che ha portato risultati positivi in termini di produttività, con bonus più alti anche per i lavoratori.

Eppure, iniziative di questo tipo restano poco diffuse. I motivi non mancano: alcuni interventi implicano costi immediati e benefici che si accumulano lentamente nel tempo, altri richiedono una cultura manageriale che non è sempre presente, soprattutto in un sistema produttivo dominato da micro e piccole imprese. Un recente studio sulle imprese e i lavoratori italiani mostra come le aziende familiari offrano stipendi più bassi e carriere più lente, con un “soffitto di vetro” imposto ai dipendenti per mantenere il controllo all’interno della famiglia proprietaria.

Ribaltare la prospettiva: politiche attive del lavoro mirate

Proprio per questo appare opportuno ribaltare la prospettiva e sviluppare politiche attive del lavoro mirate alle PMI, con l’obiettivo di supportarle nell’innovazione gestionale e nell’adattamento alle nuove dinamiche del mercato del lavoro. Investire in attrattività organizzativa – flessibilità e welfare aziendale, moderna cultura del lavoro all’interno dell’impresa – significa attrarre forze lavoro oggi sottoutilizzate: donne, over 50, giovani scoraggiati o intenzionati a cercare lavoro all’estero.

È una strada necessaria ma non scontata: innovare dal punto di vista gestionale e organizzativo può toccare corde sensibili, e ci si può aspettare resistenza da parte di alcuni settori meno propensi a uscire da schemi consolidati. Alla fine, però, un programma di questo tipo potrebbe servire anche a far dare cenni di vita alla crescita della produttività, la cui stagnazione è uno dei macigni che gravano sul paese, e ne guadagneremmo tutti.