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Dal blackout spagnolo alla rete del futuro, con le auto elettriche


Post di Diego Trabucchi, Amministratore Delegato di ChargeGuru –
Lo scorso 28 aprile buona parte della penisola iberica ha vissuto ore di completa sospensione elettrica: il 60% del fabbisogno spagnolo è evaporato in pochi secondi, mentre in Portogallo l’80% della rete è rimasta al buio per oltre due ore. Le autorità hanno ripristinato l’elettricità quasi ovunque già la mattina del 29, ma sulle cause per giorni ha regnato l’incertezza – si va dall’avaria tecnica all’ipotesi di un raro fenomeno di “vibrazione atmosferica indotta”, fino al cyber-attacco, senza contare le teorie più fantasiose.
Il blackout ci ricorda quanto il sistema elettrico contemporaneo abbia bisogno di risorse di stabilizzazione rapide, distribuite e, soprattutto, intelligenti, perché oltre a essere avanzato, interconnesso e digitale è anche fragile. La convergenza fra elettrificazione dei trasporti e transizione energetica fa sì che la domanda di potenza di punta cresca proprio mentre la generazione si affida sempre più a fonti intermittenti. Le riserve rotanti delle centrali convenzionali non bastano più: servono flessibilità e capacità di bilanciamento diffuse sul territorio.
Quando mettiamo sempre più auto a batteria sulle strade e, allo stesso tempo, affidiamo una quota crescente della produzione elettrica a fonti rinnovabili come il solare e l’eolico, capita che nei momenti di picco serva molta energia proprio mentre queste fonti calano improvvisamente o non riescono a tenere il passo con la domanda. Le grandi centrali tradizionali non riescono più a compensare queste oscillazioni da sole: ci servono tante risorse flessibili, distribuite ovunque, capaci di fornire o assorbire elettricità al volo. Ed è qui che potrebbe entrare in gioco il cosiddetto Vehicle-to-Grid (V2G), la possibilità di trasformare ogni auto elettrica in una micro-centrale capace di assorbire o restituire energia alla rete in frazioni di secondo.

Ogni auto elettrica parcheggiata è, di fatto, una batteria mobile. Collegate in modalità V2G, queste batterie trasformano l’energia inutilizzata dal singolo in un bene pubblico pronto a intervenire quando la rete vacilla (Designed by Freepik)
Il V2G consente a un veicolo collegato a una colonnina di ricarica bidirezionale di cedere energia alla rete o di assorbirne gli eccessi, reagendo in millisecondi alle (sempre più frequenti) oscillazioni. Le basi tecnologiche sono già pronte. Progetti pilota in Danimarca, Olanda, Regno Unito e Giappone mostrano che una flotta di poche centinaia di veicoli può fornire servizi di regolazione primaria equivalenti a una turbina a gas di medie dimensioni.
Già oggi, però, la teoria ha varcato i confini dei laboratori. Alcuni modelli di serie – per esempio le Hyundai IONIQ 5 e 6 – offrono la funzione Vehicle-to-Load (V2L): una presa da 230 V capace di erogare fino a 3,6 kW direttamente dalla batteria del veicolo, sufficiente ad alimentare frigorifero, modem, luci o utensili da cantiere durante un blackout o un campeggio off-grid. Con circa 50 kWh di capacità, tipica di molti BEV di fascia media, si possono coprire quasi due settimane di fabbisogno di una piccola abitazione che consuma 3-4 kWh al giorno – un ordine di grandezza che rende tangibile l’utilità di queste auto-generatrici anche in contesti extraurbani e rurali.
Qui la rete di distribuzione è già abituata a ricevere l’energia dei tetti fotovoltaici: gli stessi trasformatori possono accogliere anche i chilowatt delle auto parcheggiate in cortile. I carichi di punta di un paese – stalle, pompe d’irrigazione, piccole officine – sono modesti: bastano poche vetture collegate per mantenerli in vita durante un’interruzione del feeder principale. Se il guasto interessa solo una linea secondaria, il gestore può isolarne il tratto e creare una micro-isola alimentata dalle batterie locali, mantenendo luci, frigoriferi e Wi-Fi finché non arriva il ripristino. Con piattaforme cloud di aggregazione perfino villaggi distanti possono coordinarsi come un unico “parco storage diffuso”, trasformando la dispersione abitativa in un vantaggio di resilienza.
Nel 2023 sulle strade dell’Unione circolavano già circa 4,5 milioni di auto 100% elettriche. Le proiezioni indicano vendite BEV per 2,7 milioni di unità solo nel 2025, con una quota di mercato superiore al 22%. Immaginiamo che entro il 2035 il parco europeo raggiunga 30 milioni di BEV con una capacità media di batteria di 60 kWh: significa, potenzialmente, 1,8 TWh stoccati – l’equivalente di oltre 250 grandi impianti idroelettrici. Anche sfruttandone appena il 10%, avremmo 180 GWh di energia pronta a tamponare picchi, coprire buchi nelle rinnovabili e persino evitare un nuovo blackout iberico.
Le barriere non sono tanto tecniche quanto normative, economiche e culturali. Sul fronte regolatorio serve un quadro che consenta ai proprietari di veicoli di partecipare ai mercati dei servizi di dispacciamento con soglie d’accesso ridotte, valorizzando anche singole batterie domestiche. Dal punto di vista economico la remunerazione deve coprire il degrado fisiologico dell’accumulatore e rendere attraente la partecipazione, magari con tariffe dinamiche o premi per la disponibilità. Quanto agli standard, AFIR, ISO 15118-20 e OCPP 2.1 già tracciano la strada, ma il loro recepimento deve essere rapido e omogeneo nell’UE per evitare isole di incompatibilità. Infine, occorre costruire fiducia sociale: l’utente deve essere certo che l’energia “prestata” tornerà in batteria al momento del bisogno e che il software di gestione salvaguardi sempre la mobilità quotidiana.
Ogni auto elettrica parcheggiata è, di fatto, una batteria mobile. Collegate in modalità V2G, queste batterie trasformano l’energia inutilizzata dal singolo in un bene pubblico pronto a intervenire quando la rete vacilla—un blackout, un picco di domanda, un calo improvviso del vento. Migliaia di micro-contributi, sincronizzati da software di rete, possono eguagliare la potenza di una centrale tradizionale senza nuove ciminiere né investimenti miliardari. È la logica delle piattaforme digitali applicata all’elettricità: a ogni cittadino viene riconosciuto il diritto e l’incentivo di condividere il proprio surplus, così che un gesto quotidiano—parcheggiare e inserire il cavo—diventi un atto di solidarietà energetica. In questo scenario la resilienza non scende dall’alto ma nasce dal basso: una «democrazia elettrica» in cui la sicurezza collettiva è la somma di libertà individuali.
Il blackout del 28 aprile ha mostrato che, nell’era delle rinnovabili spinte, la resilienza non può più basarsi soltanto su infrastrutture centralizzate. Le automobili elettriche parcheggiate sotto casa rappresentano già oggi una riserva energetica latente. Attivarla richiede visione politica e coraggio industriale, ma non servono miracoli tecnologici: bastano prese bidirezionali, algoritmi di ottimizzazione e mercati aperti.
È ancora presto – proprio come, decenni fa, era “troppo presto” per il fotovoltaico di massa – ma il momento di immaginare (e costruire) una rete europea sorretta anche da milioni di veicoli è adesso. Il prossimo blackout potrebbe trasformarsi nell’occasione per dimostrarne la forza.